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Fascisti repubblicani a Lucca

Nel giugno del 1944 la notizia della liberazione di Roma e la veloce avanzata degli Alleati aveva destato nella popolazione toscana un grande entusiasmo, radicando la convinzione, che si rivelerà poi errata, di una rapida fine della guerra e dell’occupazione tedesca. A Lucca, come nel resto della Toscana, crollavano senza clamori le istituzioni del fascismo repubblicano e noti esponenti del fascismo locale, preoccupati per la propria sorte, avevano provveduto a varcare l’Appenino, a nascondersi, oppure tentato un rapido cambiamento ideologico.

Pavolini, il segretario nazionale del Fascio Repubblicano, aveva intrapreso agli inizi di giugno un viaggio attraverso le città toscane per valutare personalmente l’entità della crisi serpeggiante tra le istituzioni saloine del territorio.  Conscio dell’imminente avanzata degli Alleati, aveva deciso, in accordo con Mussolini, di direzionare tutti i suoi sforzi verso una militarizzazione del partito attraverso la creazione delle Brigate Nere, considerate quale unica possibilità di salvezza per la RSI, ormai assediata sul fronte interno dalla guerriglia partigiana e su quello esterno dalle armate anglo-americane. Il partito subiva così una trasformazione, da partito di massa a partito armato, d’avanguardia, di combattenti al servizio del fascismo e fedeli a Mussolini, per contrastare i nemici interni, i “ribelli”, gli antifascisti, ma anche verso tutti coloro che non si erano schierati e aspettavano soltanto la fine della guerra.

Ѐ con queste premesse che Pavolini arriva a Lucca il 17 giugno 1944, accompagnato dal suo braccio destro, il colonnello Giovan Battista Riggio, Beniamino Fumai e da Idreno Utimpergher, fascista della prima ora, che aveva fatto carriera durante il Ventennio come segretario provinciale dei sindacati dell’Industria. Dopo la costituzione della Repubblica Sociale, nell’autunno del ’43 si era spostato a Trieste dove aveva riaperto la sede del Fascio e insieme a Beniamino Fumai, a capo della squadra del “Mai Morti”, aveva seminato il terrore in città con rapine, estorsioni e assassinii, episodi che gli erano costati la destituzione da ogni incarico e l’allontanamento da Trieste. Utimpergher si era poi spostato nei territori dell’Italia occupata con il compito di riorganizzare squadre di fascisti e proprio con questo obiettivo era arrivato a Lucca.

Pavolini assegna a Utimpergher il compito di presiedere e organizzare la prima Brigata Nera della Repubblica Sociale italiana, intitolata a Mussolini e poi contrassegnata con il numero XXXVI. Si tratta di un unicum in Italia perché in realtà il decreto che ordina la creazione delle Brigate Nere viene pubblicato alcuni giorni dopo, il 30 giugno, e la maggior parte delle Brigate nere riesce a costituirsi soltanto due mesi più tardi, nell’agosto del 1944.

manifesto BNMa chi sono gli uomini che nell’estate del ’44 scelgono di entrare nelle Brigate Nere?

Le ricerche sull’argomento hanno rivelato che a determinare l’arruolamento nel partito armato intervengono motivazioni molteplici e diverse tra loro: condivisione convinta e agguerrita dell’ideologia fascista, opportunismo, volontà di emulazione nei confronti dei tedeschi, tentativo di rivendicare l’umiliazione dell’8 settembre, volontà di vendetta verso quelli che venivano considerati “voltagabbana” e di lotta senza quartiere al movimento partigiano, assimilazione della violenza, del razzismo e dell’intolleranza agguerrita contro il nemico, disvalori di cui il fascismo italiano si era fatto interprete fin dal ventennio.

Quando Utimpergher ai primi di luglio del ’44 provvede a organizzare la Brigata Nera lucchese si rivolge ai fascisti lucchesi con un appello che fa leva proprio su questi sentimenti. Il gruppo dei brigatisti lucchesi che risponde alla richiesta di arruolamento è molto eterogeneo, sia per esperienze politiche e militari precedenti, sia per appartenenza generazionale. Troviamo giovani e giovanissimi nati durante il Ventennio, educati e assuefatti alla retorica fascista, che compiono questa scelta a volte in modo convinto, altre ingenuamente; troviamo ex squadristi, marcia su Roma, delusi dalla burocratizzazione del partito e di nuovo esaltati all’idea dell’uso della forza e delle armi; troviamo veri e propri clan familiari che si arruolano insieme all’interno della brigata.

