Sempre per non dimenticare

Il nostro percorso storico, per mantenere viva la memoria, attraverso i luoghi che sono stati teatro della lotta per la Liberazione nella provincia aretina, iniziato con la città di Arezzo e proseguito via via con Molin dei Falchi, Pietramala, San Polo, Badicroce, Palazzo del Pero, Staggiano, Mulinaccio e Chiassa Superiore per giungere alla Valtiberina a Monterchi, Anghiari, Caprese Michelangelo e Badia Tedalda, si conclude, sempre in Valtiberina, con i comuni di Sansepolcro, Pieve Santo Stefano e Sestino, con gli ultimi due completamente rasi al suolo com’erano soliti fare i nazisti durante la loro ritirata verso nord, incalzati dall’avanzata degli Alleati, che costituiscono l’ennesima prova, se ce n’era ancora bisogno, dell’efferatezza e disumana azione messa in atto dai nazisti nelle vallate aretine. Vuoi per ostacolare l’arrivo delle truppe angloamericane, vuoi per vendicarsi di un paese ritenuto traditore, vuoi per la frustrazione che sentivano nel ritirarsi davanti al nemico o per ritorsione nei confronti della popolazione che appoggiava ed alimentava la Resistenza, i tedeschi quando si ritiravano facevano “terra bruciata” dei luoghi che si lasciavano dietro e spesso non solo dei luoghi ma anche di vite umane con stragi ed eccidi perpetrati senza alcuna pietà. E tutto ciò non era frutto di un’improvvisazione casuale, ma calcolato scientificamente dalle autorità germaniche: il famoso befehl di Kesserling del 17 giugno 1944 incitava le milizie tedesche ad uccidere senza ritegno e a mettere a ferro e fuoco tutti i paesi e le città che venivano lasciate alle spalle durante la ritirata.

 

Quest’ultimo itinerario che prende le mosse da Sansepolcro fino a giungere a Sestino percorre parte della Valtiberina toscana, una zona al confine con l’Umbria, le Marche e la Romagna, regioni con caratteristiche diverse che ne hanno influenzato la storia, la cultura ed il paesaggio, lasciando segni ancora tangibili. È un territorio a cavallo tra Tirreno e Adriatico, difficile da raccontare in poche parole poiché non è solo la valle dove è nato il Tevere, che ha designato per millenni la fertile pianura, ma è anche montagna, anzi possiamo dire che sia molto più montagna che pianura. Una specie di “terra di mezzo” ricca di contrasti e di diversità, di storia e di segni di una cultura rurale che in molte parti d’Italia è ormai scomparsa. Un territorio che in larga parte durante la seconda guerra mondiale è stato attraversato dalla Linea Gotica, quel fronte di fortificazioni che tagliava in due lo stivale, e che insieme a tutta la provincia aretina è stato in prima fila nella lotta di liberazione nazionale dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista.

 

SANSEPOLCRO

Iniziamo il percorso da Sansepolcro, paese più grande della Valtiberina, che si trova lungo la Superstrada E45, collegamento tra la Romagna e l’Umbria. È velocemente raggiungibile anche da Anghiari, solo 8 chilometri di strada completamente dritta. Si trova a 34 chilometri dalla città di Arezzo ed è situato ai piedi dell’Alpe della Luna.

Il Paese ha dato i natali al pittore rinascimentale Piero della Francesca, nato intorno al 1416. Fra le opere che Sansepolcro ha ricevuto in eredità dal pittore, la Resurrezione è diventata lo stemma della città: un affresco realizzato nel 1460 circa che si trova all’interno del museo civico, a due passi dal Duomo e dal Palazzo Comunale. Ed è grazie a la Resurrezione se furono evitati i bombardamenti e la conseguente distruzione della città nell’estate del ’44 per l’intervento di un uomo innamorato dell’arte.

In Valtiberina sono in molti a conoscere la storia del capitano Antony Clarke, un giovane ufficiale inglese comandante di una batteria di artiglieria dislocata sulle colline a sud di Sansepolcro, che salvò la città dai bombardamenti. Egli, secondo la ricostruzione storica, disobbedì all’ordine di aprire il fuoco sulla città pierfrancescana perché si ricordò della lettura fatta in gioventù del saggio di Aldous Huxley nel quale narrava di un viaggio da Arezzo a Sansepolcro che meritava di essere fatto perché lì in quel paese vi era la Resurrezione di Piero della Francesca, che Huxley descriveva come “la più bella pittura del mondo”. E Clarke pur di non distruggere l’opera disobbedì agli ordini e grazie a questo gesto la città fu salvata dal cannoneggiamento alleato, proprio mentre i partigiani locali riuscirono autonomamente a respingere i tedeschi e prendere il controllo del suo centro storico[1].

Clarke in occasione del ventesimo Anniversario della Liberazione della città fu invitato a Sansepolcro dove fu accolto con grandi festeggiamenti. Ma sedici anni dopo a seguito di una lunga malattia il salvatore della Resurrezione morì e l’anno seguente, nel 1982, la Giunta comunale di Sansepolcro gli intitolò una strada.

 

Sansepolcro dopo l’8 settembre fino al giorno della Liberazione:

Dopo l’8 settembre Sansepolcro visse il dramma dell’occupazione tedesca con i conseguenti rastrellamenti e sfollamenti[2], inoltre la città venne invasa da sbandati di ogni sorta ai quali si unirono i circa 5.000 internati slavi evasi dal Campo di Renicci nella vicina cittadina di Anghiari, molti dei quali si dettero alla macchia per sfuggire dai rastrellamenti tedeschi e molti si arruolarono nelle file della Resistenza.

A Sansepolcro il 19 marzo del ‘44 in seguito all’aggressione di un fascista, con un’improvvisa ordinanza prefettizia, venne decretato il coprifuoco su tutto il territorio comunale con inizio alle ore sei del pomeriggio. Era un giorno di festa, l’ordinanza venne affissa in ritardo e i cittadini per protesta contro l’ennesimo ingiustificato sopruso si riunirono in piazza Berta per protestare, mentre un nucleo corposo di partigiani, per lo più appartenenti alla banda di Eduino Francini[3], avuta notizia, discesero dall’Alpe della Luna e riuscirono ad infiltrarsi in città nella tarda serata. I partigiani approfittarono dell’occasione per effettuare un’azione dimostrativa: assalirono la caserma dei carabinieri, occuparono il telefono pubblico e si appropriarono di un autobus scorrazzando per la città, ma successivamente con l’intervento delle autorità fasciste, che avevano ottenuto i rinforzi da Città di Castello, i partigiani furono costretti a ritirarsi[4].

Gli eventi del 19 marzo – come scrive lo storico Alvaro Tacchini – «suscitarono vasto eco, soprattutto per il significato politico della spontanea protesta di massa contro il regime fascista»[5], e ancora oggi, ogni 19 marzo, la popolazione di Sansepolcro ricorda ciò che successe ottant’anni fa.

 

Monumento che ricorda l’insurrezione del 19 marzo inaugurato nel 2014 nella strada intitolata a tale data.

 

Dopo la giornata del 19 marzo le formazioni partigiane che operavano sul territorio si divisero in tre gruppi: Eduino Francini si mosse verso l’Umbria insieme ai suoi compagni e ad altri ragazzi che si unirono a loro presso la zona di Molin Nuovo, costituendo un gruppo di 18 partigiani; altri tornarono sull’Alpe della Luna, mentre un gruppo si spostò sull’Alpe di Catenaia. Il gruppo di Francini diretto verso Perugia, lungo il tragitto, sostò a Villa Santinelli. Questi occuparono per qualche giorno, con uno stratagemma, la villa qualificandosi inizialmente come militi della Guardia Nazionale Repubblicana e solo dopo, una volta entrati, dichiararono di essere partigiani che avevano bisogno di riposare e di rifocillarsi per qualche giorno. In pratica presero “in ostaggio” l’intera famiglia, ma una volta scoperta la loro presenza, furono assediati e costretti alla resa dalle truppe fasciste coadiuvate da un reparto corazzato tedesco. Dopo un eroico scontro durato oltre diciotto ore, il 27 marzo 1944, Eduino Francini insieme ad altri otto compagni furono barbaramente trucidati, mentre altri riuscirono a fuggire[6].

Nel cimitero comunale di Sansepolcro è presente un sacrario realizzato dal Comune e dalla locale sezione ANPI per dare onorata sepoltura e per ricordare i partigiani fucilati nei rastrellamenti nazi-fascisti a Villa Santinelli; mentre nel luogo dell’eccidio è stata posta invece una lapide commemorativa.

 

Monumento ai partigiani, cimitero di Sansepolcro.

 

Lastra rettangolare di marmo apposta lungo la parete esterna di Villa Santinelli. L’epigrafe, oltre alla comune data di morte, reca incisi i nomi dei nove partigiani caduti.

 

Nell’estate del ‘44 il territorio di Sansepolcro si trovò sulla linea del fronte bellico e gran parte della popolazione si diresse verso le campagne per sottrarsi ai bombardamenti. In città restò il vescovo Pompeo Ghezzi, punto di riferimento per quella parte di popolazione non sfollata, unico autorevole interlocutore degli ufficiali tedeschi, che tentò di ridare un minimo di organizzazione alla vita civile e salvare il borgo dai sabotaggi nazifascisti. Ma, ciò nonostante, i suoi tentativi furono vani: i nazisti distrussero la stazione ferroviaria e l’industria Buitoni che dava benessere e prestigio alla città e demolirono, prima di lasciare il centro abitato, la storica Torre di Berta, uno dei simboli della storia e dell’identità di Sansepolcro[7].

Le truppe tedesche lasciarono il paese prima dell’arrivo degli Alleati che entrarono in Sansepolcro il 3 settembre del 1944.

Una lastra apposta sul muro in piazza Garibaldi nel quarantesimo anniversario dalla Liberazione della città ne ricorda l’evento.

 

Lastra commemorativa 40° anniversario liberazione della città di Sansepolcro, Piazza Garibaldi.

 

Negli anni Settanta vennero istituiti per volere dell’ANPI locale il museo e la biblioteca della Resistenza di Sansepolcro con lo scopo di ricordare quei tragici fatti legati al passaggio del fronte, alla Resistenza e alla Liberazione del paese. La sede del museo si trova oggi in via Matteotti all’interno di un edificio di proprietà comunale.

Sempre negli anni Settanta a Sansepolcro venne realizzato, nel cimitero comunale, il Monumento Ossario che raccoglie gli slavi caduti durante la seconda guerra mondiale nel territorio dell’Italia settentrionale e centrale. Tra gli jugoslavi internati in Italia vi furono i quasi 8.000 che trascorsero mesi in condizioni proibitive nel Campo di concentramento internati civili di Renicci, nel comune di Anghiari.

Da questa iniziativa nacque un rapporto di amicizia con la Jugoslavia che si concretizzò negli anni Ottanta con un patto di gemellaggio con la città croata di Sinj.

 

Sacrario commemorativo dei caduti jugoslavi in Italia, cimitero comunale, Sansepolcro.

 

Sansepolcro negli anni Novanta è stata insignita della medaglia d’argento al valor militare per l’attività partigiana.

 

Percorrendo in direzione nord la Strada statale 3 bis Tiberina (SS3bis) si giunge a Pieve Santo Stefano dopo circa quindici minuti. A nord di Pieve (circa dodici chilometri), in direzione di Verghereto, sono conservate alcune permanenze territoriali legate all’intervento dei cantieri della società di costruzione TODT per l’apprestamento della Linea Gotica.

 

PIEVE SANTO STEFANO E LA CITTA’ DEL DIARIO

Il paese sorge sulla riva destra del Tevere a cinquanta chilometri da Arezzo, situato quasi al confine tra la Toscana, l’Umbria e la Romagna. La cittadina è famosa soprattutto per il suo Archivio Diaristico che si trova all’interno del Palazzo Pretorio, in piazza Plinio Pellegrini, dove sono raccolti diari, epistolari, memorie autobiografiche di vario genere scritti dalla “gente comune”. Non a caso Pieve è denominata la “Città del Diario[8]. L’archivio è stato fondato nel 1984 da Saverio Tutino e si configura quale “vivaio di memorie”, in quanto oltre alla sua attività museale di conservazione vuol far fruttare in vario modo la ricchezza che in esso viene depositata. A tale scopo l’Archivio ha istituito un premio letterario volto ad incentivare l’invio di materiali “nascosti nei cassetti” da coloro che amano scrivere. Da allora ad oggi il concorso continua a svolgersi ogni anno in autunno ed ha portato alla premiazione di oltre venti scritti e alla raccolta di numerosi testi pubblicati da vari editori. Nel 2001 è stata inoltre intrapresa una collaborazione con la casa di produzione di Angelo Barbagallo e Nanni Moretti, la Sacher Film, per trasformare alcuni scritti qui conservati nei “Diari della Sacher”, un film-documentario distribuito dalla Warner Bros.

(Per informazioni più dettagliate sulla storia di questo prezioso archivio si consiglia di contattare la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Onlus situata sempre a Palazzo Pretorio).

