Foiano della Chiana tra Fascismo e Resistenza. Breve percorso della memoria

Prima di procedere con il percorso resistente, voglio qui ricordare, seppur brevemente, la Storia di Foiano della Chiana, Comune della provincia di Arezzo, nella Valdichiana.

Foiano venne liberata il 4 luglio 1944, assieme con Marciano della Chiana e Monte San Savino. Due giorni prima era stato liberato Lucignano e il 3 luglio venne liberata Cortona, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].

Il Comune di Foiano ha subito particolarmente l’avvento del Fascismo, sino ai tragici eventi della Seconda Guerra mondiale e della Resistenza. Con il progressivo affermarsi del Fascismo, Foiano, la cui amministrazione aveva aderito in blocco al neocostituito Partito Comunista d’Italia, divenne un obiettivo primario per gli squadristi della zona, i quali nei primi mesi del 1921, iniziarono a devastare e terrorizzare la Valdichiana con spedizioni punitive. Il 12 aprile il municipio venne colpito da un attacco squadrista volto a far dimettere la giunta. Il 17 aprile, un camion con a bordo una ventina di fascisti, guidati da un ufficiale in forza al 70° fanteria di Arezzo, compì una seconda spedizione a Foiano e nei dintorni. Una volta terminato il raid, gli squadristi si fermarono nella cittadina per pranzare. Successivamente, il gruppo si divise: una parte rimase a Foiano, mentre una ventina partirono a bordo dell’autocarro alla volta di Arezzo. Poco dopo, in località Renzino [2], il camion cadde in un’imboscata tesa da alcuni contadini della zona, guidati da Bernardo Melacci e Galliano Gervasi. Nel corso dell’attacco, tre squadristi rimasero uccisi. I fascisti superstiti però, dopo essere riusciti a chiedere rinforzi dalle città vicine, contrattaccarono. Le campagne foianesi divennero così teatro di una caccia all’uomo che culminò con l’assassinio di due uomini ed una donna. Poco dopo, in paese, i fascisti giustiziarono un comunista che si era rifiutato di rinnegare i propri ideali. Il giorno seguente, una colonna di squadristi fiorentini e ferraresi, guidata da Tullio Tamburini, occupò il paese, costringendo il deputato socialista Ferruccio Bernardini, sequestrato ad Arezzo dalle stesse camicie nere, ad un elogio del fascismo sulla pubblica piazza. Poco dopo anche un socialista del luogo venne trascinato nella medesima piazza per compiere abiura. Al suo rifiuto, venne assassinato. Nei giorni seguenti, le violenze fasciste, nonostante una delegazione di contadini si fosse recata da Tamburini a supplicare la fine delle rappresaglie, continueranno indisturbate [3]. Quello che accadde a Renzino cento anni fa è stato sicuramente uno degli episodi di lotta allo squadrismo fascista tra i più rilevanti a livello nazionale.

Negli anni la situazione non migliorò. Messa a dura prova dalla Seconda guerra mondiale, la cittadina pagò un notevole prezzo a livello di vite umane e distruzioni. L’8 giugno 1944, tre partigiani vennero fucilati dai militi fascisti della GNR (Guardia nazionale repubblicana) in Piazza Garibaldi.

Quella stessa mattina, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi, detenuti presso la caserma dei Carabinieri di Foiano della Chiana, vennero prelevati dalla loro cella e condotti in quella stessa Piazza, dove furono fucilati da un plotone d’esecuzione composto da legionari della Compagnia OP della G.N.R. di Bergamo [4].

Il 2 luglio successivo, Foiano della Chiana fu liberata dagli alleati. Teatro di scontri tra le truppe alleate e quelle tedesche, Foiano ospita oggi un cimitero militare inglese, in cui sono sepolti i soldati d’Oltremanica caduti nelle azioni militari locali.

L’Archivio storico dell’antifascismo locale, nato negli anni ’50 per iniziativa dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) sezione Licio Nencetti, conserva una preziosissima raccolta di fonti storiografiche sulla Lotta di Liberazione in provincia di Arezzo.

Il giorno successivo alla liberazione di Foiano della Chiana da parte delle truppe anglo-americane, infatti, dalla locale casa del Fascio, parzialmente distrutta dalle truppe tedesche in ritirata, che avevano minato e fatto saltare la torre civica, vennero recuperati dai partigiani i documenti delle milizie mussoliniane. Nella stessa sede si insediò il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) costituito su impulso di Galliano Gervasi, che fu tra i protagonisti della rivolta di Renzino e successivamente sindaco di Foiano e componente dell’Assemblea costituente. Quelle carte recuperate dalle macerie, insieme ai documenti del CLN, andarono a costituire il primo nucleo documentario dell’Archivio foianese.

Di lì a poco venne fondata la locale sezione dei partigiani, che riuniva combattenti antifascisti, patrioti e tutti coloro che avevano contribuito a liberare l’Italia dai nazifascisti durante il periodo Resistenziale. L’ANPI di Foiano della Chiana ereditò la sede del Comitato di Liberazione e gli associati si dedicarono alla raccolta delle informazioni per l’ottenimento di indennità, riconoscimenti di medaglie al valore, pensioni e forme di assistenza per gli ex combattenti e per le famiglie dei caduti [5].

 

Le tappe del percorso foianese

La prima meta nel percorso è Piazza Fra’ Benedetto, a Foiano della Chiana.

Qui il 2 luglio 1944, due giorni prima del ritiro definitivo dei tedeschi, venne ucciso senza apparente motivo il giovane Cesare Marchi.

  • A soli pochi passi, in Piazza Cavour, n.1, sulla facciata esterna del Municipio, è posta la targa ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi.

Pietre della Memoria, 5602 – Lapide ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi – Foiano della Chiana, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-ai-partigiani-sarri-antonini-e-grazi/

  • Non molto distante, in via via Martiri della Libertà/ piazza Garibaldi, si trova anche questa lapide ad Antonini, Grazi e Sarri.

Giovanni Baldini, Lapide ad Antonini, Grazi e Sarri, in ResistenzaToscana.it,  23-10-2007, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_ad_antonini_grazi_e_sarri/

Facciata del Municipio

  • Tra Piazza Garibaldi e via Indipendenza troviamo invece la targa commemorativa di Igino Milani, capolega di 35 anni, lavoratore dell’agenzia tabacchi di Foiano, sequestrato sul posto di lavoro, torturato e seviziato, morto per mano dei fascisti nell’aprile 1921, nel corso della feroce rappresaglia che seguì lo scontro armato di Renzino.

Lapide a Milani, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_a_milani/

  • A cinque minuti a piedi, arriviamo al giardino pubblico comunale di piazza Caduti della Resistenza, dove, al centro, si erge il monumento-fontana ai martiri della resistenza. Il monumento ricorda la fucilazione di tre partigiani, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi per mano dei nazifascisti, avvenuta l’8 giugno 1944 durante la Festa del Corpus Domini. La fontana, circolare, presenta la forma di un giglio. La base è costituita da tre grandi massi in ognuno dei quali è inciso in rilievo il nome di un partigiano. Lungo il lastricato, che si trova tra la fontana e la recinzione in ferro battuto, è posta una lapide commemorativa in pietra.

5597 – Monumento-fontana ai martiri della resistenza – Foiano della Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/fontana-di-piazza-dei-caduti-della-resistenza-di-foiano-della-chiana/

  • A soli 15 minuti a piedi (4 in auto), si trova, in località Renzino, il Commonwealth War Cemetery, dove riposano le spoglie di 256 soldati. Progettato da Louis de Soissons, è un cimitero di guerra, che originariamente accoglieva i soldati della 4ª Divisione e che, in seguito fu ampliato per le sepolture dei militari caduti in tutta l’area della Valdichiana e del Valdarno [6]. La maggior parte delle sepolture nel cimitero risalgono comunque alle prime due settimane di luglio 1944.

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/

Mappa del percorso escursionistico a Foiano della Chiana (Ar)

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/

  • In circa 1ora a piedi (8 minuti in auto), in direzione nord, si può raggiungere la località di Pozzo della Chiana, dove il 26 giugno 1944 si verificò una ribellione dei contadini arrabbiati per le requisizioni tedesche nella zona. A tale atto seguirono rappresaglie da parte delle truppe naziste. Quel giorno morirono, in due episodi diversi, due uomini: Nazzaro Biagini, sfollato con la famiglia, venne ucciso nella frazione di Pozzo, mentre nel pomeriggio, una casa colonica in località Pagliericcio (Comune di Castel San Niccolò, nel Casentinese) venne fatta saltare in aria e incendiata con il proprietario dentro, il giovane Alberto Ginestrini. La matrice era la stessa dell’episodio antecedente, una punizione, da parte dei tedeschi per la rivolta dei contadini.

A Pozzo, nessuna targa pare ricordare l’evento.

Da Pozzo si può proseguire, camminando, verso Marciano della Chiana, continuando così il sentiero nella Valdichiana.

 

Note

1. Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

2.Sulla rivolta di Renzino si veda, Giulio Bigozzi, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]

3. Cfr. Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]

4. Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]

5. Francesco Bellacci, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024].

6. Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/  [consultato  il 10 novembre 2024]

 

Bibliografia e sitografia:

Bellacci Francesco, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024]

Bigozzi Giulio, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]

Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]

Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/  [consultato  il 10 novembre 2024]

Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 Giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di novembre 2024.