Completato l’organico, di circa 150 unità, alla metà di luglio, la Brigata Nera “Mussolini” diventa operativa lavorando al fianco degli occupanti tedeschi di zona ma anche in modo autonomo. Tante le operazioni che la vedono protagonista, come per esempio quella del 3 agosto 1944, quando i brigatisti organizzano una rappresaglia nella frazione di S. Lorenzo a Vaccoli che porta all’incendio delle case del paese e all’arresto e successiva deportazione nei campi di lavoro di alcuni contadini. Pochi giorni dopo i brigatisti della “Mussolini” partecipano ad interrogatori eseguiti con l’uso di sevizie nei confronti di presunti fiancheggiatori dei partigiani locali, e ancora partecipano insieme ai tedeschi al rastrellamento avvenuto il 21 agosto 1944 sul Monte Faeta, durante il quale vengono fucilati sette giovani uomini appartenenti a gruppi di resistenti accampati sui Monti Pisani. Nei primi di settembre hanno inoltre un ruolo determinante di delazione nella strage della Certosa di Farneta e infine, in questa escalation di violenza, il 23 settembre, in risposta al ferimento di un brigatista nero, pianificano ed eseguono, in totale autonomia rispetto alle forze tedesche presenti in zona, la strage del Convento dei Cappuccini a Castelnuovo Garfagnana in località Merlacchiaia, durante la quale vengono uccisi, per mano dei brigatisti lucchesi, otto giovani uomini.

Alla fine di settembre 1944 con lo spostamento del fronte e l’avanzata degli Alleati la XXXVI Brigata Nera lascia la lucchesia e continua ad essere operativa prima in Emilia, nel modenese e a Piacenza, poi in Piemonte. Ciò che resta della “Mussolini” converge infine a Milano il 25 aprile 1945: da qui un piccolo gruppo di militi lucchesi ancora al comando di Utimpergher segue Mussolini nel suo ultimo disperato viaggio. Il 27 aprile 1945, in testa alla colonna dei camion tedeschi e delle automobili del duce e dei ministri, l’autoblinda della BN lucchese viene fermata a Dongo.

Il giorno successivo Utimpergher verrà fucilato sul lungolago di Como insieme a Pavolini e ai gerarchi, gli aderenti alla Brigata invece saranno processati per collaborazionismo e per la partecipazione alle rappresaglie e alle stragi sopra citate presso le Corti d’Assise straordinarie di Lucca e di Firenze. Dopo un’iniziale comminazione di pene severe i brigatisti verranno perlopiù prosciolti o amnistiati, in linea con l’allentamento della politica in materia di epurazione e punizione dei crimini fascisti che caratterizza i governi italiani a partire dal ’46.

Articolo pubblicato nel luglio 2014.




Partigiani, principesse, maghi e generali

“Tutti contenti, è finita; andiamo a casa!”, scrive l’8 settembre 1943 Sante Pelosin sul suo diario di guerra. Quanti dei nostri soldati hanno reagito nello stesso modo. Almeno metà non sono tornati a casa che due anni dopo, molti non sono tornati affatto. Sante è tra i fortunati, rimpatriato con la sua divisione l’8 marzo 1945. Ma quante sofferenze, in quei 18 mesi!

2La sua storia, e quella dei suoi commilitoni, è unica e straordinaria. Due divisioni italiane, la Venezia e la Taurinense, sono di presidio nell’interno del Montenegro. È forse la zona più periferica e inaccessibile dell’intero schieramento italiano all’8 settembre. Infatti i tedeschi arrivano qui tardi, verso fine mese, quando i comandanti sono già riusciti a organizzarsi, hanno chiarito l’equivoco iniziale (contro chi bisogna combattere ora?) e hanno preso una decisione storica. Dopo due anni e mezzo di lotta senza quartiere, di violenze da ambo le parti e crimini contro le popolazioni civili, ora due divisioni dell’esercito occupante, con generali e stato maggiore, si alleano con i partigiani jugoslavi comunisti e costituiscono la divisione Garibaldi.

Sembra incredibile eppure è vero. L’odissea dei partigiani italiani in Jugoslavia è testimoniata addirittura da un filmato. Anche questo è straordinario: ben poche unità dell’esercito avevano a disposizione una macchina da presa. Si vede il vecchio generale Oxilia, uno dei più intelligenti di tutto il Regio Esercito, mentre sottoscrive l’accordo con Peko Dapčević, appena trentenne ma già generale anche lui. Seguono mesi di fatica e sofferenza, di fame e freddo. “Vivere e combattere senza soldi, senza pane, senza carne, senza scarpe, malvestiti è impossibile”, scrive Oxilia nel novembre 1943 agli alti comandi italiani nell’Italia già liberata dagli angloamericani. “Aiutateci, e continueremo a fare l’impossibile!”. E tuttavia gli aiuti arrivano col contagocce. D’altronde i partigiani combattono anche così, soprattutto così. Lo stesso Oxilia, stanco e malato, viene rimpatriato, e nel luglio del 1944 viene nominato un nuovo comandante: Carlo Ravnich. Minatore di Albona, vicino a Fiume, ha cominciato la guerra come maggiore, la termina da generale. Istriano, parla bene il serbocroato, ed è un interlocutore perfetto per i comandi dell’esercito partigiano jugoslavo. Nonostante le origini slave del cognome, Ravnich è un italiano monarchico e, come gran parte dei suoi uomini, ha scelto di unirsi ai partigiani di Tito per seguire le indicazioni del suo Re, non certo per adesione ideologica al comunismo.

