I bombardamenti sulla Val di Bisenzio (1943-1944)

Dal 22 giugno del 1940 i cittadini di Prato iniziarono a sentire le prime sirene che avvertivano dei possibili bombardamenti alleati. Quella che provocò un’iniziale paura si tramutò presto in un semplice suono di ricorrenza, che accompagnò i pomeriggi dei pratesi per più di tre anni senza conseguenza alcuna. È questo il sentimento che li caratterizzerà anche la mattina del 2 settembre 1943. Nonostante l’allarme, molti di loro rimasero in strada, ormai abituati a quel segnale a cui ormai non davano più molta importanza. All’improvviso però, una flotta di circa sessanta areoplani transitò sulla città, colpendo ferocemente con le bombe la stazione, il Palco e Santa Cristina, facendo capire a tutti che una nuova fase si stava aprendo, quella della paura[1]. Perché proprio Prato si chiederà il lettore? Perché colpire il centro cittadino? La risposta ricade tutta nella disposizione industriale della città, essendo Prato città “di industria”, dove le imprese risiedono direttamente all’interno della città e non in zone periferiche esterne al perimetro abitativo, come nel caso di Firenze. Ecco perché qui i bombardamenti colpirono maggiormente le abitazioni rispetto ad altre zone, per via della stretta vicinanza con gli obiettivi militari. Inoltre un’altra zona di interesse alleata era la stazione, per via della presenza della Direttissima, ovvero la linea ferroviaria che collega Bologna a Firenze, valicando l’Appennino tosco-emiliano. Ecco perché Prato e la Val di Bisenzio rappresentano una zona strategica di primaria importanza in Toscana per gli alleati.
Dal 2 settembre del 1943 cambia la percezione della cittadinanza, quel pericolo tanto paventato da anni ora è reale, è sarà solo l’inizio. L’11 novembre un bombardamento di un’ora e mezzo seminò il panico in città, concentrando le proprie forze sulla stazione. Ci furono due morti e più di venti feriti, varie aziende danneggiate e più di trenta case furono distrutte o gravemente danneggiate. Pure l’acquedotto fu colpito, portando gravi disagi in varie zone della città. Il terzo bombardamento arrivò il 26 dicembre. Fu danneggiato l’Istituto San Giuseppe e presa di mira ancora la stazione ferroviaria, provocando vari danni, come la distruzione del capannone merci, l’incendio di alcuni carri e il danneggiamento dei binari. Furono una ventina le case distrutte e ventiquattro le persone ferite, oltre ad altri gravi danni all’acquedotto. Il 1943 si chiude quindi con la paura imminente di nuovi attacchi, che con l’anno seguente vedranno coinvolte anche le altre zone della Val di Bisenzio.
Il 15 gennaio però i bombardamenti riguarderanno ancora Prato. Tre ore di assedio alleato dove furono sganciate più di trecento bombe, una trentina delle quali rimarranno inesplose, colpendo via Ferrucci, Ponzano, Mezzana, San Giorgio a Colonica, Pizzidimonte, Grignano, Gonfienti e via Gobetti. Vengono distrutte una ventina di case e altrettante vengono danneggiate gravemente. Chi risentì maggiormente del bombardamento furono le imprese, con molte fabbriche – come la SALIT – quasi rase al suolo. I morti accertati furono trentuno, i feriti settantadue. La tragedia avvenne a Mezzana, dove una bomba, caduta all’ingresso di uno dei rifugi scavati nei campi del Buci, determinò una vera e propria strage, strappando persino col solo spostamento d’aria un bambino di soli diciotto mesi dal braccio della madre, scaraventandolo tra i detriti, dove sarà ritrovato cadavere il giorno seguente dopo faticose ricerche. Passarono solo due giorni, e il 17 gennaio i cittadini di Prato dovettero vivere l’ennesima giornata infernale. Centinaia di bombe caddero in rapida successione sulla stazione ferroviaria, colpendo anche La Pietà, Santa Cristina, La Castellina, Canneto, Paperino, Viale Vittorio Veneto, via Santa Chiara, via Ferrucci e la sottostazione di via Martini della Selt Valdarno, la cosiddetta Mineraria. Danni pesanti ai telefoni e al telegrafo, più di cento stabili furono quasi distrutti e oltre centocinquanta danneggiati. Fu colpito gravemente lo stabilimento di Orlando Franchi in viale Vittorio Veneto e quasi distrutto il mulino Borgioli in vale Montegrappa. Rasa al suolo la Chiesa di San Giuseppe e pesantemente danneggiato l’oratorio di San Rocco, in via Santa Chiara. I morti furono due e quasi cinquanta i feriti. A rendere ulteriormente sconcertante e drammatica la situazione, la popolazione venne avvertita che da allora in poi – a causa dei danni alla corrente elettrica che non ne garantivano più la regolarità per azionare le sirene – gli allarmi sarebbe stati comunicati col suono a martello in sei riprese e di quindici secondi delle campane cittadine, mentre il cessato pericolo sarebbe stato dato col suono continuo a discesa di due minuti[2].