Camminando nella Resistenza tra i Comuni della Valdichiana aretina. Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino

Prima di procedere con il percorso resistente, è opportuno ricordare, seppur brevemente, la Storia dei Comuni interessati.

Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino sono Comuni della provincia di Arezzo, nella Valdichiana toscana, i primi ad essere stati liberati dagli Alleati nell’Aretino: il 2 luglio 1944, venne liberato Lucignano, il giorno successivo Cortona, il 4 luglio, Marciano della Chiana e Monte San Savino e Foiano della Chiana, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].

Vediamo più da vicino la loro storia durante e dopo il Fascismo.

Partiamo da Lucignano, piccolo Comune impegnato nella lotta di liberazione, liberato dagli alleati il 2 luglio 1944. Degno di nota è qui Licio Nencetti, il giovane capo partigiano lucignanese, insignito della Medaglia d’oro al valore militare, che fu fucilato dai fascisti a Talla, il 26 maggio del 1944[2]. Altri lucignanesi che si ribellarono ai nazifascisti sono Ugo Masini (15 gennaio 1923-3 luglio 1944) ed Augusto Toti (29 luglio 1921-17 luglio 1944), che pagarono con la vita la loro sete di libertà. Ugo Masini, giovane caporale, dopo l’8 settembre ’43, era riuscito a tornare a Lucignano dove iniziò l’attività clandestina collaborando con la “Teppa” di Licio Nencetti. Fu ucciso negli stessi giorni della Liberazione di Lucignano, quando la sua formazione, a seguito di una delazione, fu attaccata il 2 luglio dai nazifascisti nei pressi di Camagiura (Arezzo) ed interamente sterminata [3].

Augusto Toti, sottotenente, tornato a casa dopo l’8 settembre 1943, conobbe il maggiore Cesare Caponi, con il quale iniziò il lavoro per l’organizzazione di formazioni partigiane. Raggiunto il comando italiano del fronte sud, l’8 novembre 1943, per consegnare un messaggio segreto, prese parte ai combattimenti di Cassino, Balzo della Cicogna, Guardiagrele e morì il 17 luglio 1944, (il giorno dopo la liberazione di Arezzo) al comando di un’importante operazione nei pressi di Rustico.

Della banda di Nencetti faceva parte anche Ezio Raspanti [4], da poco scomparso, che – per anni- ha mantenuto viva nelle nuove generazioni la memoria di quegli eventi. Insignito della Medaglia d’argento al valore militare per le azioni della Resistenza, ottenne anche altre prestigiose onorificenze e riconoscimenti per il suo impegno: nel 2003 fondò l’Istituto storico per l’Antifascismo e la Resistenza in Valdichiana; l’11 luglio 2004 fu nominato cittadino onorario del Comune di Capolona e il 29 luglio 2006 del Comune di Castel Focognano. Con Decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2011, venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Ezio Raspanti, “Mascotte” nella “Teppa”, fu giovanissimo compagno di lotta e grande amico di Nencetti, ed ha raccontato in tutti questi anni attraverso disegni e scritti, con un costante lavoro di ricerca e ricostruzione storica, gli avvenimenti legati alla Resistenza ]5].

Il territorio di Marciano della Chiana, liberata il 4 luglio 1944, non subì invece particolari eventi tragici, almeno dalle fonti a mia disposizione. Si ricorda comunque la morte di Luigi Pecchi, ucciso il giorno prima della tanto agognata libertà, dai soldati tedeschi [6].

Più facile da ricostruire è invece la storia di Monte San Savino. Il ventennio fascista vede Monte San Savino calato nel «definitivo amalgama di quelle forze sociali che il fascismo era riuscito a coagulare e utilizzare, e che trovò espressione politica nella gestione delle amministrazioni comunali» (Galli). Già nel 1924, il Consiglio comunale, all’unanimità, conferì – su proposta di G. Veltroni, segretario politico del fascio locale – la cittadinanza onoraria a Mussolini “quale modesto significativo riconoscimento” della sua grandiosa opera per la “ricostruzione nazionale”, mentre più tardi, facendo eco alla diligente applicazione delle leggi razziali del ’38, appariva su “Giovinezza” del 13 febbraio 1939 un articolo a firma di P.F.V. che ricordava come i savinesi potessero ‘vantarsi’ d’aver già allontanato a suo tempo nel 1799, dando sfogo «alla loro giusta vendetta», tutti i membri dell’antica comunità ebraica savinese con esplicita dichiarazione che «oggi il paese non conta alcun ebreo!». Rimaneva però viva, durante gli anni della dittatura, una solida organizzazione antifascista che avrebbe dato un notevole contributo alla Resistenza.

Nel Secondo Conflitto mondiale, Monte San Savino ricorda 23 morti sul campo (fra cui Pietro Valeri), 22 dispersi, 15 persone decedute per cause belliche e 11 vittime per rappresaglie tedesche (fra cui due donne, Gina Valeri e Gesuina Sestini); particolare sgomento suscitarono la fucilazione del sottotenente Luigi Carletti, l’impiccagione di Del Bellino e, in seguito, l’imboscata che costò la vita a Giuseppe Civitelli. Fin dall’annuncio dell’arresto di Mussolini (25 luglio ’43) e dopo la resa dell’Italia (8 settembre)  si assistette a Monte San Savino alla distruzione dei fasci littori e alla smobilitazione di quant’altro simboleggiava il regime fascista. Ben presto fu creato il CLN comunale savinese. Il paese fu duramente colpito dalle truppe tedesche in ritirata che si abbandonarono a violenze ed uccisioni, tuttavia, coraggiosamente contrastate da elementi della resistenza locale. Le incursioni aeree alleate iniziate il 17 gennaio ’44 causarono, oltre che diversi feriti, tre morti in località Brancoleta. Dopo la liberazione del 4 luglio 1944, Monte San Savino ospitò il quartier generale tattico dell’VIII Armata, al comando del generale Oliver Leese, cui re Giorgio d’Inghilterra in persona fece visita il 26 luglio [7].

 

Alessandro Bargellini, lapide a re Giorgio, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_re_giorgio/ 43,331187N, 11,723721E | 43° 19.871N, 11° 43.423E

Il percorso escursionistico:

La prima meta del percorso è Badicorte, nel Comune di Marciano della Chiana.

Volendo unire tale percorso al sentiero di Foiano della Chiana, Badicorte si può raggiungere, proseguendo verso nord, da Pozzo della Chiana, in un’ora a piedi o in sei minuti in auto. Altrimenti, potrà essere raggiunta in auto autonomamente, cominciando da qui il percorso resistente.

Qui il 3 luglio 1944, alla vigilia della liberazione, venne fucilato Luigi Pecchi, che era stato trovato dai tedeschi in possesso di alcune armi, probabilmente facenti parte di un deposito dei partigiani. Nessuna targa o cippo ricordano l’evento (almeno da quel che ho potuto trovare).

La seconda meta del percorso resistente è Monte San Savino.

Nel Comune di Monte San Savino, dal 23 giugno 1944 al 30 giugno 1944, dopo una battaglia combattuta nella località di Montaltuzzo, nel Comune di Bucine (Arezzo) tra partigiani e tedeschi, reparti nazifascisti operarono un poderoso rastrellamento.

  • Per ricordare le tragiche vicende che avevano visto coinvolta la popolazione locale, la prima tappa del percorso sansavinese è Viale XXIV Maggio, dove si trova il monumento dedicato ai caduti per la resistenza, eretto nel trentennale della Liberazione.

 

Alessandro Bargellini, Monumento del trentennale, in ResistenzaToscana.it, 12-12-2008, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/monumento_del_trentennale/

A Monte San Savino, nel clima di rastrellamenti e di caccia al partigiano, tra il 2 e il 3 luglio 1944, tre uomini furono catturati nelle campagne, torturati e quindi fucilati da una pattuglia tedesca. Le vittime erano due civili, Mosè Gudini e Bruno Milaneschi e un partigiano, Luigi Carletti detto “Gigino”, senese residente a Monte San Savino, nonché sottotenente dell’Artiglieria contraerea del Regio Esercito e comandante di una squadra partigiana a Monte San Savino. Egli era già stato catturato il 28 giugno precedente con tutta la famiglia e lungamente interrogato. Gudini e Carletti furono ritrovati in un bosco dieci giorni più tardi.

  • La seconda tappa è, dunque, il Cimitero comunale, dove si trova il sepolcro dedicato a Luigi Carletti [8].

Alessandro Bargellini, Sepolcro di Carletti, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/sepolcro_di_carletti/ [consultato il 9 novembre 2024]

Presso il cimitero comunale di Monte San Savino (AR)

Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea

Luigi Carletti è un nome noto e centrale nella Storia locale. Cittadino savinese, partigiano del Raggruppamento “Monte Amiata”, ufficiale di artiglieria, membro dell’Azione Cattolica e laureando in Legge, fu trucidato dai nazisti nei boschi in località San Poerino a Monte San Savino a soli 23 anni, il 2 luglio del 1944.

L’8 settembre 1943, Carletti si trovava sul fronte francese in qualità di sottotenente dell’artiglieria contraerea. In seguito allo sbandamento generale, dopo parecchi giorni di faticoso cammino, giunse a Monte San Savino, ove poté riabbracciare i suoi cari. Animato da una fede incrollabile nella futura rinascita dell’Italia, cautamente, cominciò a svolgere la sua opera, preparando un piano di lotta contro i tedeschi. Assieme a diversi ex prigionieri alleati, si trovava nei pressi della sua proprietà, per procurare loro, a sue spese, vitto, vestiario, armi, onde agire al momento più opportuno, insieme coi partigiani.