A volte, non sempre, rintracciare i documenti per una ricerca storica è quanto di più noioso si possa immaginare. In quei casi lo storico sembra il classico e stereotipato “topo da biblioteca”. In altre circostanze invece le fonti sono sfuggevoli, i documenti vanno cercati con cura e fatica, frugando non solo nei fondi meno frequentati degli archivi ma anche in case, biblioteche private, o nei ricordi dei protagonisti. In quelle occasioni il lavoro dello storico assomiglia più a quello di un detective impegnato a risolvere un caso, anche se di cinquanta, cento o mille anni fa. È quel che è capitato a me, studiando la storia della divisione Garibaldi in Jugoslavia nella seconda guerra mondiale.

Ma torniamo all’inizio. O meglio alla fine della guerra.

lapide commemorativa dei caduti garibaldini, Berane, Montenegro 1945. La divisione Garibaldi è tornata a casa decimata. Ha avuto almeno 10.000 vittime, tra morti e dispersi. Una percentuale doppia o tripla rispetto a chi si è lasciato catturare ed è finito internato dai nazisti. Tuttavia i nostri partigiani ottengono ben pochi riconoscimenti in patria. Considerati comunisti, perché hanno combattuto con Tito, non vengono nemmeno ammessi all’Anpi, non essendo partigiani italiani. Qualche piccola lapide o stele in Italia; un grande monumento in Jugoslavia, inaugurato nel 1983 a Pljevlja alla presenza del presidente Pertini.

Gli stessi documenti della divisione, il cosiddetto “Diario Storico”, non trovano una collocazione in nessun archivio, né italiano né jugoslavo. Seguono il comandante Ravnich fino alla morte, avvenuta nel 1996. Pochi giorni dopo il soldato Sante Pelosin riceve una chiamata dalla moglie: “C’è qui l’archivio del generale, venite a prenderlo”. Due commilitoni caricano la macchina con 16 casse di documenti, tra cui i famosi filmati. L’archivio rimane a casa Pelosin per poco. Alcuni giorni dopo si presentano alla porta due personaggi: la contessa Anna Provana di Collegno, amica e finanziatrice del famoso sensitivo torinese Gustavo Rol, e un suo collaboratore, il professor Cesare Bertana. Impugnano il testamento di Ravnich, che aveva promesso di lasciare in eredità il suo archivio a Maria Gabriella di Savoia, terza figlia di Umberto II, l’ultimo re d’Italia. La principessa ha costituito in Svizzera una fondazione per conservare documenti e materiale vario di interesse storico per la famiglia, tra cui diversi fondi che il padre avrebbe voluto lasciare in eredità allo Stato italiano. I documenti di Ravnich vengono caricati sulla macchina della contessa, poi consegnati a un intermediario, Domenico Orsi, che li trasferisce in Svizzera. Dell’archivio fanno parte anche “n° 22 scatole metalliche contenenti Film”. Documenti e pellicole originali dovrebbero dunque trovarsi presso la fondazione “Umberto II e Maria Josè”, anche se la principessa non ha mai risposto alle richieste di consultazione del materiale presentate da me e dall’associazione reducistica della divisione (Anvrg).

La maggior parte dei circa 25.000 italiani che si schierano contro i tedeschi in Montenegro sono piemontesi e toscani. Sia la Taurinense che la Venezia erano divisioni speciali, caratterizzate, a differenza della normale fanteria, da un reclutamento regionale. Sono passati 70 anni e pochi sono i sopravvissuti. Nel 2013 ho viaggiato tra Toscana e Piemonte, intervistando alcuni di quei ragazzi di allora, uomini ancora combattivi, orgogliosi di raccontare le loro incredibili avventure, di difenderne la memoria. Devo ringraziare gli Istituti storici della Resistenza di queste due regioni, che mi hanno permesso di effettuare queste videointerviste, oltre a RaiStoria, che ha creduto nel progetto e ha realizzato con me un documentario in tre puntate.