 

 

 Pieve 1944: Il Paese cancellato

L’8 settembre la popolazione di Pieve Santo Stefano, credendo fosse finita la guerra, si riversò esultante nelle strade e molti osannavano pregando la Madonna dei Lumi che aveva accolto le loro richieste di pace (proprio l’8 settembre ancora oggi il popolo pievano la festeggia ed onora)[9]. Ma purtroppo la guerra non era finita e il peggio doveva ancora arrivare… L’Italia era divisa in due, da sud premevano gli Alleati, mentre al centro-nord la presenza dell’esercito tedesco divenne sempre più opprimente, e anche Pieve Santo Stefano visse il dramma dell’occupazione nazista con i conseguenti rastrellamenti. In più nel dicembre del ’43 si insediò in luogo del podestà un commissario prefettizio della Repubblica Sociale Italiana che andò ad affiancare nel controllo della popolazione e nella repressione il comando tedesco. Nello stesso periodo iniziarono in questa zona i lavori di costruzione della Linea Gotica con il conseguente reclutamento di manodopera locale da parte della società di costruzione Todt. E con la disfatta di Monte Cassino, Pieve Santo Stefano si ritrovò in prossimità del fronte, con i tedeschi in ritirata che attuarono ogni sorta di violenze e saccheggi nei confronti della popolazione. Poi alla fine di luglio il comando nazifascista impartì l’ordine di sfollamento: tutti i residenti dovevano essere deportati a nord, oltre la Linea Gotica, verso Rimini e Cesena e da qui verso la Val Padana; furono fatti viaggiare con convogli notturni per sfuggire ai bombardamenti alleati. La deportazione fu eseguita con particolare brutalità e molte persone furono uccise: «Le famiglie furono smembrate e disperse e obbligate a lasciare tutti i loro averi. La soldataglia si fece padrona di tutte le case, ne forzò i nascondigli, distrusse o sfregiò quello che non poté asportare. Un’intera colonna di autocarri fu addetta a svuotare le case. […] Né l’Ospedale, né il Ricovero per i vecchi furono rispettati: fatti sfollare, vennero adibiti rispettivamente a stazione radio e a deposito di munizioni»[10]. Inoltre, vi fu la distruzione completa del paese, ripetendo quello schema tristemente noto della ritirata, che nell’estremo tentativo di rallentare l’avanzata degli Alleati verso nord, prevedeva lo sbarramento di tutte le vie di transito distruggendo case e ponti. Il paese distrutto faceva parte di quel piano efferato del generale Kesserling: fare “terra bruciata” di tutto il territorio, ordine che riecheggiava ogni qual volta le truppe tedesche erano costrette a ritirarsi verso il nord Italia.  Il 99 percento delle abitazioni del capoluogo fu ridotto ad un cumolo di macerie, si salvarono solamente gli edifici ecclesiastici e parte del Palazzo Pretorio. Alla fine di agosto prima di evacuare il paese i tedeschi fecero saltare tutti i ponti sulla strada nazionale Tiberina 3Bis e posero delle mine nel palazzo comunale e nella torre campanaria che saltarono in aria dopo una decina di giorni che i tedeschi si erano ritirati. “Tra le granate e le bombe degli aerei dell’esercito che avanzava, (…), la nostra Pieve tutta coperta da una coltre di polverone e fumo nero, avrebbe rappresentato benissimo l’immagine più tetra dell’Apocalisse”[11].

Il 23 agosto ciò che rimaneva di Pieve venne raggiunto dalle truppe inglesi; il Paese completamente distrutto dalla furia nazista dovette pagare anche un tributo di 35 persone trucidate e 76 dilaniate dalle bombe.

A dimostrazione delle sofferenze patite dalla popolazione locale, nel 1957 il Comune fu insignito della “Croce di Guerra al Valor Militare” con la seguente motivazione: «Durante la guerra di liberazione sopportò, con la fiera tenacia della sua gente, persecuzioni, deportazioni ed intense offese aeree e terrestri che causarono numerose perdite tra la popolazione e gravi e dolorose distruzioni. Tanto sacrificio, serenamente affrontato con indefettibile dedizione alla propria terra, contribuì ad esaltare e a rinsaldare la fede nei destini della Patria»[12].

Una lapide apposta sul muro del Palazzo comunale in piazza Plinio Pellegrini ne ricorda l’evento.

 

Lastra in ricordo della Croce di Guerra al Valor Militare, Palazzo comunale, Pieve Santo Stefano.

 

Mentre una lastra commemorativa sempre sul muro del Palazzo comunale è stata posta in occasione del ventennale della Liberazione della città per ricordare le numerose vittime che si sacrificarono per la riconquista della libertà.

 

Lastra alle vittime delle rappresaglie tedesche, Palazzo comunale, Pieve Santo Stefano.

 

Presso i giardini pubblici Collacchioni possiamo invece scorgere il monumento ai caduti di Pieve Santo Stefano. Due blocchi distinti, il primo è il vecchio monumento ai caduti della Grande Guerra spostato da piazza Santo Stefano, affiancato dall’opera che ricorda “le vittime militari e civili di tutte le guerre”.

 

Monumento ai caduti di Pieve Santo Stefano, Giardini Collacchioni.

 

Usciti da Pieve Santo Stefano si prosegue l’itinerario in direzione di Sestino, percorrendo la Strada Provinciale Nuova Sestinese (SP50), per poi continuare in direzione est sulla Strada Statale Marecchia (SP258) ed infine arrivare a destinazione dopo un tratto della Strada Provinciale 49 (SP49). Il tragitto da Pieve Santo Stefano a Sestino è lungo complessivamente 40 chilometri e prevede almeno cinquanta minuti di macchina. Per chi volesse compiere una breve pausa lungo il percorso è poi possibile potersi fermare a circa metà del viaggio nel comune di Badia Tedalda, dove è presente il Parco Storico della Linea Gotica, ricco di sentieri che testimoniano le tracce delle fortificazioni costruite dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

 

SESTINO

Sestino, paese all’estremo margine della provincia aretina, praticamente immerso nel Pesarese, che durante la seconda guerra mondiale si trovava a ridosso della Linea Gotica. Nella primavera del ’44 la presenza militare dei tedeschi si fece sempre più massiccia con la conseguente crescita del calvario delle popolazioni che dovevano subire limitazioni di libertà, un continuo coprifuoco, prestazioni d’opera coatte per i lavori di fortificazione e requisizione di case per l’acquartieramento delle truppe e di mezzi di trasporto di materiale bellico[13]. La situazione era resa pesante anche da quella numerosa presenza di fuggiaschi provenienti dal campo di Renicci di Anghiari e da sfollati qui rifugiati per sfuggire dai bombardamenti. Come tutta la Valtiberina anche questa zona fu interessata da una forte presenza di formazioni partigiane che, loro malgrado, ebbero dei risvolti negativi per la popolazione civile per le dure misure di repressione adottate dai tedeschi e dai fascisti in risposta agli attacchi subiti. Negli scontri che si verificarono nei paesi di Monterone, Monteromano, Montecese, Palazzi e Sestino vi furono numerosi giovani caduti con un’età media di vent’anni. Merita una menzione particolare il sacrificio del giovane Ferruccio Manini, diciannovenne di Cremona, fucilato a Sestino il 27 luglio del ’44, che per unirsi ai partigiani disertò da un reparto fascista repubblicano quando fu mandato nella zona della Linea Gotica[14]. Fu poi catturato dai fascisti durante uno scontro a fuoco nel Sestinate e rifiutandosi di collaborare venne fucilato presso il cimitero del paese. Il Tribunale militare di Milano nel 1947 acclarò che a comandare il plotone di esecuzione fu il sottotenente Giorgio Albertazzi, futuro attore e regista, che venne però assolto perché «aveva agito in stato di necessità».

E in suo ricordo è stata posta una lapide presso il cimitero comunale di Sestino.

 


Lapide in ricordo di Ferruccio Manini, cimitero comunale, Sestino.

 

Anche a Sestino con l’avvicinarsi degli Alleati, i tedeschi costretti ad abbandonare la Linea Gotica, come ultima rappresaglia, il 24 settembre del ’44, fecero saltare in aria tutti i ponti sulle vie di comunicazione, strade, acquedotti, edifici pubblici e seminarono nel territorio una ventina di campi minati. Le macerie lasciate dalla guerra furono immense e tali da fare di Sestino uno dei paesi tra i più martoriati della Valtiberina. Soltanto il 1° ottobre il paese fu liberato dagli Alleati.

Nella Cappellina dei Caduti, eretta nel 1923 sul colle di Carletto, che domina Sestino, campeggia una targa con i nomi dei soldati sestinesi caduti sul fronte nella seconda guerra mondiale.

Due Lapidi commemorative sono invece poste in piazza Garibaldi sul muro del Municipio ai “caduti di tutte le guerre”.

 

Municipio, Piazza Garibaldi, Sestino.

 

Sestino. Caduti in tutte le guerre, Piazza Garibaldi, facciata del Municipio.

 

 

E in Piazza dei Martiri all’incrocio con via Roma sulla facciata di un edificio troviamo una lapide dedicata ai caduti della Resistenza, che così recita: “La popolazione sestinese pone questa lapide a ricordo dei partigiani caduti durante la Resistenza del 1944-45: Arcaro Danilo, Bragori Fermamdp, Chiarabini Gioseppe, Guazzolini Secondo, Nannini Adelfo, Santi Laurini Roberto. Sestino 26-6-1974”.

 

 

 

Lapide commemorativa ai caduti durante la Resistenza, Via VI Martiri, Sestino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE:

[1] Ivan Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Pagnini, Firenze 1994, p. 53.

[2] Cfr. il testo di Giovanni Ugolini, E’ passata la rovina a Sansepolcro. Cronaca cittadina dall’8 settembre 1943 al 3 settembre 1944, Boncompagni, Sansepolcro 1945.

[3] Eduino Francini: giovane partigiano di Sansepolcro, ma originario di Massa Carrara, che arruolatosi in marina nell’ottobre del ’42, dopo l’8 settembre rientrò a Sansepolcro e pochi giorni dopo ottenne dal Comitato provinciale di concentrazione antifascista di Arezzo l’incarico di organizzare una formazione di partigiani nell’Alta Valle del Tevere, nonostante la giovane età, non ancora ventenne.

[4] L’episodio è raccontato da G. Ugolini nel suo libro del 1945 È passata la rovina a Sansepolcro, cit., pp. 20-25.

[5]  Alvaro Tacchini, La banda partigiana “Francini” e la rivolta di Sansepolcro, in La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani, Quaderno n. 12 dell’Istituto di Storia Politica e Sociale “Venanzio Gabriotti”, Città di Castello 2017, https://www.storiatifernate.it/id/la-banda-partigiana-francini-e-la-rivolta-di-sansepolcro/

[6] Sulla fucilazione di Eduino Francini insieme agli altri otto partigiani a Villa Santinelli cfr. il libro di Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Tip. Badiali, Arezzo 1957, pp. 468-69.

[7]  I. Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana, cit. p.53.

[8] Ivan Tognarini, Da Pieve Santo Stefano a Poppi, in Paesaggi della memoria. Itinerari della Linea Gotica in Toscana, Touring Club Italiano, Milano 2005, pp. 105-6.

[9] I. Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana, cit. p.49.

[10] A. Tacchini, La distruzione di Pieve Santo Stefano, in Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, cit., https://www.storiatifernate.it/id/la-distruzione-di-pieve-santo-stefano/

[11] Onelio Dalla Ragione (a cura di), La guerra 1940-1945 a Pieve Santo Stefano. Deportazioni – Razzie – Devastazioni – Massacri, Amministrazione comunale di Pieve Santo Stefano, Pieve Santo Stefano 1996, p. 28.

[12] Ivi, p. 31.

[13] Giancarlo Renzi, Sestino. Quarant’anni di repubblica (1946-1986), Grafica Vadese, Sant’Angelo in Vado (PS), 1986, l’autore ripercorre la storia del comune dal dopoguerra ad oggi con un breve paragrafo dedicato proprio alle tragedie della guerra, pp. 11-20.

[14] Cfr. Biblioteca comunale di Sestino, 45° anniversario della fucilazione di Ferruccio Manini. Sestino – Domenica 23 luglio 1989, Stampa Artigrafiche, Sansepolcro 1989, p 4.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di novembre 2024.




Sentieri partigiani sul Pratomagno

Nel corso della seconda guerra mondiale numerose formazioni partigiane operarono sul Pratomagno, il celebre massiccio che divide il Casentino dal Valdarno Superiore abbracciando sia la provincia di Arezzo che quella di Firenze. Data l’estensione della dorsale furono diversi i gruppi resistenziali che durante il secondo conflitto mondiale vi svolsero attività d’opposizione all’occupazione nazifascista: nella parte centrosettentrionale agì prevalentemente la Brigata “Lanciotto”, coadiuvata talvolta dalla Brigata “Pio Borri”, mentre nella zona meridionale del massiccio era presente una situazione più eterogenea caratterizzata dalla presenza di piccole formazioni autonome come la “Mameli”, la “Teppa” o dalla presenza dei paracadutisti inglesi del “Long Range Desert Group”.

Durante la guerra lo scontro sulle pendici del Pratomagno assunse differenti modalità a seconda dei protagonisti coinvolti e della fase del conflitto nella quale avvennero i combattimenti. Prima dell’arrivo del fronte i contendenti si fronteggiarono per acquisire il possesso di piccole porzioni di territorio ed impadronirsi del controllo della rete viaria. I partigiani miravano ad indebolire la presenza tedesca utilizzando i metodi della guerriglia, mentre i nazisti adoperavano le punizioni ai danni dei civili con l’intento di rompere il legame che univa le popolazioni locali e le formazioni ribelli.