Il 28 giugno 1944, un reparto della divisione Herman Goering fece irruzione nella villa, arrestando tutti i componenti della famiglia: essi, sotto l’accusa di antifascismo, vennero, per alcuni giorni, torturati, allo scopo di estorcere notizie precise sull’assistenza ai prigionieri alleati. Il padre fu ferito gravemente con le percosse e venne minacciato di fucilazione se entro due ore non avesse parlato. Riuscì miracolosamente ad evadere ed a mettersi in salvo nella notte del 30 giugno. I tedeschi infierirono maggiormente contro Luigi e, con incredibili torture, cercarono di strappargli, ad ogni costo, le notizie di loro interesse.

Le atroci torture durarono fino al mattino del 2 luglio, giorno in cui fu trascinato in un bosco e fucilato. Il suo corpo venne nascosto fra le frasche e fu ritrovato soltanto dopo nove giorni di ansiose ricerche con ancora evidentissimi i segni delle torture e delle sevizie subite. [Questi particolari sono stati narrati da testimoni oculari imprigionati anch’essi nella villa Carletti e le cui deposizioni, regolarmente firmate, furono consegnate al C.L.N. di Monte San Savino].

Anche la madre, Carolina Veltroni, e la sorella Licia, vennero deportate ed incarcerate a Firenze; riuscirono miracolosamente a salvarsi.

Villa Carletti

A Serarmonio, sulla via che va da Monte San Savino a Palazzuolo, si era infatti stabilita, verso la fine di giugno 1944, la Feldgendarmerie tedesca ed aveva installato nella villa dei Carletti quella che possiamo ritenere la sua “Villa triste”, come quella che i fascisti avevano organizzato a Firenze in funzione antipartigiana. La villa è ancora esistente.

È lì che il criminale nazista Heinz Barz, capitano della Wehrmacht, l’ufficiale nazista che svolse un ruolo di primo piano nella programmazione e nell’esecuzione delle stragi di Civitella, Cornia e San Pancrazio, faceva portare gli arrestati. Ed è lì che i nazisti conducevano i loro interrogatori, tra violenze e sevizie, come venne accertato dagli investigatori inglesi del SIB (Special Investigation Branch) che, a partire dall’estate 1944 – all’indomani di quei tragici eventi – condussero una vasta indagine avvalendosi anche della collaborazione dell’Arma dei Carabinieri italiani: decine e decine di testimoni vennero chiamati a riferire i fatti e a contribuire ad individuare i responsabili. Era la materia prima di un possibile processo che non si celebrò e che venne tenuta nascosta nell’ormai celebre “armadio della vergogna”. Il processo sarebbe poi stato avviato a La Spezia, soltanto 58 anni dopo, quando gran parte dei responsabili erano ormai deceduti.

A Villa Carletti venne portato Lorenzo Del Bellino, arrestato il 23 giugno 1944, mentre lavorava sul suo campo e che forse non comprese nemmeno ciò che gli veniva chiesto dai tedeschi e dunque non dette loro risposte soddisfacenti riguardo la cosiddetta battaglia di Montaltuzzo: dopo le sevizie, venne portato a Monte San Savino ed impiccato il 30 giugno 1944 ad un lampione nella Piazza del Legname. Sul corpo, che rimase esposto per due giorni, era stato messo un cartello con la seguente scritta: “così muoiono i partigiani della Cornia”.

  • La terza tappa sansavinese sarà dunque Piazza del Legname, al Porticciolo, dove è stata posta la targa dedicata a Del Bellino.

Alessandro Bargellini, Lapide a Del Bellino, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_del_bellino/

  • La quarta tappa è la Villa Serarmonio, la casa dove visse e dove morì Luigi Carletti e dove fu portato Del Bellino, distante 30 minuti a piedi dal Comune di Monte San Savino. Nella stessa villa vennero condotti i coniugi Cau, arrestati a Gebbia ed accusati di spionaggio a favore dei partigiani: il capitano Barz era stato avvisato, dunque sapeva benissimo che la signora Cau, al secolo Helga Elmqvist, era di nazionalità svedese e che godeva di immunità in base ai trattati fra Germania e Svezia. Eppure, dopo serrati interrogatori e maltrattamenti, la fece fucilare assieme al marito, il professor Giovanni Cau. I due corpi furono nascosti sotto la sabbia della Fornace Focardi, dove vennero rinvenuti, casualmente, solo nel 1950 e identificati dai parenti [9].
  • La quinta ed ultima tappa sansavinese è il tabernacolo intitolato a Carletti, in via di San Poerino [coordinate 43° 19.029N, 11° 42.266E].

Alessandro Bargellini, 12-12-2008 Tabernacolo a Carletti, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/tabernacolo_a_carletti/ [consultato l’11 novembre 2024]

Come riporta l’iscrizione:

Organizzatore comandante di patrioti

catturato dal nemico e seviziato

mentre riforniva i compagni

che rifiutò di tradire

LUIGI CARLETTI

ufficiale di artiglieria laureando in legge

il 2 VII 1944 a soli XXIII anni

cadeva per la salvezza d’Italia

ai genitori Antonio e Carolina

e alla sorella Licia

lasciando preziosa eredità di gloria

e un dolore che solo la fede lenisce.

 

Il lungo itinerario nella Storia e nella memoria dei Comuni di Marciano della Chiana, di Monte San Savino e, seppur solo di passaggio, nel Comune di Lucignano, potrà sia essere percorso per intero, sia per singoli Comuni.

 

Note

1.Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

2. Licio Nencetti, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].

3.Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].

4.Michele Lupetti, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]

5.Cfr. Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]

6.Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]

7.Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]

8.Cfr. Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp  [consultato il 9 novembre 2024]

9.Claudia Failli, Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]

 

Bibliografia e sitografia:

Carletti Luigi, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp  [consultato il 9 novembre 2024]

Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

Ead., Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]

Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].

Lupetti Michele, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]

Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]

Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]

Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]

Nencetti Licio, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di novembre 2024.




Camminare ricordando a Castiglion Fiorentino (Ar)

Sentieri resistenti nel Castiglionese (Ar)


Gita di un giorno

A piedi 15,4 km, 3,40 h.

Castiglion Fiorentino sorge su un colle a 342 m s.l.m., 17 km a sud-est di Arezzo. Delimitata a est dai Preappennini, l’area comunale si estende in parte sulla Valdichiana e sulle alture ad essa prospicienti. Il territorio confina con i comuni di Arezzo a nord, Cortona a est e a sud, Foiano della Chiana a sud-ovest e Marciano della Chiana a ovest.

Durante la Resistenza, fu dunque luogo per un importante transito da e verso gli Appennini, fatto questo che portò Castiglion Fiorentino a subire danni materiali e umani notevoli. Il passaggio del fronte fu causa di devastazioni, sia al centro storico che a buona parte del territorio comunale, colpito da bombardamenti che provocarono centinaia di morti, anche tra i civili. Particolarmente grave fu il bombardamento alleato cui Castiglion Fiorentino fu sottoposta il 19 dicembre 1943, che causò la morte di 71 civili, in buona parte donne e bambini. Per quell’episodio, il 26 gennaio 2004 Castiglion Fiorentino è stata decorata con la Medaglia d’argento al merito civile [1].

Ottanta anni fa, inoltre, il 4 luglio 1944, quattro giovani persero la vita alla Nave, zona “Tre Acque-Ceppeto”: Giovanni Milighetti, 24 anni, Vera Buracchi, 18 anni, Zita Moretti, 17 anni e Walter Milighetti,11 anni, furono dilaniati da una mina lasciata dai tedeschi nella campagna castiglionese per assicurarsi la fuga. Il minamento dei territori, delle vie di comunicazione, ma anche di accessi a chiese o altri edifici è una tendenza diffusa nei comportamenti delle truppe naziste in ritirata, non solo per motivi militari ma anche per attuare una volontà di vendetta nei confronti di una popolazione spesso giudicata come ostile nei loro confronti. La presenza delle mine con i loro tragici effetti è uno degli aspetti che evidenzia maggiormente la “lunga durata” del conflitto al di là della data effettiva di conclusione dei combattimenti.

In quello stesso giorno alcuni residenti di Manciano, sotto la minaccia dei mitra tedeschi, vennero costretti a minare la chiesa del paese. Un tonfo sordo e la vita della piccola frazione cambiò all’istante. Eventi tragici che colpirono profondamente un’intera comunità e che segnarono, comunque, l’inizio della libertà [2]. La comunità di Castiglion Fioretino fu infatti liberata proprio quel giorno dagli Alleati.

 

Castiglion Fiorentino, 80 anni fa la liberazione grazie agli Alleati, in Arezzo Notizie, 4 luglio 2024, https://www.arezzonotizie.it/attualita/castiglion-fiorentino-liberazione-alleati.html

Ripercorrendo in breve i mesi antecedenti la Liberazione, questi appaiono piuttosto concitati. Per tale motivo, dunque, le notizie non sono sempre chiare e facili da ricostruire.

Riguardo alla situazione del movimento di Resistenza a occidente del Tevere, la Guardia Nazionale Repubblicana (forza armata istituita dalla Repubblica Sociale Italiana l’8 dicembre 1943 con compiti di polizia interna e militare) aveva informazioni assai confuse sulle bande attive nel territorio. Una di queste era comandata dal conte Ferretti di Ortona. Secondo i fascisti, vi era un’altra formazione partigiana tra Palazzo del Pero e Castiglion Fiorentino, della quale però non si conosceva la consistenza. A confondere le idee al nemico era la stessa tattica messa in atto dai partigiani.