Ma più di tutti devo ringraziare il reduce Gino Bindi, di Castiglioncello (LI), ora purtroppo scomparso, che mi ha fornito una copia in dvd di alcuni dei filmati originali della Divisione Garibaldi. Il documentario della Rai si chiude con un’intervista al direttore dell’Archivio Centrale dello Stato, il dottor Attanasio, il quale ribadisce ufficialmente, a nome dello Stato italiano, la richiesta di consultazione dei documenti della fondazione svizzera. Ancora una volta la principessa Maria Gabriella di Savoia risponde evasivamente.  

Dove sono dunque finite le pellicole originali? Che fine hanno fatto i documenti? Quanto ancora dovranno aspettare gli storici per poter analizzare in maniera neutra e scevra da pregiudizi la straordinaria vicenda di quegli uomini che hanno combattuto una violentissima guerra partigiana fuori dalla patria, ma pur sempre per riscattare l’Italia?

Domenico Orsi è morto, Sante Pelosin è molto anziano e così la contessa Provana di Collegno. Anche Gustavo Rol è morto; peccato, con le sue straordinarie doti di veggente avrebbe potuto darci qualche risposta.

Partigiani, generali, maghi, sono scomparsi. Rimane solo la principessa; è l’unica che può aiutarci a ricostruire questa storia. Restiamo in attesa. Se ci sei batti un colpo.

Articolo pubblicato nel maggio 2014.




“Non fare giustizia significa rendersi complici dell’ingiustizia”

Benché la Linea Gotica attraversi la Garfagnana, la valle – al contrario di quanto avviene in altre zone dell’Italia centro-settentrionale occupate dai nazifascisti – già prima del proclama Alexander (13 novembre 1944) non è al centro di attività belliche o partigiane particolarmente importanti. Resta un fronte tutto sommato secondario fino alla Liberazione, che avverrà il 20 aprile 1945.

Nonostante ciò, negli ultimi mesi del 1944 la guerra civile raggiunge da queste parti livelli impensabili soltanto pochi mesi prima. La 36° Legione Brigate Nere “Benito Mussolini”, comandata da Idreno Utimpergher, nelle poche settimane in cui è rimasta di stanza in Garfagnana ha contribuito parecchio a surriscaldare il clima, con soprusi, razzie, rappresaglie contro i civili (il 23 settembre vengono uccise otto persone e saccheggiate diverse abitazioni, in risposta a un attentato nel quale è rimasta ferita una donna, cognata di un ufficiale fascista) e atti di barbarie contro i partigiani catturati e uccisi. Luigi Berni per esempio viene legato con una corda a un autocarro e trascinato sulla strada fino alla sua morte. Racconta in una testimonianza inedita un partigiano garfagnino, Franco Bravi:

«Di eroi tra noi non ce n’era. Però si era presi da questo sistema: “…altrimenti ci portano in Germania, altrimenti ci distruggono, bisogna combattere questa gente”. Non che avessimo idee politiche. L’odio venne dopo i fatti del Berni. A quel punto, triste a chi capitava. Si era saputo di questo fatto, le voci giravano, si sapevano più o meno le cose, si sapeva che avevano trascinato questo Berni sulla strada e quindi l’idea “se si chiappa un fascista gli si fa uguale” c’era».

Nelle settimane successive a questi episodi, nonostante le Brigate Nere abbiano lasciato la Garfagnana, i partigiani della Divisione Garibaldi Lunense, operante nella zona ancora occupata, iniziano una sorta di epurazione. A farne le spese sono alcuni uomini segnalati dai locali CLN comunali come collaborazionisti nazifascisti e accusati di aver organizzato i fasci repubblicani, denunciato i renitenti alla leva fascista, fornito notizie alle truppe nazifasciste o, infine, esser stati dirigenti in aziende impiegate ai fini bellici del nemico. La corte marziale è guidata dal comandante Anthony John Oldham e dal commissario di guerra Roberto Battaglia. Si tratta ovviamente di processi sommari, la cui tragicità è aumentata dall’impossibilità di infliggere pene detentive: chi viene giudicato colpevole viene ucciso (e un errore giudiziario sarebbe irrimediabile), chi viene giudicato innocente viene rilasciato (e anche in questo caso, la rimessa in libertà di un collaborazionista potrebbe rivelarsi esiziale per la formazione partigiana). Lo spirito di queste settimane e di questi processi è ben riassunto in un’ordinanza del 28 ottobre 1944, firmata da Oldham e Battaglia:

“Epurazione

Chiedere ai CLN comunali elenchi di spie e favoreggiatori del nemico tenendo però presente che il giudizio definitivo spetta solo al Tribunale militare di guerra regolarmente costituito presso ogni comando di Brigata. Arrestare solo quando si è sicuri della colpevolezza in modo da poter procedere con la necessaria rapidità al giudizio. Conservare documentazione dell’istruttoria e della sentenza sottoscritta dai membri del Tribunale. Nel caso che una denuncia risulti falsa punire il delatore con la stessa pena che sarebbe stata inflitta al denunciato se riconosciuto colpevole. In ogni caso nessuna pietà, nessun compromesso, nessuna via di scampo per il nemico. Non fare giustizia significa rendersi complici dell’ingiustizia.”