Il 21 gennaio 1944 i bombardamenti alleati colpirono Schignano uccidendo 6 ragazzi – che, spinti dalla curiosità, erano rimasti in zona scoperta per vedere il terrificante spettacolo delle bombe che cadono – e superati i Faggi di Javello, colpirono anche Tignamica e l’Isola, nei pressi della filatura Forti. L’8 febbraio 1944 venne bombardato il villaggio-fabbrica de La Briglia: al mattino la stessa formazione di aerei che distrusse l’antica pieve di Filettole a Prato – le cosiddette “fortezze volanti” – sganciarono grappoli di bombe sulla Briglia, probabilmente con l’intento di colpire il lanificio e bloccare così la produzione. La fabbrica venne colpita solo in alcuni reparti, mentre il paese venne devastato: abitazioni operaie e negozi intorno alla piazza centrale vennero pesantemente danneggiati, lasciando la popolazione nella miseria. Molti furono i feriti e quattro le vittime.
Il 7 marzo altro pesante bombardamento a Prato. L’incursione alleata devastò vaste aree del centro storico e della periferia a nord, come via Strozzi, Montalese, Bologna, Filicaia, Santa Margherita e San Fabiano, oltre alle piazze Mercatale, del Duomo, Sant’Agostino e Ciardi. Vennero colpite fabbriche e abitazioni, con un bilancio di sedici morti, diciotto feriti, centouno aziende danneggiate, cinquantaquattro case distrutte e quasi trecento danneggiate[3]. Il 18 maggio invece un bombardamento previsto a Vernio, destinato alla Grande Galleria dell’Appennino, colpì invece Poggiole, Ceraio, il viadotto ferroviario di Terrigoli e la fabbrica Peyron.
Il 7 giugno la contraerea tedesca abbatté l’aereo americano B-25J Mitchell difronte a S. Quirico, in località Carbonale, presso Poggiole. Visto l’intensificarsi dei bombardamenti, tra la primavera e l’estate dello stesso anno, l’esercito tedesco installò numerose postazioni difensive, minando edifici e obbligando la popolazione ad abbandonare le proprie case. All’inizio di giugno le forze nazifasciste iniziarono infatti a dislocare alcune batterie antiaeree presso S. Ippolito. Il 7 giugno una formazione di diciotto B25 (12ª Air Force americana), accompagnati da otto Spitfire inglesi, sorvolò Vernio verso le 17: appena arrivati in Val di Bisenzio la contraerea tedesca, posizionata al Pianatino e a Spazzavento nei pressi di S. Ippolito, colpì la coda di uno degli aerei, che si spezzò in volo. L’aereo (matricola 43-4059) cadde nei pressi della località Carbonale, nei boschi di Poggiole: nello schianto morì tutto l’equipaggio del velivolo tranne un componente, che riuscì a paracadutarsi fuori prima dell’impatto. I resti del bombardiere sono ad oggi custoditi e visitabili presso la Mostra permanente della Linea Gotica, organizzata dall’associazione Linea Gotica Alta Val Bisenzio A P S., a San Quirico di Vernio.
Il 30 giugno ci furono invece varie incursioni aeree su Vaiano, dove venne mitragliata la stazione. Il 24 agosto venne bombardata Montepiano. La chiesa diventò prima rifugio di sfollati di Vernio e Cantagallo, poi centro di smistamento di forza lavoro per le necessità belliche dei tedeschi.
La serie dei bombardamenti continuò fino al 30 agosto, il giorno prima che i tedeschi abbandonassero la città, dopo aver fatto saltare i ponti della Vittoria, del Mercatale e altri sull’autostrada. Solo da quel giorno si sarebbe conclusa la paura giornaliera delle sirene e la costante preoccupazione di vedersi distrutta la propria abitazione in un attimo. Dopo quasi un anno, la Val di Bisenzio tornava a guardare il cielo senza paura.
Note
[1] M. Di Sabato, La guerra nel pratese 1943-1944, Pentalinea, Prato, 1993, pp. 10-11.
[2] Ivi, pp. 20-26.
[3] Ivi, pp. 54-66.
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo pubblicato nel novembre 2024.