Nell’estate del 1944 sia sul versante valdarnese che su quello casentinese si registrò un inasprimento dello scontro dovuto all’avvicinamento del fronte e all’imminente liberazione di Arezzo. In questa fase i partigiani, forti del sostegno alleato, assunsero un atteggiamento più audace ed attaccarono in diverse occasioni i tedeschi; mentre i nazisti, consci dello svantaggio, mantennero le loro posizioni, iniziando verso fine estate una lenta ritirata verso nord.

A livello militare, a parte la battaglia di Cetica avvenuta nel giugno 1944, lungo le pendici del Pratomagno non si verificarono combattimenti degni di nota e gli scontri che opposero le due fazioni furono in prevalenza contrasti di lieve intensità. Durante la seconda guerra mondiale l’importanza del massiccio risiedette prevalentemente nella sua funzione aggregante e protettiva, garantendo alle formazioni partigiane un’ampia superfice sulla quale potersi nascondere ed organizzare azioni ai danni degli occupanti, grazie anche al supporto delle popolazioni locali.

 

Il cammino del partigiano

Percorso inaugurato nell’aprile 2024 grazie all’impegno del comune di Loro Ciuffenna, dell’ANPI Valdarno e dell’associazione culturale Pepe Mujica di Arezzo.

  • Percorso: Pratovalle – cippo Mario Zamponi – il castagneto “le Salvinesi”
  • Distanza: 2,5 km
  • Durata: 1 ora e 30 minuti
  • Difficoltà: facile
  • Dislivello: ±90 m

Dopo aver parcheggiato l’automobile nell’abitato di Pratovalle proseguiamo in direzione di Faeto e intraprendiamo dopo poche centinaia di metri la strada sterrata che porta al locale cimitero. Il sentiero ci porta ad una grande bacheca in legno sulla quale sono riportate le informazioni relative all’itinerario e il segnale indicante l’inizio del percorso. Dopo pochi passi troviamo il cippo in ricordo di Mario Zamponi, scomparso nel luglio 1944 in seguito ad uno scontro con i nazisti, nel quale il suo compagno Luigi Fini riuscì invece a salvarsi gettandosi nel vicino corso d’acqua. Continuiamo a seguire il sentiero che costeggia il torrente Agna addentrandoci nel castagneto “le Salvinesi”, dove possiamo osservare gli imponenti alberi, testimonianza dell’importanza fondamentale di questo frutto per i territori circostanti. Sfortunatamente dopo circa un chilometro il tracciato viene progressivamente inghiottito dalla vegetazione circostante e diviene estremamente difficoltoso intuirne la direzione.

Cippo in ricordo di Mario Zamponi

Invitiamo dunque gli escursionisti meno esperti a tornare sui loro passi e a fare ritorno a Pratovalle. Una volta in paese consigliamo di visitare la chiesa di Santa Lucia; dopo la prima guerra mondiale l’esterno dell’edificio è divenuto un piccolo parco della rimembranza adibito al ricordo delle vittime della Grande Guerra di Pratovalle e Roveraia (paese disabitato, abbandonato dai suoi abitanti nella seconda metà del Novecento). Lo spazio vede la presenza di una colonna a memoria dei caduti della zona e di cinque cipressi (un tempo erano sette) ciascuno dei quali era stato piantato in ricordo delle vittime. Nel 2022 lo spazio antistante la chiesa è stato intitolato a don Dante Ricci, parroco di Pratovalle e Faeto, ucciso nel luglio 1944 per aver fornito aiuto ai partigiani e non aver svelato i loro nomi. All’ingresso della parrocchia sono presenti una piccola cornice recante alcune informazioni essenziali riguardanti l’operato di don Dante Ricci e una poesia dedicata a quest’ultimo.

La chiesa di Santa Lucia in piazza don Dante Ricci

 

“Il fiore del partigiano”

Sentiero che dalla strada panoramica giunge sul crinale del Pratomagno, transitando dalla Croce e dai cippi dedicati a Hinkler e alle formazioni partigiane che combatterono sul massiccio.

  • Percorso: Pian dei Lelli – crinale – Croce del Pratomagno – cippo di Hinkler – “Fiore del partigiano” – Pian dei Lelli
  • Distanza: 7,4 km
  • Durata: 2 ore
  • Difficoltà: media
  • Dislivello: ±340 m

Il nostro sentiero ha inizio dall’area di sosta di Pian dei Lelli. Per raggiungere la partenza del percorso percorriamo la strada panoramica in direzione della croce fino al tratto che segna il passaggio dall’asfalto allo sterrato, a circa 3,5 chilometri di distanza dal traforo. A Pian dei Lelli parcheggiamo la nostra auto ed iniziamo il sentiero. Per i primi due chilometri il tracciato sale costantemente all’ombra dei faggi, per poi emergere improvvisamente dalla vegetazione in prossimità del crinale. Una volta giunti in cima al massiccio scorgiamo in lontananza la croce e ci avviciniamo a questa percorrendo il sentiero 00. Dopo meno di due chilometri giungiamo all’imponente struttura in metallo e ci fermiamo a godere della vista mozzafiato che ci permette di ammirare tutta l’area circostante. Dopo questa sosta compiamo una deviazione e continuiamo a procedere lungo il crinale avvicinandoci ad osservare due cippi in prossimità della croce. A mezzo chilometro di distanza troviamo il cippo in ricordo di Hinkler, l’aviatore l’australiano che nel 1933, nell’intento di stabilire un nuovo record dell’ora sulla tratta Inghilterra-Australia perse la vita cadendo con il suo piccolo aereo sul Pratomagno.

Cippo in onore di Herbert Hinkler

Continuando a procedere nella stessa direzione ci imbattiamo dopo alcune centinaia di metri nel “Fiore del partigiano”, il monumento creato dall’artista Venturino Venturi in onore dei partigiani che combatterono sul Pratomagno durante la seconda guerra mondiale. Il cippo è stato recentemente rinnovato a causa dei danneggiamenti dovuti alle intemperie che ha subito nel corso dell’inverno 2023-2024: la nuova struttura riproduce fedelmente il monumento precedente, con l’eccezione che quest’ultimo è stato prodotto in metallo, proprio per avere una maggiore resistenza al freddo e alle raffiche di vento dei mesi più rigidi. In particolare il cippo ricorda lo sforzo delle brigate “Pio Borri”, “Lanciotto”, “Mameli” e “Bande Esterne”.

Cippo il “fiore del partigiano”

Dopo questa deviazione torniamo sui nostri passi e ci dirigiamo nuovamente alla croce, da dove prendiamo il sentiero CAI 21 che ci porta nuovamente sulla strada panoramica dopo meno di un chilometro. Una volta sulla strada sterrata si procede per venti minuti in direzione est fino a tornare a Pian dei Lelli, il nostro punto di partenza.

 

Percorso della Memoria

Sentiero panoramico che si sviluppa sotto le pendici del Pratomagno. Inaugurato nel 2011 l’itinerario vuole omaggiare i caduti della Resistenza ripercorrendo i luoghi dove i giovani con il loro sacrifico ci indicarono la strada per la libertà.

  • Percorso: Pian di Scò – Casa di Biondo -Campiano – Pulicciano – Pian di Scò
  • Distanza: 13,6 km
  • Durata: 3 ore
  • Difficoltà: media
  • Dislivello: ±400 m

Il sentiero ha inizio dall’ampio parcheggio situato di fronte alla Pieve Di Santa Maria A Scò. Dopo un breve tratto di strada provinciale Setteponti continuiamo a procedere in direzione nord-est fino a quando in prossimità di una curva non compare una strada sterrata che iniziamo a percorrere. Attraversato l’abitato di Campiano, proseguiamo per La Cella e passiamo da Casa Biondo, dove ci fermiamo ad osservare il cippo posizionato in un piccolo giardino pubblico della frazione dedicato ad Aligi Barducci e la sua Brigata.

Cippo in memoria di Aligi Barducci

Conclusa questa breve visita prendiamo il sentiero CAI 19, lungo il quale dopo poco ci imbattiamo nel cippo in memoria di Giorgio Cuccoli, caduto il 22 giugno 1944. Da lì ritorniamo sui nostri passi per poche centinaia di metri e prendiamo un sentiero alla nostra sinistra, che ci farà attraversare nuovamente Campiano ed arrivare a Villa Belvedere dopo un tratto in salita. Poco dopo raggiungiamo Pulicciano, passando davanti al cippo che ricorda l’eccidio del parroco Don Bianco Cotoneschi e del suo sacrestano, uccisi con l’accusa di aver sostenuto e favorito l’opposizione all’occupazione nazifascista; da lì prenderemo il sentiero CAI 33 che ci riporterà a Piandiscò. Il sentiero è interamente segnalato con la bandiera nazionale a tre colori.

Il luogo dove Giorgio Cuccoli perse la vita

 

Cippo dedicato a don Bianco Cotoneschi

 

Percorso ad anello sul Pratomagno

Itinerario circolare che tocca numerosi punti panoramici del massiccio.

  • Percorso: Oratorio di Ponticelli – Monte Acuto – Poggio Castelluccio – Uomo di Sasso – Valico di Gastra – Oratorio di Ponticelli
  • Distanza: 15 km
  • Durata: 3 ore e 30 minuti
  • Difficoltà: media
  • Dislivello: ±850 m

Dall’oratorio di Ponticelli, distante tre chilometri da Reggello, imbocchiamo il sentiero CAI 17. Il percorso è inizialmente caratterizzato dalla presenza di una folta vegetazione che progressivamente degrada, facendo spazio ad un paesaggio brullo, fatto di sassi e piante a basso fusto. Giunti in cima al Monte Acuto (1.130 m) possiamo godere di una vista mozzafiato, con una visuale che spazia sui dintorni di Firenze ed Arezzo.  Proseguiamo per un brusco passaggio su alcune pietre e continuiamo per un arbusteto che ci porta a Poggio Castelluccio (1.381 m), dove sono presenti dei ruderi di una vecchia fortificazione. Da qui ci inoltriamo nella faggeta ed avanziamo fino a raggiungere ampi spazi prativi. Di fronte a noi troviamo il Poggio Uomo di Sasso (1.532 m), seconda cima del massiccio del Pratomagno e poco sotto scorgiamo la presenza di un piccolo ammasso di sassi accatastati uno sopra l’altro.

L’Uomo di sasso

Ora seguiamo il sentiero di crinale CAI 00 in direzione sud-est e dopo diversi saliscendi giungiamo al valico di Gastra (1.393 m). Sulla destra imbocchiamo il sentiero CAI 19 che con una ripida discesa ci conduce al monastero di Gastra. Arrivati al fabbricato svoltiamo a destra e proseguiamo a dritto lasciando il sentiero n 19. Superata casa La Pecoraccia la strada diventa un viottolo di bosco che ci conduce all’innesto con una stradella forestale proveniente dal Monte Acuto. Svoltiamo a sinistra e dopo poche curve troviamo davanti a noi il Poggio della Regina, monte che aggiriamo. Dopo poco giungiamo al punto di partenza dell’Oratorio di Ponticelli.

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel novembre 2024.




Valtiberina: un itinerario fra i luoghi intrisi di storia e di memoria della Resistenza

Proposta per una gita nei primi tre comuni della Valtiberina, Monterchi, Anghiari e Caprese Michelangelo, ricordando per ogni luogo quanto accaduto durante la Liberazione dal nazifascismo: partenza da Monterchi fino ad Anghiari (spostamento in auto 10 minuti e in autobus in circa 15 minuti); si prosegue poi verso Caprese Michelangelo (22 minuti in auto, circa mezz’ora in autobus). In totale sono 25,6 chilometri.

Il percorso è possibile anche effettuarlo a piedi in circa 5/6 ore di cammino.

 

Mappa del percorso da Monterchi a Caprese Michelangelo.

 

1° Tappa

MONTERCHI

 

Monterchi è un paese della Valtiberina a ventotto chilometri da Arezzo ed è posto su un piccolo colle da cui domina il territorio circostante. È proprio quest’altura a dare il nome al paese, infatti era detta fin dall’antichità Mons Herculis (Monte di Ercole), da qui Monterchi.

Il comune è attraversato dalla strada statale, dalla Toscana all’Umbria, che durante la seconda guerra mondiale aveva un’importanza strategica notevole in quanto rappresentava una via di ritirata delle truppe tedesche.

Nella zona di Monterchi operavano diverse bande partigiane sempre sorrette ed assistite dalla popolazione locale sia da un punto di vista logistico che di sostentamento nonostante le continue requisizioni di vettovaglie e le razzie di bestiame con le quali i tedeschi tentavano di arginare questa preziosa collaborazione del mondo contadino.

Ricordiamo nel territorio di Monterchi la figura del parroco Don Fiorenzo Moretto che aderì all’antifascismo fin dall’ottobre ’42 scoraggiando i giovani del paese dopo l’8 settembre del ’43 ad arruolarsi nella repubblica sociale italiana (RSI) e mettendo a disposizione la sua canonica per nascondere armi e munizioni per i partigiani. Purtroppo quattro di questi giovani cattolici morirono per mano nazifascista subito dopo essersi arruolati nelle brigate partigiane: era il 26 giugno del 1944, quel giorno i tedeschi rastrellavano l’intera zona di Anghiari; la mattina venne fermato Sabatino Mazzi, giovane partigiano, e poco dopo, probabilmente a seguito di una spiata, fu la volta dei quattro giovani monterchiesi, Enrico Riponi, Francesco Franceschi, Tommaso Calabresi e Pasquale Checcaglini; essi avevano deciso di unirsi ai partigiani la mattina stessa ed erano passati da Anghiari per prendere contatto con le formazioni partigiane locali. Tutti e cinque furono giustiziati per impiccagione dopo essere stati interrogati e torturati[1].