L’incapacità del regime di avere un’idea precisa di quanto stava avvenendo sulle montagne, ne sottolineava le difficoltà politiche e militari. In realtà, tra le valli del Cerfone, dell’Aggia, del Nestoro, del Minima e del Niccone, gli affluenti di destra del Tevere, operavano le bande della “Pio Borri” di Morra, Monte Santa Maria, Badia Petroia e Cortona, oltre al Centro “Poti” e ai partigiani dell’Aretino che facevano capo a Marzana. La loro forza complessiva era assai inferiore a quella stimata dai fascisti e il loro comando strategico gravitava su Arezzo. Con la fucilazione di Venanzio Gabriotti era stata eliminata l’unica persona che, nella valle, poteva garantire un qualche coordinamento con le forze partigiane a oriente del Tevere, soprattutto con la Brigata “San Faustino”.

Le bande partigiane non trovarono grandi ostacoli nelle loro azioni: dal 27 maggio al 27 giugno se ne verificarono una cinquantina di carattere militare. A giugno, le tre formazioni di Morra, Monte Santa Maria Tiberina e Badia Petroia effettuarono incursioni quasi quotidiane. Per quanto si debbano in genere considerare con cautela i dati segnalati sulle perdite inflitte al nemico, quando mancano i dati della parte avversa, fonti della Resistenza hanno valutato in più di 20 i tedeschi uccisi nel corso di tali attacchi e in 23 quelli catturati. Per quanto riguarda i prigionieri, solitamente internati nel campo di concentramento di Marzana, il numero non appare esagerato, infatti, quando venne sgomberato, all’inizio di luglio, i partigiani ne condussero 53 oltre le linee, per consegnarli agli Alleati.

Tedeschi e fascisti avevano ormai la consapevolezza di correre seri pericoli nel percorrere le arterie che risalivano gli affluenti di destra del Tevere. L’aggressività partigiana fu particolarmente intensa a ridosso della strada che, dall’Alta Valle del Tevere, attraverso San Leo Bastia, si inerpica verso Cortona e il Valdarno. Lì le formazioni cortonesi della “Pio Borri” sferrarono dall’8 al 26 giugno una ventina di attacchi. Anche gli altotiberini giunsero talvolta a supporto dei partigiani di Cortona e di Castiglion Fiorentino. Non si trattò solo di una fastidiosa attività di sabotaggi e di disturbi al traffico. A giugno, gli agguati agli automezzi in transito sulla strada provinciale da Cortona a Città di Castello, costarono ai tedeschi 13 morti, 5 feriti, 9 prigionieri.

Ombre sull’operato della Resistenza le gettò il comportamento di una banda alla macchia sul tratto appenninico tra Cortona e Città di Castello, che “viveva di violenze e di rapine”, e di alcuni esponenti della banda di Badia Petroia. A quattro di questi non sarebbe infatti stata riconosciuta la qualifica di partigiano combattente, per “indegnità”: li si accusò di “furto commesso durante l’azione partigiana”.

Il territorio castiglionese, dunque, venne messo a dura prova, fino alla Liberazione avvenuta il 4 luglio 1944.

Prima di passare alla descrizione del percorso resistente del Comune di Castiglion Fiorentino, voglio qui citare “Il sentiero dei papaveri”, inaugurato nel 2021 [3] e composto da 18 monumenti e cippi commemorativi della Prima e Seconda guerra mondiale, dislocati nel centro storico e nel territorio. L’itinerario, lungo circa 50 chilometri, comincia da palazzo San Michele e termina al monumento dedicato ai caduti, situato ai giardini pubblici.

Il percorso resistente che intendo proporre toccherà, invece, i cinque luoghi dove vennero uccisi dai nazifascisti alcuni civili inermi. Il tratto, percorribile a piedi o in bicicletta è lungo 15,5 km e dura circa 3 ore e mezzo (a piedi). Ogni tappa potrà però costituire una meta a sé, raggiungibile singolarmente.

 

Prima tappa:

Ponte delle Fontanelle, presso località La Foce

Coordinate: 43°21’46.5″N 11°57’01.5″E

Lungo la strada che da Castiglion Fiorentino sale al Passo della Foce, si trova un monumento in ceramica smaltata dedicato alla donna belga Gabriella De Rosée in Brogi, allora trentunenne, che il 7 luglio 1944 cadde sotto il fuoco dei tedeschi nel tentativo di mediazione per liberare alcuni ostaggi di guerra. La donna era staffetta partigiana. Non si hanno altre notizie dell’accaduto [4].

Targa intitolata a Gabriella de Rosée Brogi Bruxelles, 1913 – Castiglion Fiorentino, 1944 Loc. Foce (S.P. Palazzo del Pero) – Castiglion Fiorentino, AR

 

2 tappa:

Mammi

La seconda tappa porterà alla località di Mammi, territorio, quale quello di Castiglion Fiorentino, importante via di transito, segnato dalla vicinanza del fronte e dalla sua importanza strategica e con una presenza partigiana costante, l’8 luglio 1944 venne qui ucciso da raffiche di mitra, insieme ad un militare inglese, Aurelio Casi, cinquantaduenne. Non si capisce tuttavia se il militare facesse parte delle avanguardie alleate avanzate o se fosse un prigioniero di guerra fuggito [5].

Coordinate del cippo: 43°21’24.4″N 11°55’53.4″E

Terza tappa:

Fornaci

Qui tra il 28 giugno 1944 e il 2 luglio 1944, nell’area di Castiglion Fiorentino, tra la Toscana e l’Umbria, le azioni partigiane si erano intensificate. A seguito di una serie di attacchi partigiani condotti in zona il 28 giugno a San Egidio (Perugia), uomini furono catturati sulla strada che va da Cortona (Arezzo) a Portole (frazione di Cortona)[6]. Furono portati in località Pianelli alla Villa Bertocci, dove vennero interrogati e rinchiusi in una lavanderia per un giorno e una notte. La maggior parte di loro venne poi rilasciata, ma tre delle persone coinvolte furono portate a Pergo di Cortona (Arezzo) alla Villa Passerini, dove aveva la base il comando tedesco. Furono condannate a morte e mandate alla Feldgendarmerie di stanza a Castiglion Fibocchi. Le vittime sono Antonio Bartolini, manovale di Cortona, Luigi Gnerucci, operaio cortonese con quattro figli, nato nel 1902 e Luigi Guerri, anch’egli cortonese, elettricista, nato nel 1914. Il giorno della loro esecuzione non è certo, ma probabilmente avvenne tra il 1 e 2 luglio. I loro corpi furono trovati successivamente in una fossa durante gli ultimi giorni di agosto. Non si conosce il motivo per cui erano stati condannati a morte. Non è da escludere la rappresaglia, secondo alcune fonti, avvenuta a seguito di un ulteriore attacco partigiano. Forse i tre furono fucilati in località Senaia. Nella stessa zona e nello stesso anno, altri due partigiani aretini, Sabatino Capacci e Giulio Rossi, entrambi ventenni, catturati a Favalto, vennero fucilati i primi di luglio nel letto di un ruscello nella zona della Noceta, dove forse sono stati sepolti [7].

Lapide del Municipio di Cortona https://resistenzatoscana.org/monumenti/cortona/lapide_del_municipio/

 

Cerimonia in memoria dei partigiani aretini [8] Il nuovo monumento si trova qui: 43°21’08.8″N 11°56’22.2″E

 

4 tappa:

Cimitero comunale della Misericordia di Castiglion Fiorentino

Ad un mese dalla liberazione da parte degli Alleati dell’Aretino, le forze partigiane rendevano dura la vita alle truppe tedesche dislocate nel territorio castiglionese, che aveva subito già gravi bombardamenti con stragi di civili. Il 18 giugno 1944, infatti, Espartero Bartolomei, quarantaseienne originario di Foligno, venne ucciso da colpi di arma da fuoco sparati da alcuni soldati tedeschi mentre era nell’aia della casa dove era sfollato, presso Cozzano [9]. L’altra vittima, Luigi Galoppi, quarantaseienne castiglionese, morì nelle stesse circostanze. Tutt’oggi non si conosce il motivo di queste due uccisioni.

La lapide in loro ricordo è posta nel Cimitero comunale di Castiglion Fiorentino, meta del percorso memorialistico.

6579 – Lapidi ai Caduti delle guerre mondiali – Cimitero comunale di Castiglion Fiorentino All’interno del Cimitero lapidi con nomi e date in onore dei Caduti di tutte le guerre [10].

 

5 tappa:

La quinta ed ultima tappa riguarda il cippo in via Dante Brocchi, a Castiglion Fiorentino.

Il 29 giugno 1944, Dante Brocchi di 52 anni venne ucciso da una raffica di mitra, ufficialmente per rappresaglia. Pare però che il luogo dell’uccisione fosse nei pressi della piccola frazione di Santa Cristina [11].

 

Coordinate 43.333310269695275, 11.92133425067086

 

Note:

  1. Enzo Droandi, Castiglion Fiorentino 19 dicembre 1943 – ore 13,24, Quaderni della biblioteca, Comune di Castiglion Fiorentino, Castiglion Fiorentino, 1993.