In calce all’ordinanza, un appello del Corpo Volontari della Libertà Comando Settore Garfagnino, che avverte la popolazione dell’arrivo nella zona della Divisione Italiana Monterosa, diffidandola dall’aver qualsiasi rapporto con elementi della suddetta divisione, pena la fucilazione. (Si veda trascrizione del documento allegato).

Questa è la situazione in Garfagnana ai primi di novembre. Il 4 di quel mese, a Foce di Careggine, dove ha sede il comando partigiano, viene fucilato Saul Grandini, accusato di aver collaborato con la Guardia Nazionale Repubblicana.

Due giorni dopo i tedeschi prelevano dalle carceri di Castelnuovo tre uomini, Antonio Bargigli, Ferruccio Marroni, Telmo Simoni, e una donna, Natalina Peranzi: l’accusa è di far parte della Resistenza e di avere istigato alla diserzione soldati repubblicani. I quattro vengono uccisi al cimitero di Castelnuovo Garfagnana.

Il 7 novembre i partigiani uccidono tre uomini, sempre a Foce di Careggine. Uno è un tenente abruzzese della Monterosa, catturato pochi giorni prima, Paolo Carlo Broggi. Gli altri due sono uomini del posto: Aristide Contadini, segretario del fascio di Careggine, e Fedele Bianchi, medico condotto del paese. In questi ultimi due casi, le accuse sono controverse e la loro effettiva attività antipartigiana è più presunta che acclarata. Contadini ha assunto la carica mesi prima forzatamente per ordine dell’ispettore di zona del fascio repubblicano, il medico pare abbia addirittura aiutato qualche partigiano.

Ma, come detto, la guerra civile è all’apice in questa zona d’Italia e un sospetto sottovalutato può risultare decisivo per la vita di una intera formazione partigiana. E anche per Contadini e Bianchi non c’è speranza di salvezza. Sono in totale sedici (quindici civili e il militare Broggi) in poco più di un mese i condannati a morte fascisti dalla Corte marziale della Garibaldi Lunense nella sola Garfagnana.

Oldham, Battaglia e i partigiani che eseguono le sentenze verranno processati negli anni successivi: le esecuzioni verranno considerate azioni di guerra e gli imputati assolti in virtù del Decreto Luogotenenziale 194 del 12 aprile 1945.

 

Feliciano Bechelli si è laureato in Scienze politiche presso l’Università di Pisa e collabora con l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Lucca. Giornalista pubblicista, è direttore responsabile della rivista dell’Istituto “Documenti e studi”.

Articolo pubblicato nell’aprile 2014.




Guida alla consultazione del database dei soldati di origine italiana negli eserciti Alleati

clip_image002La presente banca dati è stata realizzata sotto il coordinamento scientifico dell’istituto Storico della Resistenza in Toscana di Firenze contestualmente ad un progetto di ricerca promosso e sostenuto dalla Regione Toscana e dalla Consulta dei Toscani nel Mondo.

Guida alla consultazione del database

Introduzione

Durante la Seconda Guerra Mondiale, all’interno degli eserciti nazionali di alcuni dei principali paesi alleati, combatté un numero significativo di soldati di origini italiane. Molti di questi appartenevano a famiglie di immigrati di seconda, terza o quarta generazione che avevano lasciato l’Italia tra gli anni Ottanta del XIX e gli inizi del XX secolo. Altri, invece, erano nati in Italia ed emigrati all’estero nel periodo tra le due guerre o perché in cerca di fortuna e nuove opportunità o perché, invece, spinti a far ciò per sottrarsi alle persecuzioni del fascismo.
Come noto, dopo l’ingresso in guerra dell’Italia fascista a fianco delle potenze dell’Asse nel giugno 1940, molti membri delle comunità italiane presenti nei paesi alleati furono discriminati come enemy aliens, venendo talvolta assoggettati a internamento o sottoposti a restrizione dei propri diritti civili. Anche quando non furono oggetto di simili interventi, la gran parte degli italiani all’estero fu però guardata con sospetto perché ritenutia poco leale nei riguardi dei paesi ospitanti; un giudizio verso il quale spingeva il ricordo della simpatia e dell’appoggio col quale alcuni settori delle comunità italiane all’estero avevano guardato al fascismo italiano durante gli anni Venti e Trenta.
A dispetto di questo marchio, però, la partecipazione di molti giovani di origine italiana nelle file degli eserciti alleati, impegnati a combattere il nazifascismo nei diversi teatri bellici (talvolta a seguito di arruolamenti volontari), contribuisce ad arricchire, riequilibrandolo in parte, il giudizio complessivo sul ruolo degli italiani all’estero nel periodo tra le due guerre. Con la realizzazione della banca dati che qui si presenta si è voluto pertanto ridare voce e presenza ad alcuni di questi combattenti, nell’intento che i dati qui riportati possano risultare un utile strumento per future riflessioni e ulteriori approfondimenti.