Alvaro Tacchini in “Guerra e Resistenza nell’Alta valle del Tevere[2] ci racconta l’orribile fine che fecero questi poveri ragazzi: verso sera vennero impiccati con il fil di ferro ad un tronco d’albero poggiato su due colonne in prossimità del Valico della Scheggia, nel luogo nel quale oggi campeggia una lapide che li ricorda, a fianco di Villa La Speranza. Compiuta la carneficina appesero poi sulla testa della forca un cartello con la scritta “Partigiani puniti, camerati sparate”.

Da quella sera i tedeschi che passavano dal valico per scendere in Val di Tevere o in quella dell’Arno, fermavano il veicolo, leggevano la scritta ed ubbidivano all’invito, scaricando le pistole sui cadaveri ormai ridotti a brandelli di carne… era stato impedito anche ai parenti di rimuovere e dare degna sepoltura alle loro salme[3].

Finalmente qualche giorno dopo un gruppo di partigiani che passava di lì, nonostante il pericolo, riuscì ad appoggiare a terra i loro corpi, che furono poi bruciati all’arrivo delle truppe alleate ai primi di agosto. Uno di essi raccontò come andarono esattamente le cose: «In cima alla Libbia ci fermammo a staccare i cinque impiccati, fra i quali c’era il nostro compagno Sabatino Mazzi: lo seppellimmo nel piccolo cimitero di Colignola. […] Agli altri, per risparmiargli lo scempio delle soldataglie in transito, che scaricavano su quei poveri corpi i loro mitra, tagliammo le corde e li adagiammo per terra. Era l’unica cosa che potevamo fare»[4].

Oggi il percorso pedonale che attraversa il parco fluviale di Monterchi è stato intitolato “ai caduti martiri di Via Libbia” e in Piazza Umberto sulla torre civica sono poste tre lastre in memoria dei caduti di Monterchi nelle due guerre mondiali e una di queste è dedicata proprio ai cinque giovani partigiani traditi e barbaramente uccisi dai nazisti. Mentre nel cimitero locale è presente invece la tomba dei quattro partigiani.

 

Cartello del percorso pedonale del parco fluviale di Monterchi intitolato “ai martiri di via Libbia”.

 

Cimitero di Monterchi, tomba dei quattro giovani partigiani uccisi al Valico della Scheggia.

 

Lastra posta sulla Torre Civica in Piazza Umberto I a Monterchi in ricordo dei giovani monterchiesi uccisi per mano nazista.

Torre Civica, Monterchi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alcuni giorni prima della liberazione del comune, a Monterchi i nazisti fecero saltare l’antico ponte sul torrente Cerfone, obbligando con la forza alcuni civili a mettere le mine lungo le strade del capoluogo e per scongiurare una reazione da parte della popolazione e dei partigiani del luogo tennero in ostaggio una decina di capifamiglia in una casa nei pressi di via del Borghettino. Ma fortunatamente vennero rilasciati incolumi quando i soldati si allontanarono dal paese con l’avanzare dell’esercito alleato.

Il 26 luglio 1944 Monterchi venne liberata dalle truppe alleate.

 

Monumento ai Caduti di tutte le guerre di Monterchi, in via della Piaggia.

 

 

Da Monterchi si intraprende la Strada Provinciale 42 (SP42) e si procede in direzione nordovest per poi prendere dopo alcuni chilometri la Strada Statale 73 (SS73) ed infine la Valcelle San Lorenzo che ci porterà ad Anghiari, dopo circa dieci minuti di tragitto.

 

 

2° Tappa

ANGHIARI

 

Borgo situato a 429 metri di altezza sul livello del mare, su una dorsale che divide la Valtiberina dalla valle del torrente Sovara, posto all’estremo ovest della Toscana non lontano dal confine con l’Umbria. In questo luogo si combatté nel 1440 la mitica battaglia di Anghiari tra la Repubblica di Firenze e le truppe milanesi dei visconti, battaglia resa celebre da un murale di Leonardo Da Vinci oggi andato perduto.

Percorrendo la strada che da Anghiari conduce a Caprese Michelangelo si arriva alla minuscola frazione di Motina. Qui alla nostra destra era situato il campo di internamento di Renicci, uno dei peggiori campi di concentramento d’Italia per numero di internati e per i comportamenti tenuti dal personale di sorveglianza[5]. Inizialmente realizzato per ospitare prevalentemente prigionieri sloveni e croati, dall’agosto del 1943, con la caduta del fascismo e l’avvicinarsi delle truppe alleate, vi vennero traferiti anche i confinati politici, provenienti dalla colonia di Ustica, ed altre centinaia di confinati, fra cui gli anarchici, dalle colonie di Ventotene e Ponza.

 

Campo di Renicci, estate 1943.

 

Con l’arrivo dei prigionieri politici cambiò l’atmosfera nel campo ed iniziarono proteste, scioperi della fame e dimostrazioni. E dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, quando diversi soldati italiani cominciarono a disertare alla spicciolata e dunque il servizio di guardia si era allentato, gli internati, temendo di cadere nelle mani dei nazisti, abbatterono i cancelli del campo e lo evacuarono in massa. Si parla di circa 5.000 fuggiaschi e molti di essi si unirono alle formazioni partigiane della zona. Per questo motivo agli inizi di novembre venne effettuato un capillare rastrellamento ad opera dei nazifascisti che investì tutto il territorio: dai monti della Valtiberina toscana ai due lati del Tevere, tra Caprese Michelangelo e il passo di Viamaggio. L’operazione si proponeva di ripulire tutta la zona dalla variegata comunità di fuggiaschi che vi avevano trovato rifugio: oltre agli internati slavi, vi erano anche renitenti e disertori italiani ed ex-prigionieri anglo-americani. Ma il rastrellamento produsse risultati molto modesti, anche perché la popolazione continuò a mostrarsi sempre solidare con gli uomini alla macchia[6].

Per decenni il luogo nel quale si trovava il Campo di Renicci è rimasto sepolto nella memoria storica, fino a che, nel 2009, all’interno dell’area del campo è stato realizzato un giardino[7], che ospita ogni anno le celebrazioni legate alla Giornata della Memoria. All’interno del giardino sono riportati dei cartelloni che spiegano la storia del campo di concentramento e un monumento realizzato dagli studenti dell’Istituto d’Arte di Anghiari.

 

Ingresso del giardino della memoria, Anghiari.

 

Cartello informativo.

 

A lato della strada provinciale della Libbia è posta una lapide commemorativa all’interno di una piccola area di rispetto per ricordare l’atroce eccidio al Valico della Scheggia di quei cinque giovani partigiani di Monterchi di cui abbiamo narrato i fatti nella tappa precedente.

 

Lapide in memoria dell’eccidio al Valico della Scheggia, Anghiari.

 

Anghiari a metà luglio del ‘44 si ritrovava poco più a sud della Linea Gotica e forti erano i combattimenti nell’area di Arezzo che era stata appena liberata dagli Alleati. In questo contesto di forte presenza militare a causa della vicinanza del fronte, a Tortigliano, una frazione del comune di Anghiari, il 17 luglio 1944 si verificò un brutale episodio: don Domenico Mencaroni, giovane parroco di Toppole a Verrazzano, venne fucilato dai tedeschi dopo essere stato pesantemente percosso per farsi rivelare informazioni riguardanti i partigiani. Egli era da tempo ricercato per gli stretti rapporti di collaborazione che aveva con i partigiani della zona e per il sospetto che conservasse copie dell’“Osservatore Romano” e dell’“Avvenire” con articoli di contenuto ostile al nazionalsocialismo[8]. Il suo contributo era risultato in più di un’occasione determinante per la riuscita delle azioni di guerriglia.

Chi oggi volesse conoscerne il volto lo trova raffigurato nella lapide collocata nel decennale della fine della guerra all’interno dell’ex Seminario di Sansepolcro (l’attuale scuola di Ragioneria). Mentre in località Subbiano (confine meridionale del Casentino) nel cimitero locale è presente una cappella dedicata ai caduti della Resistenza ed una delle quattordici lapidi è proprio quella di don Domenico Mencaroni.

Un altro sacerdote attivo sempre ad Anghiari che trovò la morte il 15 giugno del ’44 nel carcere di Arezzo fu il parroco di Casenevole, don Giuseppe Tani, fratello di Sante Tani, capo della Resistenza aretina. Egli era stato arrestato alla fine di maggio insieme al fratello e ad Aroldo Rossi, entrambi partigiani aretini rifugiatisi nella sua canonica. A lungo sottoposti a interrogatorio e torturati in carcere, i tre prigionieri furono fucilati insieme ad altri tre partigiani che tentarono di farli evadere.

Il 16 agosto ad Anghiari arrivarono i tanto attesi liberatori: un distaccamento alleato composto da polacchi ed indiani. Ma purtroppo i lutti e le sofferenze non erano finiti… due giorni dopo esplose un ordigno ad alto potenziale, nascosto dai nazisti in ritirata nel pozzo della caserma dei carabinieri, provocando la completa distruzione dell’edificio e causando la morte di 17 persone fra carabinieri e civili.

Antonio Ferrini, subito sopraggiunto, così racconta: “Al posto della caserma non si scorgeva che qualche rudere fumante ed un ammasso di macerie cosparsi di frammenti di carne umana e di arti troncati; rimasi come pietrificato dinanzi ad un sì orrendo spettacolo, accorsero altre persone ed allora mi riscossi, ponendomi con esse a ricercare e liberare i corpi affioranti di carabinieri e civili semisepolti, straziati nelle carni dalla terribile esplosione[9].

Sulla tragedia di Anghiari sottolinea Alvaro Tacchini nel suo libro “Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere”, incombono ancora dubbi e sospetti, in quanto da giorni si sapeva che i nazisti avrebbero piazzato una bomba nella cisterna dell’edificio e forse questo rischio fu gravemente sottovalutato[10].

Sul luogo del misfatto è oggi posto un cippo per ricordare qui tragici fatti

 

Cippo in memoria della strage collocato in via Nova, vicino ai giardini.

 

Da Anghiari prendiamo la Strada Provinciale 47 (SP47) e la percorriamo per circa venti minuti fino ad arrivare a Caprese Michelangelo.

 

3° Tappa

CAPRESE MICHELANGELO

 

Caprese Michelangelo è un paese circondato da splendidi boschi a nord-est dell’Alpe di Catenaia che deve il suo nome al famoso pittore che vi nacque nel XV secolo. Da questo paese si accede a numerosi sentieri dell’Alpe sul versante della Valtiberina.

Oltre che per la natura che la circonda Caprese Michelangelo è nota per l’antica tradizione della coltivazione delle castagne, un tempo principale fonte di sostentamento della popolazione locale. Ed è proprio in quei castagneti che trovarono rifugio e nascondiglio, durante la seconda guerra mondiale, centinaia di slavi e croati, fuggiti dal vicino campo di internati civili di Renicci d’Anghiari, all’indomani dell’8 settembre ‘43, dove sostarono alcune settimane prima di disperdersi nelle macchie appenniniche o di raggiungere la riviera adriatica per tentare il loro ritorno in patria. Ricevettero aiuto e sostentamento da tutta la popolazione capresana che era solita dare asilo a fuggiaschi e perseguitati. Tutti i giorni le famiglie consideravano un loro dovere cristiano il portare una minestra calda e un tozzo di pane ai rifugiati[11]. Il parroco di Sigliano nel suo diario così scriveva: “I fuggiaschi si annidavano nei boschi vicini, ma non tardarono a venire, spinti dalla fame nelle nostre case, e tutti si fece a gara nel prodigare a loro aiuti ed assistenza. Devo dire, in verità, che si comportarono assai bene, si contentarono di quello che si poteva dare loro e si mostravano educati e rispettosi. Feci amicizia con molti e tenni la mia tavola apparecchiata per loro ogni volta che venivano[12].

Questo moto di solidarietà trovò immediato sostegno anche nel Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista di Arezzo che promosse l’assistenza ai prigionieri alleati e slavi evasi dal campo di Renicci e da quello di Laterina.

Gli slavi di Renicci rappresentarono una componente di rilievo del movimento di Resistenza dell’Appennino umbro-tosco-marchigiano: nel dicembre del ’43 coloro che erano rimasti ancora nei boschi di Caprese costituirono due bande agguerrite per combattere a fianco dei partigiani aretini fino alla Liberazione.

Il 14 giugno 1944 in uno scontro a fuoco presso Chiusi della Verna alcuni partigiani slavi uccisero un tedesco e come risposta i nazisti scatenarono la loro rabbia contro la popolazione inerme di Chiusi ammazzando dieci civili innocenti e quanti incontrarono per la strada provinciale che scendeva verso Pieve Santo Stefano, secondo la loro legge che per ogni tedesco ucciso bisognava ammazzare dieci italiani. Alcuni soldati tedeschi di passaggio su un camion lungo l’arteria uccisero i due fratelli Elmo e Quinto Romolini abitanti di Caprese Michelangelo. Essi commerciavano in uova e legname e stavano scendendo a piedi all’alba del 14 giugno a Pieve Santo Stefano per il mercato[13].