Il 19 dicembre 1943, alle ore 13,24 Castiglion Fiorentino subisce il primo bombardamento da parte delle forze aeree alleate. Le bombe vengono dirette contro il Collegio Serristori e l’Ospedale. La zona di Porta Romana viene pressoché distrutta. In tutto muoiono una settantina di persone, di cui 16 erano bambine e personale del Collegio Serristori.

Sui bombardamenti e i fatti legati al passaggio del fronte, vedi anche Carmelo Serafini (a cura di), Per non dimenticare. Castiglion Fiorentino 1943-45 nei diari del M. Gino Grifoni e di D. Angelo Nunziati, Comune di Castiglion Fiorentino. Ente Biblioteca. Quaderni della Biblioteca n. 2, Ed. Grafica l’Etruria Cortona, Arezzo.

  1. Castiglion Fiorentino, 80 anni fa la liberazione grazie agli Alleati, in Arezzo Notizie, 4 luglio 2024, https://www.arezzonotizie.it/attualita/castiglion-fiorentino-liberazione-alleati.html
  2. Camminando, in Experience Castiglion Fiorentino, https://www.experiencecastiglionfiorentino.it/Experience/Storie/Castiglion-Fiorentino_645/sentiero_memoria; cfr. Presentato il progetto “Il Sentiero dei Papaveri Rossi”, Comune di Castiglion Fiorentino, 24 aprile 2021, https://comune.castiglionfiorentino.ar.it/notizie/410117/presentato-progetto-sentiero-papaveri-rossi
  3. Gabriella de Rosée Brogi, in Chi era costui? https://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=9124
  4. Mammi, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3271
  5. Fornaci, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3226
  6. [1]L’eccidio dimenticato, dopo 76 anni il Comune commemora i giovani morti di Senaia, in SR71, 1 Luglio 2020, https://www.sr71.it/2020/07/01/liberazione-senaia-castiglion-fiorentino/
  7. Cerimonia in memoria dei partigiani aretini, in it, https://www.quinewsvaldichiana.it/partigiani-guerra-memoria-seconda-guerra-mondiale-tedeschi-nazismo-castiglion-fiorentino.htm
  8. Cozzano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3198
  9. 6579 – Lapidi ai Caduti delle guerre mondiali, Castiglion Fiorentino, Pietro della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapidi-ai-caduti-delle-guerre-mondiali-e-per-lunita-ditalia-castiglion-fiorentino/
  10. Santa Cristina, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3515

 

Bibliografia e sitografia:

Enzo Droandi, Castiglion Fiorentino 19 dicembre 1943 – ore 13,24, Quaderni della biblioteca, Comune di Castiglion Fiorentino, Castiglion Fiorentino, 1993.

Pietro Pancrazi, La piccola patria: cronache della guerra in un comune toscano, giugno-luglio 1944, F. Le Monnier, 1946.

Carmelo Serafini (a cura di), Per non dimenticare. Castiglion Fiorentino 1943-45 nei diari del M. Gino Grifoni e di D. Angelo Nunziati, Comune di Castiglion Fiorentino. Ente Biblioteca. Quaderni della Biblioteca n. 2, Ed. Grafica l’Etruria Cortona, Arezzo.

Cozzano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italiahttps://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3198

Fornaci, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3226

Mammi, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3271

Ponte delle Fontanelle, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3446

Santa Cristina, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3515

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di ottobre 2024.




Percorsi tra Storia e memoria nel Comune di Civitella in Val di Chiana (Ar)

Le tappe:

  • Viciomaggio
  • Civitella in Val di Chiana
  • Ciggiano

circa 5.15h, 21 km circa [escluso il percorso interno a Civitella]

Immagine dall’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia dove -in rosso- sono evidenziate le stragi. Come ben si nota, sono tutti paesi alle pendici o nelle aree più collinari degli Appennini. https://www.straginazifasciste.it/?page_id=363

 

Percorso tra Viciomaggio, Civitella e Ciggiano, passando per Cornia

Percorso interno a Civitella

Civitella in Val di Chiana, nota anche come Civitella della Chiana, è un comune italiano della provincia di Arezzo. Sorge sulle Colline delle lepri a 500 m s.l.m., 15 km a sud-ovest di Arezzo. Il territorio comunale si può dividere in due zone: una di bassa montagna, dove è situata la stessa Civitella, circondata dai boschi; una pianeggiante, che forma la parte settentrionale della Val di Chiana. Il territorio civitellino, delimitato a sud dal comune di Monte San Savino e a nord-est da quello di Arezzo, giunge fino ai primi comuni del Valdarno, Laterina a Nord Est, Bucine e Pergine a Nord-Ovest.

La prima tappa del percorso della memoria per ripercorrere, passo dopo passo, le crudeltà del 1944, sarà Viciomaggio, non distante da Civitella in Val di Chiana. Lì, il 29 marzo 1944 avvenne una strage di matrice fascista, nella quale rimase coinvolto un uomo, Mario Mannelli, ucciso dalle truppe fasciste senza un apparente motivo, con un colpo di arma da fuoco. Tale data non è sicura, come sottolinea l’Atlante delle Stragi. Altrettanta divergenza c’è sull’età: per alcuni Mannelli avrebbe avuto 44 anni, per altri 39. Per mancanza di informazioni non si può essere più precisi [1].

Eleonora Antonelli 2012 – Cippo non distante dalla SP di Pescaiola

La seconda tappa del percorso sarà invece la tristemente celebre Civitella in Val di Chiana, dove il 29 giugno 1944 ebbe luogo una delle più cruente stragi naziste verificatesi in Toscana, con 146 i morti tra donne, uomini, bambini e anziani [2].

Nei giorni antecedenti l’eccidio, varie formazioni partigiane attive sulle colline di Civitella, tra cui la “Renzino”, guidata dal giovane Edoardo Succhielli, tesero agguati ad alcuni tedeschi con l’obiettivo di disarmarli [3]. Spesso tali azioni si conclusero con la morte o il ferimento dei soldati e si sommavano ad altre più piccole che, insieme, avrebbero dato ai tedeschi il pretesto per operare contro la popolazione civile.

Passarono i giorni e gli abitanti di Civitella si convinsero che la rappresaglia non ci sarebbe stata, rassicurati in questo senso anche dalle dichiarazioni rilasciate da alcuni ufficiali tedeschi al parroco e al podestà.

Civitella si trovava in quel momento al confine fra la zona controllata dal 76° Corpo corazzato della 10° e della 14° Armata, responsabile del territorio compreso tra la Val di Chiana e l’Adriatico. A partire dalla seconda metà di giugno, il centro si trovava nel territorio d’operazione della Divisione Corazzata Paracadutisti “Hermann Göring”, il cui quartier generale era allocato nei pressi di Monte San Savino: è da lì che, secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti inglesi, arrivarono le truppe responsabili del massacro, in un numero compreso fra le 300 e le 400 unità. Non si esclude il coinvolgimento di reparti minori, né di una squadra di brigate nere (fascisti), operanti a San Pancrazio nel Comune di Bucine e a Cornia.

Ciò che si era temuto, si verificò il 29 giugno, quando i tedeschi, dopo aver iniziato ad uccidere alcuni civili alle porte del paese, rastrellarono Civitella, allora affollata per la festa dei patroni Pietro e Paolo, e le vicine frazioni, procedendo in alcuni casi ad omicidi nelle case, raccogliendo la popolazione nella piazza del paese e dividendola per sesso e per età: le donne e i bambini furono spinti fuori dall’abitato, in direzione di Poggiali, gli uomini, radunati in gruppi di cinque, vennero portati sul retro della scuola e colpiti, ognuno, da un colpo di pistola alla nuca. Due riuscirono a scampare fuggendo. Rastrellati alcuni contadini nelle case coloniche sotto il paese, li mitragliarono nei pressi di un ponte vicino a Civitella. I cadaveri vennero presi dal mucchio e gettati negli androni delle abitazioni in fiamme.

Quel 29 giugno, infatti, per la festa patronale, il centro di Civitella era pieno di persone. Molti non si erano recati nelle campagne o nei boschi per lavorare, restando così a casa o andando a messa. La chiesa di Santa Maria Assunta era colma di fedeli, giunti anche dalle frazioni. L’episodio più truce si consumò proprio qui, mentre si stava celebrando la messa. Il sacerdote, don Alcide Lazzeri, immaginando cosa sarebbe accaduto, benedisse la popolazione e la fece chiudere dentro l’edificio religioso. I tedeschi, trovando la porta della chiesa chiusa, lanciarono una bomba a mano per aprila e trascinarono fuori i fedeli che si erano rinchiusi sperando così di sfuggire ai soldati. Quindi, indossati grembiuli mimetici in gomma per non sporcarsi di sangue, li freddarono con dei colpi alla nuca.