stemma 2Premesse

Il database contiene informazioni su una selezione di combattenti di origine italiana (certa o presunta) arruolati nelle forze armate alleate nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Si riferisce in particolare a soldati inquadrati nelle forze armate di Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Brasile. Fra questi, alcuni sono caduti in battaglia, altri sono stati fatti prigionieri di guerra dalle forze dell’Asse, altri ancora hanno semplicemente prestato servizio militare durante il secondo conflitto mondiale. Nonostante si sia provveduto ad uniformare tra di loro i dati sui combattenti delle diverse forze armate, si ritiene utile premettere che le informazioni rimangono tra loro in parte eterogenee, perché attinte da fonti di natura e provenienza differente.

Il campione di analisi contenuto nel database comprende:
– 1.573 soldati statunitensi di italianità certa e caduti in guerra.
– 384 soldati statunitensi di italianità certa e prigionieri di guerra di giapponesi o tedeschi.
– 210 soldati australiani di italianità presunta e caduti in guerra.
– 1.431 soldati australiani di italianità certa in quanto nati in Italia.
– 32 soldati neozelandesi di italianità presunta e caduti in guerra.
– 15 soldati sudafricani di italianità presunta e caduti in guerra.
– 61 soldati canadesi di italianità certa.
– 5 soldati canadesi di italianità certa e caduti in guerra.
– 214 soldati canadesi di italianità presunta e caduti in guerra.
– 1.206 soldati brasiliani (caduti in guerra e non) di italianità presunta.
– 5 soldati brasiliani di italianità certa.

Interrogazione del database

La banca dati è costituita in lingua inglese e pertanto a quest’ultima si deve far riferimento quando se ne interroghi il contenuto tramite l’apposita maschera di ricerca.
La maschera permette di interrogare i dati attraverso i seguenti campi:

Nome e Cognome
Permette di interrogare il database tramite il nome e/o il cognome dei combattenti.

Nazione
Permette di interrogare e selezionare i combattenti in base al paese nelle cui forze armate essi furono arruolati. I paesi sono i seguenti: Usa, Brazil, New Zealand, South Africa, Australia, Canada.

Id.
Permette di interrogare il database attraverso il numero di matricola del combattente risalendone al nome e ai dati personali.

Corpo
Permette di interrogare il database attraverso l’Arma (Army, Navy, Air Force, ecc.) alla quale appartenevano il combattente e la sua unità. Nel caso dei soldati italo-brasiliani il campo “Corpo” è unico (Força Expedicionaria Brasileira).

Unità
Permette di interrogare il database attraverso il raggruppamento militare (per es. Division, Regiment, Battalion, Company, Platoon) o il corpo speciale (per es. Marine) cui apparteneva il soldato. Nel caso dei soldati italo-brasiliani il nome dei raggruppamenti è indicato in lingua brasiliana/portoghese (per es. Depósito, Centro, Regimento, Companhia, Batalhão, Pelotâo ecc.). Nel caso dei soldati italo-australiani il battaglione di appartenenza è talvolta abbreviato perché di non chiara interpretazione; al riguardo si rimanda al glossario presente sul sito http://www.awm.gov.au/glossary/.

Grado
Indica il grado militare del combattente: soldato semplice (Private, Gunner, Guardsman) e i suoi gradi intermedi nel caso dell’esercito statunitense (Private first/second class); caporale (Corporal) e i suoi gradi equivalenti o intermedi nel caso dell’esercito statunitense (Lance Corporal, Technician Fifth Grade); sergente (Sergeant) e i suoi gradi intermedi e tecnici nel caso dell’esercito statunitense (Staff Sergeant, Technical Sergeant, Technician Third/Fourth Grade); tenente (Lieutenant) e i suoi gradi intermedi nel caso dell’esercito statunitense (First/Second Lieutenant); capitano (Captain).
Nonché gli equivalenti gradi per la Marina (Seaman, Seaman first/second class, Able Seaman, Ensign ecc.) e per l’Aviazione (Aircraftman, Leading Aricraftman, Pilot Officer, Flying Officer, Flight Lieutenant, Squadron Leader ecc.). Talvolta nel campo “Grado” è riferita invece la mansione particolare del soldato, quale: sapper, shipfitter, telegraphist, radiotelegraphist ecc.