Nel luogo dell’uccisione dei due fratelli lungo la strada provinciale 208 della Verna che conduce a Pieve Santo Stefano è stato eretto un cippo commemorativo.

 

L’iscrizione sul cippo così recita: “In una triste sera di sangue, il 14 luglio 1944, trucidati dal ferro tedesco caddero qui i fratelli Elmo e Quinto Romolini, senza un saluto delle famiglie in attesa, senza sapere perché morivano”.

 

Il 13 aprile del ’44 il territorio di Caprese Michelangelo fu investito da un massiccio rastrellamento volto ad eliminare la presenza partigiana dalle posizioni della Linea Gotica. Vi fu un duro scontro tra slavi e nazifascisti, nel corso del quale persero la vita, per proteggere la ritirata dei propri compagni nella boscaglia, lo studente sloveno Dusan Bordon e il russo Pjotr Fesiipovic.

Il 13 aprile 2024, a ottant’anni esatti dalla loro uccisione, è stato inaugurato, presso Samprocino, nei pressi di Caprese Michelangelo, il monumento ai partigiani caduti in combattimento che hanno dato la loro vita per la libertà.

 

Monumento ai partigiani Dusan Bordon e Pjotr Fesiipovic caduti in combattimento, Caprese Michelangelo.

 

Il territorio di Caprese Michelangelo per tutto il mese di agosto durante la ritirata dei nazisti e l’avanzata dell’esercito alleato fu teatro di scontri con bombardamenti aerei e fuoco incessante delle opposte artiglierie. Nel corso delle operazioni furono distrutte e danneggiate gran parte delle case del paese. Il capoluogo fu liberato il 24 agosto ma le operazioni nel vasto territorio comunale continuarono fino alla fine del mese.

 

Monumento ai Caduti di tutte le guerre a Caprese Michelangelo, in via Capoluogo, posizionato in un’area verde a lato della strada.

 

 

NOTE:

[1] Giuseppe Bartolomei, I sentieri della guerra. Zibaldone di voci, di impressioni e di notizie sulla guerra in Valtiberina e dintorni, ITEA Editrice, Anghiari 1994, pp. 119-22.

[2] Alvaro Tacchini, Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.

[3] Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Tip. Badiali, Arezzo 1957, p. 487.

[4] Valico della Scheggia, Anghiari 26 giugno 1944 in https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3570

[5] Cfr. Giorgio Sacchetti, Renicci 1943. Internati anarchici. Storie di vita del campo 97, Aracne, Roma 2013.

[6] Ivan Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Pagnini, Firenze 1994, p. 20.

[7] Il Giardino fu istituito su iniziativa promossa dal Comune, in collaborazione col Teatro di Anghiari, Compagnia dei Ricomposti, Mea Revolutionae, ANPI, Istituto d’Arte, Associazione Cultura della Pace, e con la messa in opera delle sculture di Gianfranco Giorni.

[8] Tersilio Rossi, La valle dei castagni. Memorie di lotta partigiana tra i monti di Caprese, ILA Palma, Palermo-Sào Paulo 1986, pp. 226-7.

[9] A. Tacchini, L’esplosione della caserma dei carabinieri ad Anghiari, in Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, cit., https://www.storiatifernate.it/id/lesplosione-della-caserma-dei-carabinieri-ad-anghiari/

[10] Ibidem.

[11] Lorenzo Bedeschi, La Resistenza in Valtiberina in La Resistenza dei cattolici sulla Linea Gotica, (a cura di) Silvio Tramontin, Edizioni cooperativa culturale “Giorgio La Pira”, Sansepolcro 1983, p. 172.

[12] A. Tacchini, Gli internati slavi di Renicci: fuga e solidarietà popolare, in Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, cit., https://www.storiatifernate.it/id/partigiani-slavi-nel-capresano/

[13] Sull’uccisione dei fratelli Romolini di Caprese Michelangelo cfr. T. Rossi, La valle dei castagni, cit., pp. 217-25; e Fiori Giovannino (a cura di), La memoria della gente comune. Nel cinquantesimo Anniversario della Liberazione di Caprese Michelangelo, ITEA, Anghiari 1994, pp. 114-5.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di novembre 2024.




Foiano della Chiana tra Fascismo e Resistenza. Breve percorso della memoria

Prima di procedere con il percorso resistente, voglio qui ricordare, seppur brevemente, la Storia di Foiano della Chiana, Comune della provincia di Arezzo, nella Valdichiana.

Foiano venne liberata il 4 luglio 1944, assieme con Marciano della Chiana e Monte San Savino. Due giorni prima era stato liberato Lucignano e il 3 luglio venne liberata Cortona, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].

Il Comune di Foiano ha subito particolarmente l’avvento del Fascismo, sino ai tragici eventi della Seconda Guerra mondiale e della Resistenza. Con il progressivo affermarsi del Fascismo, Foiano, la cui amministrazione aveva aderito in blocco al neocostituito Partito Comunista d’Italia, divenne un obiettivo primario per gli squadristi della zona, i quali nei primi mesi del 1921, iniziarono a devastare e terrorizzare la Valdichiana con spedizioni punitive. Il 12 aprile il municipio venne colpito da un attacco squadrista volto a far dimettere la giunta. Il 17 aprile, un camion con a bordo una ventina di fascisti, guidati da un ufficiale in forza al 70° fanteria di Arezzo, compì una seconda spedizione a Foiano e nei dintorni. Una volta terminato il raid, gli squadristi si fermarono nella cittadina per pranzare. Successivamente, il gruppo si divise: una parte rimase a Foiano, mentre una ventina partirono a bordo dell’autocarro alla volta di Arezzo. Poco dopo, in località Renzino [2], il camion cadde in un’imboscata tesa da alcuni contadini della zona, guidati da Bernardo Melacci e Galliano Gervasi. Nel corso dell’attacco, tre squadristi rimasero uccisi. I fascisti superstiti però, dopo essere riusciti a chiedere rinforzi dalle città vicine, contrattaccarono. Le campagne foianesi divennero così teatro di una caccia all’uomo che culminò con l’assassinio di due uomini ed una donna. Poco dopo, in paese, i fascisti giustiziarono un comunista che si era rifiutato di rinnegare i propri ideali. Il giorno seguente, una colonna di squadristi fiorentini e ferraresi, guidata da Tullio Tamburini, occupò il paese, costringendo il deputato socialista Ferruccio Bernardini, sequestrato ad Arezzo dalle stesse camicie nere, ad un elogio del fascismo sulla pubblica piazza. Poco dopo anche un socialista del luogo venne trascinato nella medesima piazza per compiere abiura. Al suo rifiuto, venne assassinato. Nei giorni seguenti, le violenze fasciste, nonostante una delegazione di contadini si fosse recata da Tamburini a supplicare la fine delle rappresaglie, continueranno indisturbate [3]. Quello che accadde a Renzino cento anni fa è stato sicuramente uno degli episodi di lotta allo squadrismo fascista tra i più rilevanti a livello nazionale.

Negli anni la situazione non migliorò. Messa a dura prova dalla Seconda guerra mondiale, la cittadina pagò un notevole prezzo a livello di vite umane e distruzioni. L’8 giugno 1944, tre partigiani vennero fucilati dai militi fascisti della GNR (Guardia nazionale repubblicana) in Piazza Garibaldi.

Quella stessa mattina, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi, detenuti presso la caserma dei Carabinieri di Foiano della Chiana, vennero prelevati dalla loro cella e condotti in quella stessa Piazza, dove furono fucilati da un plotone d’esecuzione composto da legionari della Compagnia OP della G.N.R. di Bergamo [4].

Il 2 luglio successivo, Foiano della Chiana fu liberata dagli alleati. Teatro di scontri tra le truppe alleate e quelle tedesche, Foiano ospita oggi un cimitero militare inglese, in cui sono sepolti i soldati d’Oltremanica caduti nelle azioni militari locali.

L’Archivio storico dell’antifascismo locale, nato negli anni ’50 per iniziativa dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) sezione Licio Nencetti, conserva una preziosissima raccolta di fonti storiografiche sulla Lotta di Liberazione in provincia di Arezzo.

Il giorno successivo alla liberazione di Foiano della Chiana da parte delle truppe anglo-americane, infatti, dalla locale casa del Fascio, parzialmente distrutta dalle truppe tedesche in ritirata, che avevano minato e fatto saltare la torre civica, vennero recuperati dai partigiani i documenti delle milizie mussoliniane. Nella stessa sede si insediò il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) costituito su impulso di Galliano Gervasi, che fu tra i protagonisti della rivolta di Renzino e successivamente sindaco di Foiano e componente dell’Assemblea costituente. Quelle carte recuperate dalle macerie, insieme ai documenti del CLN, andarono a costituire il primo nucleo documentario dell’Archivio foianese.

Di lì a poco venne fondata la locale sezione dei partigiani, che riuniva combattenti antifascisti, patrioti e tutti coloro che avevano contribuito a liberare l’Italia dai nazifascisti durante il periodo Resistenziale. L’ANPI di Foiano della Chiana ereditò la sede del Comitato di Liberazione e gli associati si dedicarono alla raccolta delle informazioni per l’ottenimento di indennità, riconoscimenti di medaglie al valore, pensioni e forme di assistenza per gli ex combattenti e per le famiglie dei caduti [5].

 

Le tappe del percorso foianese

La prima meta nel percorso è Piazza Fra’ Benedetto, a Foiano della Chiana.

Qui il 2 luglio 1944, due giorni prima del ritiro definitivo dei tedeschi, venne ucciso senza apparente motivo il giovane Cesare Marchi.

  • A soli pochi passi, in Piazza Cavour, n.1, sulla facciata esterna del Municipio, è posta la targa ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi.

Pietre della Memoria, 5602 – Lapide ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi – Foiano della Chiana, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-ai-partigiani-sarri-antonini-e-grazi/

  • Non molto distante, in via via Martiri della Libertà/ piazza Garibaldi, si trova anche questa lapide ad Antonini, Grazi e Sarri.

Giovanni Baldini, Lapide ad Antonini, Grazi e Sarri, in ResistenzaToscana.it,  23-10-2007, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_ad_antonini_grazi_e_sarri/

Facciata del Municipio

  • Tra Piazza Garibaldi e via Indipendenza troviamo invece la targa commemorativa di Igino Milani, capolega di 35 anni, lavoratore dell’agenzia tabacchi di Foiano, sequestrato sul posto di lavoro, torturato e seviziato, morto per mano dei fascisti nell’aprile 1921, nel corso della feroce rappresaglia che seguì lo scontro armato di Renzino.

Lapide a Milani, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_a_milani/

  • A cinque minuti a piedi, arriviamo al giardino pubblico comunale di piazza Caduti della Resistenza, dove, al centro, si erge il monumento-fontana ai martiri della resistenza. Il monumento ricorda la fucilazione di tre partigiani, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi per mano dei nazifascisti, avvenuta l’8 giugno 1944 durante la Festa del Corpus Domini. La fontana, circolare, presenta la forma di un giglio. La base è costituita da tre grandi massi in ognuno dei quali è inciso in rilievo il nome di un partigiano. Lungo il lastricato, che si trova tra la fontana e la recinzione in ferro battuto, è posta una lapide commemorativa in pietra.

5597 – Monumento-fontana ai martiri della resistenza – Foiano della Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/fontana-di-piazza-dei-caduti-della-resistenza-di-foiano-della-chiana/

  • A soli 15 minuti a piedi (4 in auto), si trova, in località Renzino, il Commonwealth War Cemetery, dove riposano le spoglie di 256 soldati. Progettato da Louis de Soissons, è un cimitero di guerra, che originariamente accoglieva i soldati della 4ª Divisione e che, in seguito fu ampliato per le sepolture dei militari caduti in tutta l’area della Valdichiana e del Valdarno [6]. La maggior parte delle sepolture nel cimitero risalgono comunque alle prime due settimane di luglio 1944.

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/

Mappa del percorso escursionistico a Foiano della Chiana (Ar)

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/

  • In circa 1ora a piedi (8 minuti in auto), in direzione nord, si può raggiungere la località di Pozzo della Chiana, dove il 26 giugno 1944 si verificò una ribellione dei contadini arrabbiati per le requisizioni tedesche nella zona. A tale atto seguirono rappresaglie da parte delle truppe naziste. Quel giorno morirono, in due episodi diversi, due uomini: Nazzaro Biagini, sfollato con la famiglia, venne ucciso nella frazione di Pozzo, mentre nel pomeriggio, una casa colonica in località Pagliericcio (Comune di Castel San Niccolò, nel Casentinese) venne fatta saltare in aria e incendiata con il proprietario dentro, il giovane Alberto Ginestrini. La matrice era la stessa dell’episodio antecedente, una punizione, da parte dei tedeschi per la rivolta dei contadini.

A Pozzo, nessuna targa pare ricordare l’evento.

Da Pozzo si può proseguire, camminando, verso Marciano della Chiana, continuando così il sentiero nella Valdichiana.

 

Note

1. Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

2.Sulla rivolta di Renzino si veda, Giulio Bigozzi, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]

3. Cfr. Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]

4. Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]

5. Francesco Bellacci, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024].

6. Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/  [consultato  il 10 novembre 2024]

 

Bibliografia e sitografia:

Bellacci Francesco, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024]

Bigozzi Giulio, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]

Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]

Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/  [consultato  il 10 novembre 2024]

Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 Giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di novembre 2024.