A servire la Messa quella mattina vi erano tre chierichetti, uno dei quali era Luciano Giovannetti, futuro Vescovo di Fiesole, da poco scomparso. Come egli stesso ha raccontato, quando i soldati irruppero nella Chiesa, prima di compiere quella che sarà una vera e propria “profanazione”, don Lazzeri si presentò dicendo: “Sono io il responsabile di quanto è accaduto. Uccidete me e lasciate libero il mio popolo”», riferendosi probabilmente all’uccisione di tre soldati tedeschi, morti durante un blitz dei partigiani avvenuto qualche giorno prima, il 18 giugno [4]. Il tentativo fu però inutile. Gli uomini furono infatti separati dai familiari, portati a lato della chiesa e uccisi a gruppi di cinque. Ad essi vennero uniti coloro che erano stati rastrellati nelle case. Lo stesso don Alcide Lazzeri, rimasto accanto al suo popolo, morì nell’eccidio. Scamparono al massacro un seminarista e chierichetto, Daniele Tiezzi, divenuto sacerdote nel 1950, gettandosi dalle mura insieme al fratello Dino, il piccolo Giovannetti con la sua mamma e un padre con una bambina in braccio, fatto fuggire di nascosto da un soldato. L’ufficiale nazista ucciderà anche uno dei suoi soldati che si era rifiutato di partecipare al massacro. A Daniele Tiezzi è stata dedicata la Campana del Ricordo della Chiesa di Civitella e la statua nella terrazza del paese.

Compiuta la strage, i tedeschi incendiarono le case, provocando così la morte anche di coloro che avevano disperatamente tentato di salvarsi, nascondendosi nelle cantine o nelle soffitte. Solo pochi abitanti riuscirono a scampare al massacro. Si contarono 244 morti: 115 a Civitella, 58 a Cornia e 71 a San Pancrazio [5].

Parallelamente, i tedeschi riproposero un identico modus operandi nella frazione di Gebbia [6]. A Cornia, al contrario, il massacro fu indiscriminato: vennero colpiti donne e bambini e probabilmente ci furono casi di stupro. Cornia è proprio il luogo dove i partigiani, il 21 giugno, avevano aperto il fuoco contro i soldati della Feldgendarmerie.

L’eccidio di Civitella, Cornia e San Pancrazio fu sicuramente uno dei più efferati. Nell’area aretina, la divisione coinvolta, l’Hermann Goering aveva trucidato, nel mese di Aprile del ’44, tutta la popolazione di Vallucciole, nell’alto Casentino, rubricando poi come Banditen gli uomini, le donne e i bambini, spesso infanti, sorpresi nelle proprie case. Alla Divisione, il 29 giugno, appartenevano anche i membri di un ex Corpo musicale che durante il 1942 si era esibito in varie città italiane, venendo sciolto nel ’43 quando le truppe tedesche presenti in Italia necessitavano di rinforzi.

Il 10 ottobre 2004 fu emessa presso il Tribunale militare di La Spezia la sentenza di primo grado n. 49, con la quale oltre alla condanna all’ergastolo a carico del sergente Max Josef Milde del corpo musicale divisionale, implicato nei massacri, fu condannata, quale responsabile, anche la Repubblica Federale di Germania. Decadde invece il procedimento a carico del tenente Böttcher Siegfried per il decesso dell’imputato durante il dibattimento.

A Roma, la sentenza n. 72 del 18.12.2007 segnò il rigetto dell’impugnazione riguardante la responsabilità civile della Repubblica Federale di Germania.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1072 del 21.10.2008 rigettò invece il ricorso da parte della Repubblica Federale di Germania sull’illegittimità della condanna della stessa.

Il TPI Aja, sentenza n. 143 del 03.02.2012 accolse tutti i punti di ricorso presentati dalla Germania.

Riguardo la stesura di un elenco completo e preciso delle vittime, si dovettero affrontare grandi difficoltà. Quello riportato si rifà alla sentenza del 2006 Tribunale militare di La Spezia e risulta il più attendibile dato che si mettono in evidenza gli errori riportati negli stessi atti di morte dell’epoca. Inoltre, l’elenco presentato nella scheda è il frutto di un incrocio con più fonti quali bibliografie, nominativi su lapidi e monumenti. Rimane tuttavia un elenco lacunoso almeno per quanto riguarda la mancanza dell’età di alcuni caduti. Il numero dei sopravvissuti è maggiore di quello riportato, ma mancano informazioni anagrafiche per risalire ai nomi.

Ogni anno, il 29 giugno, si ricordano le vittime della strage con una commemorazione pubblica.

La comunità di Civitella è stata insignita nel 1963 della Medaglia d’Oro al Valor Civile per le vittime e le violenze subite durante l’occupazione nazifascista. Il parroco don Alcide Lazzeri è stato insignito di Medaglia d’Oro al Valor Civile (alla memoria), e a lui è intitolata la piazza centrale di Civitella, da dove inizierà il percorso memorialistico di Civitella.

Persino la denominazione della Scuola Media statale commemora quel tragico eccidio, ricordando le vittime col nome Istituto comprensivo Martiri di Civitella.

Tanti i monumenti, le targhe o le lapidi sparse nella cittadina e nel territorio.

Partiamo da via Madonna di Mercatale, dove si trova il sepolcro, presso il cimitero di Civitella, realizzato nel 1962 dall’Associazione vittime civili di guerra che custodisce i resti di 144 caduti che nell’estate del 1944 rimasero vittima delle rappresaglie tedesche nel territorio di Civitella in Val di Chiana. La cappella, ubicata all’interno del cimitero, è un vero e proprio sepolcro: si tratta infatti di un ossario che custodisce i resti di 144 vittime della strage di Civitella in Val di Chiana del 29 giugno 1944. L’edificio è stato realizzato nel 1962 dalla stessa Associazione. Nel corso degli anni, in occasione del 40° e poi del 50° anniversario dell’eccidio, l’amministrazione comunale insieme all’Associazione ha collocato nella facciata esterna due lastre commemorative [7] [8].

Lapidi della chiesa di Civitella Giovanni Baldini 2003

 

Via Madonna di Mercatale, cimitero: Cappella dei martiri. Giovanni Baldini 2007

 

Giovanni Baldini 2007 Monumento ai partigiani

Sempre entro il cimitero troviamo il cippo ai martiri Paggi e Morfini:

Giovanni Baldini 2007

Monumento ai partigiani

Passiamo poi attraverso Piazza don Alcide Lazzeri. La decisione del parroco di morire accanto ai fedeli di Civitella, nella memoria locale, è stata letta in chiave di martirologio, cioè come altruistica offerta della propria vita in cambio di quella dei parrocchiani. Per questo la Cittadina ha intitolato la piazza del paese al parroco, insignito della medaglia d’oro al valor civile, come detto in precedenza [9].

Qui si trova anche la lapide per la 8th British Army.

Poco lontana la Chiesa di Santa Maria Assunta a Civitella. Sulla sinistra un monumento ricorda le vittime della strage [10].

Giovanni Baldini 2007

Jhon Percival Morgan era allora capitano dell’esercito britannico.

Tra la piazza e la via principale del centro abitato di Civitella, intitolata ai caduti della strage (via martiri di Civitella) si erge una lastra commemorativa a muro: il monumento “Pietà del Giugno 1944” di Civitella in Val di Chiana (AR). Il memoriale, inserito sul muro accanto alla chiesa, comprende un bassorilievo in bronzo e una lastra in marmo che ricordano la strage del 29 giugno 1944: nel primo è raffigurata la scena di donne e bambini che riuscirono a scappare dal paese in fiamme, nella seconda è inciso il testo della poesia “Pietà del giugno 1944”. Non distante vi è la “Porta della Pace” di Civitella in Val di Chiana [11].

Giovanni Baldini 2003

Pietà del 1944!

La mattina del 29 era festa in parrocchia

per i santi Pietro e Paolo

ma il giorno che si apriva bellissimo

diventò nebbia fumo fuoco sangue

fragore di mitraglia grida di uccisi

essere uomini significò morire

e gli uccisori non erano uomini ma fiere impazzite

Cadde il parroco sacrificato

benedicendo il suo popolo

bruciarono nel guscio delle case i vivi e i morti

– Addio Civitella che sarà di noi?

fu il lamento delle donne rimaste sole

Ora Civitella è risorta da roghi e da ortiche

i tumoli sono fioriti le lagrime seccate

i bambini che videro muti e pallidi sono cresciuti

il ricordo è cenere

che un vento di giorno in giorno disperde

Ma non sia dimenticato il delitto

che strazia anche l’inerme

sia fuggita la colpa

che macchia anche l’innocente

delitto e colpa che sono l’ingiusto guadagno e l’intolleranza

padre e madre della guerra

Franco Antonicelli

Passiamo dalla statua del chierichetto Daniele in via San Francesco a Civitella. La statua, in bronzo, dello scultore Bino Bini, posizionata nella terrazza del paese, ricorda i martiri dell’eccidio del 29 giugno 1944, avvenuto in tale luogo. Il monumento è in particolare dedicato al chierichetto Daniele che si trovava in chiesa insieme agli altri abitanti di Civitella. La statua lo rappresenta nel gesto estremo di lanciarsi nel vuoto per sfuggire ai tedeschi [12].

Comune di Civitella in Val di Chiana (AR), via San Francesco. Giovanni Baldini, 6-11-2007

L’iscrizione a lato riporta:

“In questo luogo di morte il chierichetto Daniele trovò la forza per volare verso la vita e ne fece dono per tutti”.

Giovanni Baldini, 6-11-2007 [13]

Ci spostiamo poi verso l’obelisco ai caduti di Civitella in Piazza Becattini.

Monumento ai caduti di Civitella in Val di Chiana. Allegoria della Patria. Eretto in memoria delle vittime della Prima Guerra mondiale, dopo il Secondo Conflitto furono aggiunti i nomi delle numerose altre vittime [14].

Poco distante da Civitella, si trova Selva Grossa, dove è stata posta una lapide ai caduti e un cippo che ricorda le vittime del 10 luglio 1944.