Indicazioni metodologiche sul processo di realizzazione della banca dati

Il database contiene informazioni su 5.136 combattenti. Di 3.459 di questi nominativi è stata accertata l’origine italiana, mentre dei restanti il cognome italofono fa presupporre un’italianità che, però, allo stato attuale della documentazione non è verificabile. All’interno del database si è avuto cura di indicare l’italianità certa, o solo presunta, di ciascun combattente sotto la voce “Avi italiani”.
Fonte privilegiata per il reperimento delle informazioni è stata la stampa in lingua italiana, in particolare il Progresso Italo-Americano, il più diffuso quotidiano italiano negli Stati Uniti pubblicato a New York, e La Vittoria, periodico antifascista della comunità italiana di Toronto. In un quadro di effettiva difficoltà nel reperire pubblicazioni periodiche delle comunità italiane all’estero non è stato possibile utilizzare la stampa delle comunità italo-brasiliana e italo-australiana, dal momento che i periodici in lingua italiana in questi paesi furono costretti alla chiusura a causa dello scoppio della guerra.

La ricerca non è stata estesa ai soldati britannici caduti in guerra poiché, per problemi tecnici, non è stato possibile esportare e rielaborare i loro dati contenuti nel database del Commonwealth War Grave Commission (www.cwgc.org), che è stato invece utilizzato per reperire informazioni su soldati australiani, neozelandesi e sudafricani. Si ricorda come tale organismo sin dalla sua costituzione ha avuto il compito di censire i caduti degli eserciti del Commonwealth nel corso delle due ultime guerre mondiali. Tuttavia, per chi fosse interessato, si segnala che il caso dei soldati britannici di origine italiana è stato affrontato per il periodo della seconda guerra mondiale dalla storica britannica Wendy Ugolini [W. Ugolini, ‘The Sins of the Fathers’: The Contested Recruitment of Second-Generation Italians in the British Forces 1936–43, Twentieth Century British History, 24.3 (2013), 376–97; Id., ‘The embodiment of British Italian war memory? The curious marginalization of Dennis Donnini, VC’, Patterns of Prejudice, 46.3-4 (2012), 397-415; Id., Experiencing the War as the ‘Enemy Other’: Italian Scottish Experience in World War II, Manchester, Manchester University Press, 2011, ch. 5-6-7].

Soldati italo-statunitensi

Si è partiti dalla consultazione del Progresso Italo-Americano per il periodo dal 7 dicembre 1941 al 15 settembre 1945. Il quotidiano pubblica con regolarità liste di soldati italo-statunitensi caduti in guerra, prigionieri, dispersi e feriti, oltre che profili biografici dedicati a singoli combattenti. Tali elenchi venivano probabilmente rielaborati dal Progresso sulla base delle comunicazioni fornite dallo U.S. War Department e U.S. Navy Department, mentre i profili biografici erano presumibilmente redatti sulla base delle informazioni fornite dalle famiglie degli stessi combattenti. I dati relativi ai soldati caduti sono stati confrontati e integrati con quelli ricavabili dai seguenti database statunitensi:

1) National WWII Memorial, Washington D.C (www.wwiimemorial.com). Il portale combina quattro distinte banche dati relative a:

a) Soldati sepolti presso cimiteri statunitensi all’estero. Le stesse informazioni sono ricavabili anche dal database dell’American Battle Monument Commission (www.abmc.gov). b) Soldati dispersi in guerra i cui corpi non sono mai stati ritrovati ma i cui nomi vengono ricordati nei Tablets of the Missing dell’American Battle Monument Commission. c) Elenchi dei Killed in service rosters dello U.S. Navy Department e U.S. War Department conservati presso i National Archives Records and Administration II di College Park in Maryland. d) Un Registry of Remebrances, che raggruppa informazioni fornite da familiari e conoscenti dei soldati caduti seppure non verificate in modo ufficiale.

2) Archival Databases of the National Archives and Records Administration (http://aad.archives.gov). Il portale contiene una serie di database di combattenti americani nelle varie guerre combattute dagli Stati Uniti. Nello specifico è stata utilizzata la serie World War II Army Enlistment Records (1938-1946), che conserva i dati di di 8.706.394 soldati arruolati nelle forze armate statunitensi nel corso del secondo conflitto mondiale. In secondo luogo – per integrare i dati ottenuti dal Progresso Italo-Americano sui soldati italo-americani prigionieri di giapponesi e tedeschi – è stato utilizzato il Records of WWII Prisoners of War. Questo database, in continuo aggiornamento, contiene informazioni su 143.374 soldati (ultima consultazione: 29 agosto 2014), ovvero la quasi totalità dei combattenti statunitensi imprigionati dalle forze dell’Asse.