Camminando nella Resistenza tra i Comuni della Valdichiana aretina. Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino

Prima di procedere con il percorso resistente, è opportuno ricordare, seppur brevemente, la Storia dei Comuni interessati.

Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino sono Comuni della provincia di Arezzo, nella Valdichiana toscana, i primi ad essere stati liberati dagli Alleati nell’Aretino: il 2 luglio 1944, venne liberato Lucignano, il giorno successivo Cortona, il 4 luglio, Marciano della Chiana e Monte San Savino e Foiano della Chiana, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].

Vediamo più da vicino la loro storia durante e dopo il Fascismo.

Partiamo da Lucignano, piccolo Comune impegnato nella lotta di liberazione, liberato dagli alleati il 2 luglio 1944. Degno di nota è qui Licio Nencetti, il giovane capo partigiano lucignanese, insignito della Medaglia d’oro al valore militare, che fu fucilato dai fascisti a Talla, il 26 maggio del 1944[2]. Altri lucignanesi che si ribellarono ai nazifascisti sono Ugo Masini (15 gennaio 1923-3 luglio 1944) ed Augusto Toti (29 luglio 1921-17 luglio 1944), che pagarono con la vita la loro sete di libertà. Ugo Masini, giovane caporale, dopo l’8 settembre ’43, era riuscito a tornare a Lucignano dove iniziò l’attività clandestina collaborando con la “Teppa” di Licio Nencetti. Fu ucciso negli stessi giorni della Liberazione di Lucignano, quando la sua formazione, a seguito di una delazione, fu attaccata il 2 luglio dai nazifascisti nei pressi di Camagiura (Arezzo) ed interamente sterminata [3].

Augusto Toti, sottotenente, tornato a casa dopo l’8 settembre 1943, conobbe il maggiore Cesare Caponi, con il quale iniziò il lavoro per l’organizzazione di formazioni partigiane. Raggiunto il comando italiano del fronte sud, l’8 novembre 1943, per consegnare un messaggio segreto, prese parte ai combattimenti di Cassino, Balzo della Cicogna, Guardiagrele e morì il 17 luglio 1944, (il giorno dopo la liberazione di Arezzo) al comando di un’importante operazione nei pressi di Rustico.

Della banda di Nencetti faceva parte anche Ezio Raspanti [4], da poco scomparso, che – per anni- ha mantenuto viva nelle nuove generazioni la memoria di quegli eventi. Insignito della Medaglia d’argento al valore militare per le azioni della Resistenza, ottenne anche altre prestigiose onorificenze e riconoscimenti per il suo impegno: nel 2003 fondò l’Istituto storico per l’Antifascismo e la Resistenza in Valdichiana; l’11 luglio 2004 fu nominato cittadino onorario del Comune di Capolona e il 29 luglio 2006 del Comune di Castel Focognano. Con Decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2011, venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Ezio Raspanti, “Mascotte” nella “Teppa”, fu giovanissimo compagno di lotta e grande amico di Nencetti, ed ha raccontato in tutti questi anni attraverso disegni e scritti, con un costante lavoro di ricerca e ricostruzione storica, gli avvenimenti legati alla Resistenza ]5].

Il territorio di Marciano della Chiana, liberata il 4 luglio 1944, non subì invece particolari eventi tragici, almeno dalle fonti a mia disposizione. Si ricorda comunque la morte di Luigi Pecchi, ucciso il giorno prima della tanto agognata libertà, dai soldati tedeschi [6].

Più facile da ricostruire è invece la storia di Monte San Savino. Il ventennio fascista vede Monte San Savino calato nel «definitivo amalgama di quelle forze sociali che il fascismo era riuscito a coagulare e utilizzare, e che trovò espressione politica nella gestione delle amministrazioni comunali» (Galli). Già nel 1924, il Consiglio comunale, all’unanimità, conferì – su proposta di G. Veltroni, segretario politico del fascio locale – la cittadinanza onoraria a Mussolini “quale modesto significativo riconoscimento” della sua grandiosa opera per la “ricostruzione nazionale”, mentre più tardi, facendo eco alla diligente applicazione delle leggi razziali del ’38, appariva su “Giovinezza” del 13 febbraio 1939 un articolo a firma di P.F.V. che ricordava come i savinesi potessero ‘vantarsi’ d’aver già allontanato a suo tempo nel 1799, dando sfogo «alla loro giusta vendetta», tutti i membri dell’antica comunità ebraica savinese con esplicita dichiarazione che «oggi il paese non conta alcun ebreo!». Rimaneva però viva, durante gli anni della dittatura, una solida organizzazione antifascista che avrebbe dato un notevole contributo alla Resistenza.

Nel Secondo Conflitto mondiale, Monte San Savino ricorda 23 morti sul campo (fra cui Pietro Valeri), 22 dispersi, 15 persone decedute per cause belliche e 11 vittime per rappresaglie tedesche (fra cui due donne, Gina Valeri e Gesuina Sestini); particolare sgomento suscitarono la fucilazione del sottotenente Luigi Carletti, l’impiccagione di Del Bellino e, in seguito, l’imboscata che costò la vita a Giuseppe Civitelli. Fin dall’annuncio dell’arresto di Mussolini (25 luglio ’43) e dopo la resa dell’Italia (8 settembre)  si assistette a Monte San Savino alla distruzione dei fasci littori e alla smobilitazione di quant’altro simboleggiava il regime fascista. Ben presto fu creato il CLN comunale savinese. Il paese fu duramente colpito dalle truppe tedesche in ritirata che si abbandonarono a violenze ed uccisioni, tuttavia, coraggiosamente contrastate da elementi della resistenza locale. Le incursioni aeree alleate iniziate il 17 gennaio ’44 causarono, oltre che diversi feriti, tre morti in località Brancoleta. Dopo la liberazione del 4 luglio 1944, Monte San Savino ospitò il quartier generale tattico dell’VIII Armata, al comando del generale Oliver Leese, cui re Giorgio d’Inghilterra in persona fece visita il 26 luglio [7].

 

Alessandro Bargellini, lapide a re Giorgio, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_re_giorgio/ 43,331187N, 11,723721E | 43° 19.871N, 11° 43.423E

Il percorso escursionistico:

La prima meta del percorso è Badicorte, nel Comune di Marciano della Chiana.

Volendo unire tale percorso al sentiero di Foiano della Chiana, Badicorte si può raggiungere, proseguendo verso nord, da Pozzo della Chiana, in un’ora a piedi o in sei minuti in auto. Altrimenti, potrà essere raggiunta in auto autonomamente, cominciando da qui il percorso resistente.

Qui il 3 luglio 1944, alla vigilia della liberazione, venne fucilato Luigi Pecchi, che era stato trovato dai tedeschi in possesso di alcune armi, probabilmente facenti parte di un deposito dei partigiani. Nessuna targa o cippo ricordano l’evento (almeno da quel che ho potuto trovare).

La seconda meta del percorso resistente è Monte San Savino.

Nel Comune di Monte San Savino, dal 23 giugno 1944 al 30 giugno 1944, dopo una battaglia combattuta nella località di Montaltuzzo, nel Comune di Bucine (Arezzo) tra partigiani e tedeschi, reparti nazifascisti operarono un poderoso rastrellamento.

  • Per ricordare le tragiche vicende che avevano visto coinvolta la popolazione locale, la prima tappa del percorso sansavinese è Viale XXIV Maggio, dove si trova il monumento dedicato ai caduti per la resistenza, eretto nel trentennale della Liberazione.

 

Alessandro Bargellini, Monumento del trentennale, in ResistenzaToscana.it, 12-12-2008, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/monumento_del_trentennale/

A Monte San Savino, nel clima di rastrellamenti e di caccia al partigiano, tra il 2 e il 3 luglio 1944, tre uomini furono catturati nelle campagne, torturati e quindi fucilati da una pattuglia tedesca. Le vittime erano due civili, Mosè Gudini e Bruno Milaneschi e un partigiano, Luigi Carletti detto “Gigino”, senese residente a Monte San Savino, nonché sottotenente dell’Artiglieria contraerea del Regio Esercito e comandante di una squadra partigiana a Monte San Savino. Egli era già stato catturato il 28 giugno precedente con tutta la famiglia e lungamente interrogato. Gudini e Carletti furono ritrovati in un bosco dieci giorni più tardi.

  • La seconda tappa è, dunque, il Cimitero comunale, dove si trova il sepolcro dedicato a Luigi Carletti [8].

Alessandro Bargellini, Sepolcro di Carletti, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/sepolcro_di_carletti/ [consultato il 9 novembre 2024]

Presso il cimitero comunale di Monte San Savino (AR)

Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea

Luigi Carletti è un nome noto e centrale nella Storia locale. Cittadino savinese, partigiano del Raggruppamento “Monte Amiata”, ufficiale di artiglieria, membro dell’Azione Cattolica e laureando in Legge, fu trucidato dai nazisti nei boschi in località San Poerino a Monte San Savino a soli 23 anni, il 2 luglio del 1944.

L’8 settembre 1943, Carletti si trovava sul fronte francese in qualità di sottotenente dell’artiglieria contraerea. In seguito allo sbandamento generale, dopo parecchi giorni di faticoso cammino, giunse a Monte San Savino, ove poté riabbracciare i suoi cari. Animato da una fede incrollabile nella futura rinascita dell’Italia, cautamente, cominciò a svolgere la sua opera, preparando un piano di lotta contro i tedeschi. Assieme a diversi ex prigionieri alleati, si trovava nei pressi della sua proprietà, per procurare loro, a sue spese, vitto, vestiario, armi, onde agire al momento più opportuno, insieme coi partigiani.

Il 28 giugno 1944, un reparto della divisione Herman Goering fece irruzione nella villa, arrestando tutti i componenti della famiglia: essi, sotto l’accusa di antifascismo, vennero, per alcuni giorni, torturati, allo scopo di estorcere notizie precise sull’assistenza ai prigionieri alleati. Il padre fu ferito gravemente con le percosse e venne minacciato di fucilazione se entro due ore non avesse parlato. Riuscì miracolosamente ad evadere ed a mettersi in salvo nella notte del 30 giugno. I tedeschi infierirono maggiormente contro Luigi e, con incredibili torture, cercarono di strappargli, ad ogni costo, le notizie di loro interesse.

Le atroci torture durarono fino al mattino del 2 luglio, giorno in cui fu trascinato in un bosco e fucilato. Il suo corpo venne nascosto fra le frasche e fu ritrovato soltanto dopo nove giorni di ansiose ricerche con ancora evidentissimi i segni delle torture e delle sevizie subite. [Questi particolari sono stati narrati da testimoni oculari imprigionati anch’essi nella villa Carletti e le cui deposizioni, regolarmente firmate, furono consegnate al C.L.N. di Monte San Savino].

Anche la madre, Carolina Veltroni, e la sorella Licia, vennero deportate ed incarcerate a Firenze; riuscirono miracolosamente a salvarsi.

Villa Carletti

A Serarmonio, sulla via che va da Monte San Savino a Palazzuolo, si era infatti stabilita, verso la fine di giugno 1944, la Feldgendarmerie tedesca ed aveva installato nella villa dei Carletti quella che possiamo ritenere la sua “Villa triste”, come quella che i fascisti avevano organizzato a Firenze in funzione antipartigiana. La villa è ancora esistente.

È lì che il criminale nazista Heinz Barz, capitano della Wehrmacht, l’ufficiale nazista che svolse un ruolo di primo piano nella programmazione e nell’esecuzione delle stragi di Civitella, Cornia e San Pancrazio, faceva portare gli arrestati. Ed è lì che i nazisti conducevano i loro interrogatori, tra violenze e sevizie, come venne accertato dagli investigatori inglesi del SIB (Special Investigation Branch) che, a partire dall’estate 1944 – all’indomani di quei tragici eventi – condussero una vasta indagine avvalendosi anche della collaborazione dell’Arma dei Carabinieri italiani: decine e decine di testimoni vennero chiamati a riferire i fatti e a contribuire ad individuare i responsabili. Era la materia prima di un possibile processo che non si celebrò e che venne tenuta nascosta nell’ormai celebre “armadio della vergogna”. Il processo sarebbe poi stato avviato a La Spezia, soltanto 58 anni dopo, quando gran parte dei responsabili erano ormai deceduti.

A Villa Carletti venne portato Lorenzo Del Bellino, arrestato il 23 giugno 1944, mentre lavorava sul suo campo e che forse non comprese nemmeno ciò che gli veniva chiesto dai tedeschi e dunque non dette loro risposte soddisfacenti riguardo la cosiddetta battaglia di Montaltuzzo: dopo le sevizie, venne portato a Monte San Savino ed impiccato il 30 giugno 1944 ad un lampione nella Piazza del Legname. Sul corpo, che rimase esposto per due giorni, era stato messo un cartello con la seguente scritta: “così muoiono i partigiani della Cornia”.

  • La terza tappa sansavinese sarà dunque Piazza del Legname, al Porticciolo, dove è stata posta la targa dedicata a Del Bellino.