Solo dieci giorni dopo la strage compiuta a Civitella, fu perpetrato un altro terribile eccidio: alcuni uomini, già impiegati dai tedeschi per preparare le trincee, vennero costretti a scavare una fossa dove furono massacrati e sepolti. Tre giovani riuscirono a fuggire prima dell’esecuzione e uno, Otello Tavarnesi, che era stato ferito e sepolto nella fossa, riuscì a salvarsi. Questo ennesimo eccidio sarebbe stato compiuto in seguito all’uccisione di due tedeschi, avvenuta ad opera dei partigiani a S. Donato, oppure in seguito all’aggressione contro un tedesco avvenuta nello stesso giorno proprio nel bosco di Selva Grossa.

Cippo ai Caduti di Selva Grossa – Civitella in Val di Chiana [15]

Lì vicino si trova l’ennesimo cippo commemorativo, alle coordinate 43°23’49.0″N 11°43’46.6″E. Il monumento ricorda l’eccidio del 29 giugno 1944, durante il quale furono uccisi molti abitanti di Civitella in Val di Chiana e delle zone circostanti [16].

Cippo alle vittime eccidio di Civitella Val di Chiana

Terza tappa:

Raggiungiamo poi il cippo in località Cornia con nomi di alcune vittime.

Cippo all’eccidio di Cornia. Giovanni Baldini 2007 [17] via della Cornia (cimitero) Il comune di Civitella nel XXV° dell’eccidio di Cornia 1944- 1969

Presso il cimitero (non è chiaro a quale civico si trovi) vediamo la stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia [18].

63509 – Stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana)

Presso Borgo Paradise, Via di Solaia, 9, vi è il cippo dedicato a Modesta Rossi Polletti e ai Martiri del 29/6/1944 a Solaia di Civitella in Val di Chiana.

Il cippo è intitolato alla partigiana Modesta Rossi, medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria, moglie del partigiano Dario Polletti, uccisa dai tedeschi in questo luogo il 29 Giugno 1944, col figlio Gloriano ed altri 4 civili. Si trova nel giardino del Relais “Borgo Paradise”. Si tratta di una scultura in bronzo dal titolo significativo di “Rinascita”, opera dell’artista Giancarlo Marini. Scostata rispetto al pilastro, si trova una pietra dal profilo sagomato a mo’ di triangolo rettangolo. Vi è applicata una piccola targa in bronzo con incisa la dedica del Comune di Civitella in Val di Chiana ai Martiri delle stragi del 29 Giugno.

 

[19]

A circa 40 minuti a piedi (9 in auto), presso la Chiesa di San Michele Arcangelo a Cornia, si trova una lastra commemorativa dei martiri di Cornia, dedicata alle vittime civili delle rappresaglie nazifasciste che colpirono il territorio di Civitella in Val di Chiana fra il 29 giugno e il 16 luglio 1944. La lastra riporta, su due colonne, i nomi dei 58 Caduti delle frazioni di Cornia, Burrone, Morcaggiolo, Solaia, Cellere, S. Pancrazio e Caselle. Realizzata in occasione dell’anniversario dell’eccidio 29 giugno 1969, è ubicata in una nicchia della navata laterale di destra della chiesa.

[21] 43194 – Lastra commemorativa dei martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-dei-martiri-di-cornia/

 

[20]. Chiesa di San Michele Arcangelo <Cornia, Civitella in Val di Chiana>, le Chiese delle Diocesi italiane, https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=50719&Chiesa_di_San_Michele_Arcangelo__Cornia,_Civitella_in_Val_di_Chiana

 

Quarta tappa:

La quarta ed ultima tappa del percorso sarà Ciggiano, frazione di Civitella in Val di Chiana [22].

La mattina del 16 aprile 1944 a Ciggiano, un gruppo di SS fermò due giovani partigiani, Marapitti e Marmo che stavano requisendo un camion di legna e carbone, e li passò immediatamente per le armi.

Qui si trova un monumento ai caduti delle guerre di Ciggiano, in un giardino del centro abitato. Accanto all’altare, a sinistra rispetto a chi guarda, troviamo una stele in cemento con apposte tre distinte lapidi in marmo. La prima riporta indistintamente i nomi dei 30 Caduti e dei 2 Dispersi delle due Guerre mondiali, elencati per grado e ordine alfabetico. Segue una targa rettangolare dedicata ad Enrico Scapecchi, medaglia d’Argento al Valor Militare, caduto il 27 marzo 1944. Infine, la terza lastra riguarda i due partigiani Giovanni Marmo (“Boccanera”, “Napoli”) e Mario Marapitti (“Livorno”). Quest’ultima si trovava nel vecchio cippo posto nel luogo della loro morte, in Via Colombaia, sostituito nel 2014.

Via Colombaia, di fronte al numero civico 44 [23] Cippo a Giovanni Marmo e Mario Marapitti – Ciggiano di Civitella in Val di Chiana

Via Matteotti

Via Colombaia, di fronte al numero civico 44

Alessandro Bargellini 2008 (vecchio monumento) https://memo.anpi.it/monumenti/159/lapide-della-terrazza-delleccidio-di-civitella/

Per concludere

Oggi l’Associazione “Civitella Ricorda”  ha allestito in Via Martiri di Civitella una “Sala della Memoria”. Ci sono i reperti rinvenuti sulle vittime, le fotografie del paese prima e dopo la distruzione, le testimonianze, i libri, le videocassette e i tanti residuati bellici.

Lo scorso 25 Aprile, l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato a Civitella della Chiana per rendere omaggio alle vittime della strage nazifascista. Nell’anno in cui ricorrono gli 80 anni dalla strage del 29 giugno del 1944, il Capo dello Stato ha infatti scelto il piccolo borgo toscano per celebrare la Festa della Liberazione. Alla cerimonia era presente lo stesso Giovannetti, Vescovo emerito.

29 giugno 1944. La strage di Civitella: https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2024/06/29-giugno-1944-La-strage-di-Civitella-2e9f37a0-f154-461b-a98d-3c2186efbe5b-ssi.html

Bibliografia sull’argomento:

– Edoardo Succhielli, La Resistenza nei versanti tra l’Arno e La Chiana, Tip. Sociale, Arezzo, 1979

– Romano Moretti, Il giorno di san Pietro: l’eccidio di San Pancrazio, le memorie e la storia: l’eccidio nazifascista del 29 giugno del 1944 a Civitella in Val di Chiana, Cornia, San Pancrazio, provincia di Arezzo, Le balze, Montepulciano, 2005

– Enrico Biagini, Civitella: un paese, un castello, un martirio, Centro Stampa, Arezzo,  1981

– Santino Gallorini, La memoria riunita: il partigiano Renzino e Civitella tra bugie, silenzi e verità, Effigi, Arcidosso, 2013

– Romano Moretti, Ricordi della Seconda guerra mondiale: Cornia di Civitella in Val di Chiana, Monte San Savino, San Pancrazio di Bucine, con la collaborazione di Luciano e Piero Romanelli, Effigi, Arcidosso, 2019

– Enzo Gradassi, L’ingiustizia assoluta : memoria di un progetto di vita e della sua distruzione, Gebbia di Civitella in Valdichiana 1944, Provincia di Arezzo, Comune di Civitella in Val di Chiana, Fondazione Conservatorio San Girolamo, Siena, 2008

– Ida Balò Valli (a cura di), Giugno 1944: Civitella racconta, L’Etruria, Cortona, 1994

 

Note:

  1. Viciomaggio, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3583
  2. Civitella in Val di Chiana, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,

https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3211

  1. Santino Gallorini, La memoria riunita: il partigiano Renzino e Civitella tra bugie, silenzi e verità, Effigi, Arcidosso, 2013.

L’opera offre anche una ricostruzione approfondita del tragico eccidio.

Sulla vicenda prese parola lo stesso Edoardo  Succhielli (a cura di), La Resistenza nei versanti tra l’Arno e La Chiana, Tip. Sociale, Arezzo, 1979.