Soldati australiani, neozelandesi, sudafricani

Nel caso dei soldati australiani è stato utilizzato il database presente sul sito http://www.ww2roll.gov.au/PlaceSearch.aspx, che contiene informazioni su circa un milione di individui (uomini e donne) che hanno servito nelle forze armate australiane nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La ricerca fatta per luogo di nascita (utilizzando come chiavi di ricerca “Italy” o i nomi delle varie regioni italiane, es. “Sicily”) ha permesso di selezionare così 1.431 soldati australiani nati in Italia.
I nomi ricavati sono stati confrontati, e eventualmente integrati, con i dati dei soldati australiani caduti in guerra presenti nel già citato sito del Commonwealth War Grave Commission (www.cwgc.org). Inoltre, da quest’ultimo database è stato possibile ottenere una lista di caduti australiani il cui cognome indica una possibile origine italiana, sebbene allo stato attuale della documentazione tale italianità non sia verificabile con certezza. Ricerca analoga è stata condotta per soldati sudafricani e neozelandesi.

Soldati canadesi

Sempre dal sito del Commonwealth War Grave Commission (www.cwgc.org) sono stati estrapolati nominativi di soldati canadesi apparentemente di origine italiana. Per alcuni di essi è stato possibile attribuire con certezza l’italianità grazie alle informazioni fornite:
1) Dal periodico La Vittoria.
2) Da uno studio biografico di alcuni combattenti italo-canadesi dello storico Raymond Culos. [Raymond Culos, Injustice Served: The Story of British Columbia’s Italian Enemy Aliens During World War II Montreal: Cusmano Books, 2012, cap. 9]
3) Dal sito http://www.italiancanadianww2.ca/it, che raccoglie testimonianze delle esperienze di immigrati italiani in Canada nel corso del secondo conflitto mondiale, fra le quali alcune di italo-canadesi che prestarono servizio nelle forze armate canadesi.
4) Dal sito http://www.bac-lac.gc.ca/eng/discover/military-heritage/second-world-war/second-world-war-dead-1939-1947/Pages/files-second-war-dead.aspx, attraverso il quale si risale a informazioni individuali di soldati canadesi caduti in guerra.

Soldati italo-brasiliani

Grazie alla cortesia di Mario Pereira, responsabile del Sacrario Volitivo Brasiliano di Pistoia, siamo risaliti alla lista nominativa completa dei 25.367 brasiliani che prestarono servizio nella Força Expedicionária Brasileira (FEB) in Italia. Da tale lista sono stati estrapolati i nominativi di 1.194 soldati dal cognome italofono. I loro dati sono stati a loro volta confrontati con quelli di 28 soldati dial cognome italofono compresi fra i 465 brasiliani caduti nella campagna d’Italia e commemorati presso il Sacrario di Pistoia Album do Brasil Na II Grande Guerra, Expedicionários Sacrificados Na Campanha da Itália, Rio de Janeiro, Bruno Buccini Editor, 1957]. Di questi nominativi è stato possibile riscontrare l’effettiva italianità di soltanto 5 combattenti grazie al confronto con testimonianze orali, memorie, siti di veterani brasiliani della FEB, e con articoli de O Globo Expedicionario, periodico della FEB.

Avvertenze sul contenuto

All’interno dei campi descrittivi della scheda anagrafica di ciascun combattente si possono trovare i seguenti avvertimenti:

– “Supposed ID”: indica, in mancanza di riscontri più certi, la presunta presunta matricola militare del soldato.
– Nell’elaborazione di fonti diverse per la realizzazione del database non sempre è stato possibile verificare con certezza assoluta alcuni dati personali quali la residenza, il grado ecc. Simili casi vengono segnalati solitamente nel campo “Note” con la suddetta dicitura.

Altri avvertimenti:

– Nel caso dei soldati statunitensi il grado militare “Technician Fourth class” è equiparato a quello di “Corporal”, mentre quello di “Technician Fourth class” a quello di “Sergeant”.
– I soldati brasiliani, oltre che il proprio nome e cognome, venivano indicati con un nome di guerra (“Nome de guerra”), che, salvo alcune eccezioni, viene però a coincidere in gran parte col cognome del combattente. La ripetizione del cognome nelle schede dei soldati italo-brasiliani, qualora presente, va ricondotta pertanto ad una duplicazione dovuta a questa particolare circostanza.

Articolo pubblicato nell’aprile 2015.