Alessandro Bargellini, Lapide a Del Bellino, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_del_bellino/

  • La quarta tappa è la Villa Serarmonio, la casa dove visse e dove morì Luigi Carletti e dove fu portato Del Bellino, distante 30 minuti a piedi dal Comune di Monte San Savino. Nella stessa villa vennero condotti i coniugi Cau, arrestati a Gebbia ed accusati di spionaggio a favore dei partigiani: il capitano Barz era stato avvisato, dunque sapeva benissimo che la signora Cau, al secolo Helga Elmqvist, era di nazionalità svedese e che godeva di immunità in base ai trattati fra Germania e Svezia. Eppure, dopo serrati interrogatori e maltrattamenti, la fece fucilare assieme al marito, il professor Giovanni Cau. I due corpi furono nascosti sotto la sabbia della Fornace Focardi, dove vennero rinvenuti, casualmente, solo nel 1950 e identificati dai parenti [9].
  • La quinta ed ultima tappa sansavinese è il tabernacolo intitolato a Carletti, in via di San Poerino [coordinate 43° 19.029N, 11° 42.266E].

Alessandro Bargellini, 12-12-2008 Tabernacolo a Carletti, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/tabernacolo_a_carletti/ [consultato l’11 novembre 2024]

Come riporta l’iscrizione:

Organizzatore comandante di patrioti

catturato dal nemico e seviziato

mentre riforniva i compagni

che rifiutò di tradire

LUIGI CARLETTI

ufficiale di artiglieria laureando in legge

il 2 VII 1944 a soli XXIII anni

cadeva per la salvezza d’Italia

ai genitori Antonio e Carolina

e alla sorella Licia

lasciando preziosa eredità di gloria

e un dolore che solo la fede lenisce.

 

Il lungo itinerario nella Storia e nella memoria dei Comuni di Marciano della Chiana, di Monte San Savino e, seppur solo di passaggio, nel Comune di Lucignano, potrà sia essere percorso per intero, sia per singoli Comuni.

 

Note

1.Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

2. Licio Nencetti, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].

3.Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].

4.Michele Lupetti, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]

5.Cfr. Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]

6.Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]

7.Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]

8.Cfr. Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp  [consultato il 9 novembre 2024]

9.Claudia Failli, Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]

 

Bibliografia e sitografia:

Carletti Luigi, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp  [consultato il 9 novembre 2024]

Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

Ead., Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]

Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].

Lupetti Michele, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]

Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]

Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]

Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]

Nencetti Licio, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di novembre 2024.




Tra bombardamenti ed eccidi, l’anno buio della guerra a Dicomano

Dicomano rappresenta al meglio la specificità delle valli appenniniche durante la resistenza nell’estate del 1944. La liberazione del 10 settembre simboleggia la fine di un incubo durato mesi e reso ancor più nefasto dalle stragi nazifasciste verificatesi a luglio. Prima è però importante per il lettore capire il significato di quelle stragi. Dobbiamo quindi illustrare che cosa rappresentano quelle zone nel contesto di guerra. Stiamo parlando di valli strette e ritenute abbandonate, al limite della regione, quindi considerate sicure. Sono al contrario estremamente strategiche perché rappresentano il passaggio tra Toscana e Emilia Romagna. Un passaggio decisivo, soprattutto la parte aretina, nella primavera del 1944, quando i comandi delle brigate Garibaldi decidono di creare una grande armata partigiana che doveva operare sull’Appennino per colpire sul forlivese e sull’aretino. Un progetto poi smantellato in seguito all’operazione di rappresaglia e rastrellamento nazista, deciso subito dopo le Ardeatine, che potremmo definire il punto di svolta sulla concezione da parte di Kesselring e dei comandi nazisti del pericolo partigiano, considerato da li in avanti potenzialmente pericolosi per le proprie truppe. Fino a quel momento non vi erano state stragi di matrice nazista infatti, era stato lasciato ai fascisti il controllo del territorio. Da quel momento cambia tutto. A quel punto, tutte le brigate partigiane che si stavano portando sull’Appennino per raggrupparsi, ovviamente devono separarsi per non essere catturate. Ed è per questo che quindi si verificò la divisione sui territori. Da quel momento l’Appennino diviene strategico, in quanto zona centrale dei combattimenti, e lo resterà finché la linea non si attesterà a Bologna, nell’autunno del 1944[1].

Per omaggiare al meglio il ricordo di quei mesi è doveroso quindi cercare di creare un itinerario che possa contenere tutti i luoghi della memoria di Dicomano, sia quelli in paese, sia i ceppi in ricordo delle vittime stragiste situate nelle varie località adiacenti.

 

Percorso

 

  • Percorso: Via Nazionale, località Contea, Dicomano (Cippo di Contea) – Piazza Francesco Buonamici, Dicomano (Lapide del bombardamento) – Piazza Trieste, Dicomano (Monumento ai caduti della resistenza) – Località Santa Lucia, Dicomano (Cippo di Santa Lucia)
  • Tempo di percorrenza: 2 ore
  • Distanza: 7,2 km
  • Dislivello: pianeggiante (+ 263 m – 143 m)

 

Il nostro percorso inizia da Via Nazionale, precisamente dalla località Contea, tra Montebello e Rufina, dove ci troveremo davanti al Cippo di Contea, in ricordo della doppia strage nazifascista del 7-8 luglio 1944. Ricordiamo che Dicomano sin dalla fine del giugno 1944 è stato teatro di requisizioni e rastrellamenti tedeschi, nonché di attività di bande partigiane. Già ai primi di luglio, a seguito di uno scontro armato con i partigiani tra Monte e Santa Lucia furono catturati come ostaggi quattordici persone del luogo, poi rilasciate grazie all’intervento di don Mario Faggi pievano di Dicomano. Il 7 luglio 1944 a Contea quattro contadini furono casualmente visti da un tedesco intento a lavarsi nel torrente Sieve mentre asportavano alcune bombe da una cassa di munizioni di provenienza non nota. I quattro probabilmente intendevano usare gli ordigni per pescare, ma furono accusati invece di volerli portare ai partigiani. Dopo che furono stati fermati, ai contadini venne intimato di scavare una fossa. Probabilmente infastidito dalle numerose e reiterate suppliche che gli rivolsero per aver salva la vita, il soldato tedesco li freddò a colpi di pistola. Subito dopo l’eccidio, una ventina di persone rastrellate in zona fu condotta dai militari sul luogo dell’uccisione dei quattro contadini per prendere visione, come monito, di quanto accaduto. I militari tedeschi, venuti a conoscenza che una delle quattro vittime, Albino Cecchini, era fratello del partigiano Armando Cecchini, ucciso in località Fungaia il 20 luglio, decisero di recarsi presso l’abitazione del Cecchini in località Capraia, nella parrocchia di Celle. L’8 luglio alcuni soldati vi irruppero sterminando la madre Rosa, la moglie Maria, il figlio Antonio di appena sei mesi e una nipote lì presente di sei anni. La casa venne in seguito incendiata e le salme dei familiari mantenute a lungo senza sepoltura per ordine del comando tedesco[2]. Una strage spietata che, come ricorda anche la lapide, non deve alla guerra questi morti, bensì:

 

«Non la guerra ma la ferocia

nazi-fascista

volle l’eccidio inconsulto e barbaro

che i limiti della storia non contengono

e che gli uomini non dimenticheranno»

 

Ci spostiamo poi a Dicomano paese, precisamente a piazza Francesco Buonamici, dove troveremo la lapide dedicata al bombardamento, che recita:

 

«…prima ci sono state altre guerre.

alla fine dell’ultima

c’erano vincitori e vinti.

fra i vinti la povera gente

faceva la fame. fra i vincitori

faceva la fame la povera gente ugualmente»

(B. Brecht)

Il riferimento è al bombardamento del 27 maggio del 1944, dove fu raso al suolo quasi tutto il Paese, ad eccezione dell’Oratorio di Sant’Onofrio. Quest’ultimo fu risparmiato dagli alleati in quanto consapevoli del fatto che al suo interno fossero presenti numerose opere d’arte. Venuti a conoscenza del fatto anche i nazisti, il 30 luglio 1944 il colonnello Langsdorff, senza nessun accordo o autorizzazione da parte della Soprintendenza fiorentina, si recò a Dicomano e caricò alcuni camion tedeschi con circa 26 casse contenenti alcune sculture conservate nell’oratorio. Questa operazione venne giustificata in quanto ritenuto più sicuro allontanare le opere da territori che avrebbero potuto essere potenzialmente pericolosi per custodirle all’interno di nuovi depositi istituiti in Alto Adige (territorio in pieno controllo nazifascista). L’autorizzazione per questo spostamento venne data dal Generale Wolff, il quale diresse le operazioni di trasporto indirizzandole prima verso enti ecclesiastici, come parrocchie e monasteri, poi verso i due nuovi depositi: il Castello di Neumelands a Campo Tures e il carcere abbandonato a San Leonardo in Passiria, entrambi lungo il passo del Brennero. L’11 agosto 1944 furono trasferite a Campo Tures le opere provenienti dall’Oratorio di Sant’Onofrio. Torneranno in Toscana soltanto a guerra conclusa, il 22 luglio del 1945, con un’importante cerimonia, in Piazza della Signoria a Firenze, dove furono accolte da tutti gli abitanti della città e ricollocate nei rispettivi musei di appartenenza[3].

Dopodiché ci spostiamo di qualche centinaio di metri verso piazza Trieste, dove potremmo ammirare il Monumento ai caduti della resistenza, inaugurato nel 1964 e portante i nomi dei cittadini che hanno dato la vita per la libertà. Ultima tappa, ma non per importanza, è il Cippo di Santa Lucia, situato nell’omonima località, in ricordo di Arturo Fabbri, Armando Cecchini e Aimo Fritelli che caddero durante quel luogo durante uno scontro da arma da fuoco.

 

 

 

Note

 

[1] Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino Toscano, Badiali, Arezzo, 1957, pp. 23-45.

 

[2] Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi nazifasciste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma, 2009, pp. 191-192.

 

[3] Frederick Hartt, L’Arte Fiorentina Sotto Tiro, Edizioni Clichy, Firenze, 2014, pp. 150-179.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

 

Articolo pubblicato nel novembre 2024.




L’itinerario dei luoghi della memoria a Prato

I bombardamenti, le macerie, le deportazioni e la sofferenza di una popolazione. Questa è Prato durante la guerra e l’occupazione nazifascista. Una città che soprattutto nell’anno che precede la liberazione si vede stretta tra due paure: i bombardamenti alleati incombenti e i rastrellamenti ad opera delle forze naziste di occupazione, soprattutto dopo lo sciopero generale del marzo del 1944. L’idea di questo percorso è di guidare il visitatore alla scoperta dei luoghi della memoria che maggiormente hanno caratterizzato il periodo descritto. In un viaggio che possa portare sia alla conoscenza che al ricordo di persone che diedero la vita per la libertà e che non meritano di essere menzionate solo durante anniversari e commemorazioni.

Percorso

  • Percorso: Piazza Santa Maria delle Carceri, Prato (Castello dell’Imperatore) – Piazza del Comune, Prato (Lapide ai caduti nei campi di concentramento) – Via Galcianese 17/2, Prato (Cripta dei deportati) – Via di Cantagallo 250, Prato (Museo della Deportazione e Resistenza) – Via 29 Martiri, Prato (Monumento ai 29 martiri di Figline)
  • Distanza: 7,4 km
  • Dislivello: pianeggiante (+ 61 m – 9 m)

 

Il nostro percorso inizia da Piazza Santa Maria delle Carceri. Siamo nel pieno centro di Prato, e qui ci troveremo davanti al Castello dell’Imperatore. Chiamato anche Fortezza di S. Barbara o Castello Svevo, la sua costruzione fu iniziata nel 1248 per volere dell’imperatore Federico II di Svevia, nell’ambito di un progetto finalizzato a porre sotto controllo militare le principali vie di comunicazioni che dal sud del paese portavano in Germania. Eppure, quella che può essere considerata come la più importante testimonianza architettonica del XIII° secolo presente nella città di Prato, è invece ricordata per l’eccidio che ne porta il nome, riconducibile alle esecuzioni subite dai fascisti locali da parte di una popolazione travolta dalla rabbia nelle ore seguenti alla liberazione. Spostandoci di qualche centinaio di metri arriveremo a Piazza del Comune dove potremmo osservare la Lapide ai caduti nei campi di concentramento. Da qui ci spostiamo verso il cimitero della Misericordia, in via Galcianese, dove è doveroso andare a commemorare la cripta dei deportati. Inaugurata nel 1948, la cripta si trova nel sottosuolo del cimitero, ponendo di fronte al visitatore tutte le vittime dei campi di concentramento, in un’atmosfera di assoluta sacralità. Per raggiungerla bisogna entrare dal secondo ingresso del cimitero, qui c’è una porta a vetri che conduce a delle scale, la cripta è a metà della galleria di Santa Caterina. Se questa porta fosse chiusa è possibile accedere alla cripta entrando dal primo ingresso e scendendo le scale che si trovano sulla sinistra, si percorre tutta la galleria La Pira e poi a destra lungo la galleria Santa Caterina.

Una volta usciti dal cimitero doverosa è una visita al Museo della Deportazione e Resistenza pratese.

Fondato nel 2002, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, grazie al lavoro dell’ANED, e dell’allora suo Presidente Roberto Castellani, e al Comune di Prato. È una delle poche strutture museali in Italia a essere dedicata alla conservazione della memoria della deportazione. Nel 2008 il Museo è diventato Fondazione con il nome di Fondazione Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza – Luoghi della Memoria Toscana, nel 2012 è stato accreditato come museo di rilevanza regionale. Presso il Museo vengono organizzate visite guidate, proiezioni di film/documentari, laboratori di indagine sulle fonti storiche. Il percorso all’interno del Museo è concepito come un viaggio simbolico in un campo di concentramento e di sterminio nazista. Nella prima sala sono esposti pannelli di carattere storico con schede, documenti e cartine sul sistema concentrazionario nazista, sull’organizzazione interna del lager, sulla deportazione dall’Italia, sulla persecuzione degli ebrei in Toscana e sulla vicenda regionale della deportazione politica con testi, foto e cartine dedicate al campo di Ebensee. La seconda sala del Museo introduce invece il visitatore al contatto con la realtà e i simboli del campo di concentramento. I vari oggetti esposti posseggono un indubbio valore di testimonianza e sono illustrati da didascalie con citazioni tratte dalla memorialistica, da interviste di superstiti prevalentemente toscani e anche dai libri di Primo Levi. Un’altra iniziativa lodevole da parte del Museo, volta all’integrazione storica con tutta la vasta popolazione cinese nel territorio, è stata la realizzazione di una guida-catalogo del museo interamente in cinese – già presente, oltre che in italiano, anche in inglese e in tedesco – oltre che i sottotitoli – già presenti in inglese e in italiano per non udenti – nel percorso museale audiovisivo dove, in sette postazioni video con sistema audio a infrarossi, si possono ascoltare video-interviste a 23 sopravvissuti ai lager nazisti.

Una visita obbligatoria per capire al meglio la sofferenza che la popolazione pratese dovette subire e la forza con cui riuscì a rialzarsi e liberare la città. Ultima, ma non per importanza, tappa del nostro percorso è via 29 Martiri, dove ci troveremo davanti al Monumento ai 29 martiri di Figline. È la mattina del 6 settembre 1944, i vari gruppi partigiani si stanno dirigendo in massa verso Prato, la quale sarà liberata il pomeriggio seguente quando si insedierà in Comune la giunta unitaria designata dal CLN locale. Il gruppo partigiano tra Coiano e Figline di Prato viene però intercettato da un’unità della 334° Divisione di fanteria tedesca, ne nasce un conflitto a fuoco durissimo e impari, con perdite da entrambe le parti. I partigiani, sorpresi ed in evidente inferiorità numerica, si disperdono. Mentre alcuni riescono fortunosamente a mettesi in salvo, una trentina di loro vengono fatti prigionieri dai tedeschi a seguito di un minuzioso rastrellamento seguito allo scontro e vengono quindi condotti a Villa Nocchi, sede del comando. Qui, il maggiore Karl Laqua improvvisa un processo farsa, al termine del quale viene pronunciata una condanna a morte per impiccagione. I condannati vengono allora portati a Figline e allineati lungo Bardena, di fronte all’arco di via Maggio. I tedeschi prelevano dalle abitazioni anche tre cittadini come testimoni dell’esecuzione della sentenza. Vengono impiccati ventinove partigiani, ed, a riprova di una crudeltà inaudita, alcuni vengono fatti impiccare dai loro stessi compagni. I cadaveri vengono lasciati dai tedeschi appesi per un giorno intero, prima che alcuni abitanti di Figline, vincendo la paura, provvedono a dar loro una prima sommaria sepoltura[1]. Una tragedia inaudita che rappresenta al meglio la spietatezza delle forze occupanti e il dolore che i pratesi dovettero subire per rialzarsi.

 

 

 

Note

 

[1] M. Di Sabato e G. Gregori, Fatti e personaggi della Resistenza di Prato e dintorni: dalla caduta del fascismo alla Liberazione (luglio 1943-settembre 1944), Pentalinea, Prato, 2014, pp. 91-103.

 

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

 

Articolo pubblicato nel novembre 2024.




Percorsi di guerra in Casentino

Dal settembre 1943 alla fine dell’estate del 1944 il Casentino è stato interessato in vario modo dall’arrivo della seconda guerra mondiale. A grandi linee possiamo suddividere la presenza del conflitto nella vallata in due grandi momenti: una prima fase, dall’autunno 1943 all’estate dell’anno successivo e una seconda fase, dal luglio 1944 fino alla liberazione del Casentino, avvenuta alla fine di settembre dello stesso anno.

Nell’autunno 1943 la percezione e il confronto diretto con la realtà della guerra giunsero attraverso l’occupazione nazista: l’arrivo dei tedeschi determinò un crescente clima di tensione tra la popolazione e le forze occupanti che si tradusse in una serie di azioni criminali ai danni dei civili. In questa fase il conflitto assunse i tratti tipici della guerriglia e vide le formazioni partigiane e le truppe naziste fronteggiarsi in uno scontro a bassa intensità fatto di imboscate e sabotaggi. Con la liberazione di Arezzo, avvenuta il 16 luglio 1944 la guerra entrò nella fase successiva ed assunse le caratteristiche proprie di uno scontro militare; malgrado ciò gli eserciti non si fronteggiarono in rilevanti battaglie, prediligendo anche in questo caso azioni dal limitato potenziale sulle alture intorno alla vallata. Con l’arrivo delle truppe britanniche la situazione delle forze in campo si ribaltò e i nazisti si trovarono costretti ad attuare una lenta ritirata dalla vallata che li portò ad abbandonare l’ultima città del Casentino il 22 settembre 1944.

Come abbiamo visto il Casentino non fu una zona particolarmente interessata dal secondo conflitto mondiale, ma nonostante ciò i suoi territori e le sue popolazioni vennero segnati dal passaggio della guerra.

In questo articolo abbiamo dunque deciso di riportare cinque sentieri che in vario modo sono testimonianza dei dolori e delle sofferenze che la vallata fu costretta a vivere dal settembre 1943 al settembre dell’anno successivo. Sono in prevalenza percorsi facili, accessibili a tutti i tipi di escursionisti.

 

Cetica

Percorso ad anello che da Cetica sale in direzione del Pratomagno per poi scendere nuovamente verso la frazione nota per lo scontro che vi combatterono il 29 giugno 1944 gli uomini del Brigata “Lanciotto” e i soldati della Brandenburg.

  • Percorso: Cetica – Cristo del Castagno – Pian dei Ciliegi – Cetica
  • Distanza: 14 km
  • Tempo di percorrenza: 3 ore e 10 minuti
  • Difficoltà: media
  • Dislivello: ±526 m

Lunga e agevole salita che attraverso il sentiero CAI 54 porta prima al Cristo del Castagno e successivamente a Pian dei Ciliegi (1.130 m), il punto più alto dell’itinerario. Il percorso si svolge quasi interamente all’ombra dei faggi e dei castagni. Da Pian dei Ciliegi si perde progressivamente quota e dopo una discesa non troppo ripida si giunge a Cetica, dove sarà infine possibile visitare i cippi e i monumenti dedicati alla battaglia.

 

Moggiona, “Il sentiero della Linea Gotica”

Percorso ad anello che ripercorre le fortificazioni che i tedeschi costruirono durante la seconda guerra mondiale. Le postazioni, debitamente indicate attraverso dei pannelli, sono oggi delle buche e degli avvallamenti, un tempo utilizzate per posizionarvi l’artiglieria o costruirvi le trincee.

  • Distanza: 4,5 km
  • Tempo di percorrenza: 2 ore
  • Difficoltà: facile
  • Dislivello: ±280 m

Per giungere all’inizio del percorso è necessario intraprendere la strada che da Moggiona porta all’Eremo di Camaldoli e svoltare a sinistra dopo circa tre chilometri, prendendo la strada sterrata che porta ad Asqua; dopo meno di un chilometro ci si imbatte in un pannello che indica l’inizio del sentiero. La prima parte del percorso è in lieve salita, seguita da un tratto pianeggiante che lascia poi spazio alla discesa che porta alla località La Rota. L’ultimo tratto dell’itinerario è in leggere discesa e percorre il “sentiero dei tedeschi”, chiamato in questo modo poiché durante il secondo conflitto mondiale venne frequentemente utilizzato dalle truppe naziste.

Nella zona, oltre alle postazioni presenti lungo il sentiero, ve ne sono altre due, situate sul ciglio della strada che da Moggiona porta a Lierna.  A Moggiona – vittima nel settembre 1944 di una terribile strage – è inoltre possibile poter visitare la Mostra permanente sulla guerra e la Resistenza in Casentino, facente parte della Rete Ecomuseale del Casentino.

 

Moscaio

Sentiero che attraversa l’abitato di Moscaio, vittima tra il 12 e il 13 aprile 1944 di un rastrellamento nazista. Il percorso offre inoltre la singolare possibilità di poter attraversare e visitare alcuni borghi, due dei quali sono ormai disabitati e in stato decadente. Questo itinerario può essere percorso sia in bicicletta che a piedi.

  • Percorso: Banzena – Moscaio – Buca di Giona – Giona – Rovine di Giona di Sopra
  • Distanza: 7,4 km
  • Tempo di percorrenza: 2.05 ore
  • Difficoltà: facile
  • Dislivello: ±223 m

Da Banzena si procede in direzione nord-est per circa un chilometro fino ad arrivare a Moscaio, un abitato composto da poche abitazioni; nella via che attraversa la frazione sarà possibile osservare una lapide che ricorda le vittime che tra il 12 e il 13 aprile 1944 persero la vita in un rastrellamento tedesco. Si prosegue il cammino e dopo poco più di un chilometro si arriva a Buca di Giona, un paese disabitato, seguito dal borgo di Giona. Dopo essere arrivati a Giona il sentiero vira a sinistra e sale fino ad arrivare alle rovine di Giona di Sopra, dove si conclude il sentiero.

 

Partina

Il sentiero che proponiamo percorre un tratto della ciclopedonale “Buonconte da Montefeltro”, che da Bibbiena giunge fino a Camaldoli. Invece dell’itinerario tradizionale suggeriamo un percorso più “dolce”, adatto a tutte le categorie di escursionisti. Il nostro itinerario ha inizio da Partina, dove sarà possibile poter visitare i monumenti dedicati alle vittime della strage del 13 aprile 1944. Il sentiero è ideale per le biciclette ma può essere percorso anche a piedi.

  • Percorso: Partina – Casa il Sasso – località Castagnoli
  • Distanza: 3,6 km fino al bivio con la Sr 71; 7,9 km fino a Camaldoli
  • Difficoltà: facile

Il sentiero prende avvio da Partina e più precisamente da via di San Francesco, situata lungo l’argine del torrente Archiano; qui sarà possibile poter visitare due monumenti in onore delle vittime della seconda guerra mondiale: uno inserito all’interno di un’area verde, dedicato a tutti gli abitanti che sono venuti a mancare durante il conflitto e uno posto poco più avanti, in direzione nord-est, interamente dedicato agli otto operai della Todt che vennero uccisi il 13 aprile 1944. Dopo aver visitato i monumenti si continua a percorrere via di San Francesco, per prendere la ciclopedonale che costeggia sul lato est l’Archiano. Nella fase iniziale il percorso è prevalentemente pianeggiante e rettilineo; superata l’ex centrale idroelettrica i visitatori giungeranno a Casa il Sasso, da dove inizierà un tratto in lieve salita seguito da una discesa. Il percorso termina dopo poco più di tre chilometri e mezzo all’altezza dell’incrocio con la strada asfaltata (località Castagnoli): giunti a questo punto i più prudenti potranno tornare a Partina seguendo in senso opposto l’itinerario precedentemente percorso, oppure percorrendo la Strada Regionale 71 Umbro Casentinese; invece i più allenati e temerari potranno continuare percorrendo il tratto conclusivo della “Buonconte da Montefeltro”, fino ad arrivare a Camaldoli.

 

Vallucciole, “Il sentiero della libertà”

Sentiero che da Molin di Bucchio sale fino al borgo di Vallucciole, teatro il 13 aprile 1944 di una strage. Nel corso dell’ascesa si attraversano i luoghi che vennero inesorabilmente colpiti dalla furia nazista.

  • Percorso: Molin di Bucchio – Serelli – cimitero di Vallucciole – Vallucciole – Monte di Gianni
  • Distanza: 6,9 km
  • Tempo di percorrenza: 2 ore
  • Difficoltà: facile
  • Dislivello: ±220 m

Molin di Bucchio si raggiunge prendendo la strada che da Stia porta a Londa. Una volta giunti nel paese i visitatori potranno osservare i monumenti presenti nel paese, due dedicati a Pio Borri, prima vittima della Resistenza aretina e uno alla strage di Vallucciole. Dopo aver visitato Molin di Bucchio si torna sulla strada provinciale e si continua a procedere in direzione del Londa, per poi svoltare a destra dopo pochi metri, in concomitanza di una strada sterrata dove sono presenti le indicazioni per “Vallucciole” e “Capo d’Arno”. Durante la salita si attraversa il luogo dove un tempo sorgeva Serelli, distrutta da una frana nel 1992 e il cimitero di Vallucciole, dove riposano molte delle vittime della strage. Infine si giunge al borgo di Vallucciole, dove è presente la chiesa dei santi Primo e Feliciano, all’interno della quale è presente una lapide recante i nomi delle 108 vittime. Il sentiero prosegue per mezzo chilometro, concludendosi all’abitato di Monte di Gianni, anch’esso teatro della violenza nazista.

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel novembre 2024.