  1. Giacomo Gambassi, Il testimone. Giovannetti: «Io, oggi vescovo, sopravvissuto alla strage nazista», in «Avvenire», 27 giugno 2019, https://www.avvenire.it/agora/pagine/vescovo-giovannetti-sopravvissuto-eccidio-civitella
  2. Romano Moretti, Il giorno di san Pietro. L’eccidio di San Pancrazio (le memorie e la storia) provincia di Arezzo, Le balze, Montepulciano, 2005.
  3. Enzo Gradassi, L’ingiustizia assoluta: memoria di un progetto di vita e della sua distruzione, Gebbia di Civitella in Valdichiana 1944; Provincia di Arezzo, Comune di Civitella in Val di Chiana, Fondazione Conservatorio San Girolamo, Il mio amico, Roccastrada, 2008.
  4. 43184 – Cappella dei martiri della strage di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cappella-dei-martiri-della-strage-di-civitella-in-val-di-chiana/
  5. Cappella dei Martiri, ResistenzaToscana.it, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/civitella_in_val_di_chiana/cappella_dei_martiri/
  6. 63198 – Lastra d’intitolazione della piazza a don Alcide Lazzeri – Civitella in Val di Chiana (AR), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-dintitolazione-della-piazza-a-don-alcide-lazzeri-civitella-in-val-di-chiana-ar/
  7. Civitella in Val di Chiana, https://www.ns-taeter-italien.org/it/stragi/civitella-cornia-e-san-pancrazio/civitella-in-val-di-chiana
  8. 5517 – Monumento “Pietà del Giugno 1944” di Civitella in Val di Chiana (AR), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-pieta-del-giugno-1944-di-civitella/
  9. 4727 – Monumento al chierichetto Daniele – Civitella Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/statua-del-chierichetto-daniele/
  10. 6552 – Lastra a ricordo eccidio di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-delleccidio-di-civitella-in-val-di-chiana/
  11. 5200 – Monumento ai Caduti di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/obelisco-ai-caduti-delle-due-guerre-mondiali-di-civitella/
  12. Cippo ai Caduti di Selva Grossa – Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-ai-caduti-di-selva-grossa-civitella-in-val-di-chiana/
  13. 7421 – Cippo alle vittime eccidio di Civitella Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/obelisco-ai-caduti-di-civitella-val-di-chiana/
  14. Cippo dell’eccidio di Cornia, ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/civitella_in_val_di_chiana/cippo_dell_eccidio_di_cornia/
  15. 63509 – Stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/stele-a-rosa-pontenani-e-ai-martiri-di-cornia-civitella-in-val-di-chiana/
  16. 122321 – Cippo a Modesta Rossi Polletti e ai Martiri del 29/6/1944 – Solaia di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-a-modesta-rossi-polletti-e-ai-martiri-del-29-6-1944-solaia-di-civitella-in-val-di-chiana/
  17. Chiesa di San Michele Arcangelo <Cornia, Civitella in Val di Chiana>, le Chiese delle Diocesi italiane, https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=50719&Chiesa_di_San_Michele_Arcangelo__Cornia,_Civitella_in_Val_di_Chiana
  18. 43194 – Lastra commemorativa dei martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-dei-martiri-di-cornia/
  19. Ciggiano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3186
  20. 111075 – Cippo a Giovanni Marmo e Mario Marapitti – Ciggiano di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-a-giovanni-marmo-e-mario-marapitti-ciggiano-di-civitella-in-val-di-chiana-2/

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di settembre 2024.




Scolpiti nella memoria

 Dietro ogni cippo, una storia.

Dietro ogni pietra, una vita.

 

Oggi più che mai di fronte ad un certo revisionismo storico spalleggiato da una parte della classe politica che mal sopporta il dichiararsi antifascista si ha la necessità di continuare a parlare di quei valori della Resistenza da cui ha tratto origine la nostra costituzione e di raccontare le storie di coloro che hanno combattuto per liberare l’Italia dal nazifascismo e soprattutto di coloro che hanno dato la propria vita per sconfiggere la dittatura e farci riassaporare la democrazia. Ed è proprio per mantenere viva la memora che è stato utile negli anni, per circoscrivere come in un fermo-immagine il ricordo di chi è caduto per il nobile ideale di libertà, erigere monumenti o affiggere targhe commemorative. Scomparsa quasi del tutto la generazione protagonista di quella stagione storica, in un tempo in cui si sta perdendo o si tenta di offuscare la memoria di quegli avvenimenti che hanno dato vita alla Resistenza, i monumenti rimangono lì “immobili” a testimoniare il sacrificio ed il martirio di coloro che hanno combattuto per la liberazione del nostro paese. Monumenti e lapidi hanno il compito di tenere desta la memoria di quei fatti che hanno segnato il drammatico passaggio dalla caduta del fascismo all’Italia repubblicana, attraverso la conquista della libertà democratiche. Ed oggi assumono forse una nuova valenza ed una rinnovata importanza nella loro funzione di tramandare alle giovani generazioni il ricordo della Resistenza e dei suoi caduti. Ma spesso durante il passaggio per le vie e le piazze, distratti dal via vai della città, immersi nello stress della vita quotidiana o nei propri pensieri, questi monumenti rimangono quasi invisibili, se non addirittura per alcuni incomprensibili perché ne ignorano il significato. Purtroppo, sono targhe, lapidi e monumenti che spesso solo nel giorno dell’anniversario riprendono vita con fiori, corone, commemorazioni, bandiere, stendardi e bande musicali… ma il resto dell’anno sembrano perdere il loro valore simbolico rientrando in una sorta di anonimato e di indifferenza. Ed è per questo che abbiamo pensato, prendendo l’occasione dall’ottantesimo Anniversario della Liberazione di Arezzo, di creare un itinerario attraverso i monumenti dedicati alla Resistenza sparsi per la città, in modo tale da far conoscere a chi ne ignora la storia o a rammentarla agli altri l’esistenza ed il loro valore simbolico e di memoria.

 

Monumenti, lapidi e cippi che raccontano le tracce della guerra, della Resistenza e della Liberazione della città

 

“La storia si fa arredo urbano

e l’arredo urbano muta

con il variare delle fasi storiche…”

Mario Isnenghi

 

Mappa dell’itinerario.

 

  • Percorso: Piazza Poggio del Sole (Monumento ai caduti della Resistenza) – via Cavour (Liceo classico-musicale Francesco Petrarca) – Piazza della Libertà (Palazzo del Municipio) – Cimitero Urbano (Monumento ai caduti nella guerra di Liberazione) – via Francesco Severi (Lapide del Fiume) – via Anconetana (Cippo ad Eliseo Brocherel) – viale Giotto (Monumento ai caduti dell’artiglieria) – largo Inigo Campioni (Monumento ai caduti del mare) – piazzetta San Niccolò (Cippo a Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti).
  • Tempo di percorrenza: 1 ora e 45 minuti circa
  • Distanza: 7,3 km
  • Dislivello: + 91 m – 64 m

 

Iniziamo il nostro percorso da Piazza Poggio del Sole, dove troviamo il Monumento ai caduti della Resistenza, testimonianza significativa del sacrificio e del coraggio dimostrato dai partigiani e dai cittadini durante la lotta contro l’occupazione nazifascista. Arezzo e la sua provincia furono particolarmente colpiti dalla strategia stragista degli occupanti subendo l’impressionante cifra di 3110 caduti fra combattenti e popolazione civile. La provincia è stata insignita della medaglia d’oro per “l’irriducibile opposizione al nemico da parte di agguerrite formazioni armate e delle patriottiche popolazioni di città e campagna, sui monti e le valli…”[1]. I partigiani aretini, un esercito di poco più di 3500 uomini e donne, riuscirono ad impegnare, sottraendoli dal fronte alleato, ingenti forze nazifasciste infliggendo loro pesanti perdite.

Il Monumento ai caduti della Resistenza è posto all’interno dei giardini antistanti la Prefettura, una collocazione strategica, facilmente accessibile, situata in prossimità della stazione e del centro storico.

 

“Il Popolo delle vallate aretine ai caduti per la Resistenza”.

 

L’opera fu commissionata dal Comune di Arezzo e realizzata dallo scultore brasiliano di origini italiane Bruno Giorgi intorno al 1975. Il monumento è dominato da una figura centrale di bronzo che si protende nell’aria con le braccia alzate appoggiata a due “X” bronzee. Colpiscono nel monumento questi arti alzati al cielo, che troveremo successivamente anche nel monumento ai caduti nella guerra di liberazione all’interno del Cimitero Urbano, che simboleggiano un atto di estrema violenza “per uscire dall’età e dal periodo che ha visto troppe persone divenire corpi senz’anima e troppi corpi divenire caduti”[2].

 

Uscendo da piazza Poggio del Sole ci dirigiamo verso piazza Guido Monaco e procediamo in direzione nord-est percorrendo l’omonima via fino all’incrocio con via Cavour. Giunti al bivio svoltiamo a sinistra e dopo pochi metri ci troviamo di fronte al liceo Classico-Musicale Francesco Petrarca. All’interno vi sono una lastra e un monumento che commemorano studenti e professori caduti durante la prima e la seconda guerra mondiale e la guerra civile spagnola.

 

Monumento agli studenti del liceo ginnasio Francesco Petrarca di Arezzo.

Il monumento è costituito da una struttura a nicchia in travertino al cui interno è collocata la scultura in bronzo di un eroe accompagnato in cielo da un angelo, sopra un’altra figura alata che porta, correndo, una fiaccola e in basso un soldato nudo morente giace al suolo con la spada rivolta all’indietro. Ai lati della nicchia vi sono due lastre rettangolari che riportano i nomi dei caduti nella Grande Guerra e successivamente è stata aggiunta una lastra con i nomi dei caduti del secondo conflitto mondiale. Tra gli allievi del liceo rimasti vittime durante la guerra del 1940-45 si annoverano Sante Tani, animatore e martire della Resistenza aretina (a cui è dedicato anche un bassorilievo che visiteremo successivamente), e Pio Borri, primo caduto della Resistenza ad Arezzo.

 

Lastra in ricordo degli alunni del liceo Francesco Petrarca caduti nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza.

 

A Pio Borri è stata dedicata anche l’aula magna del liceo in cui sono presenti in una parete dei cimeli che ricordano lo studente, compresa la motivazione della medaglia d’argento.

 

Cimeli in onore di Pio Borri.

 

Pio Borri fu il comandante della prima brigata partigiana formatasi spontaneamente, la “Vallucciole”, che nel corso di uno dei primi rastrellamenti in grande stile dei nazifascisti in Casentino, proprio in località Vallucciole l’11 novembre del 1943 fu arrestato, torturato, giustiziato e gettato in un fosso in mezzo alla neve. Successivamente in onore del proprio comandante la formazione partigiana prese il nome di XXIII Brigata garibaldina “Pio Borri”.

 

Continuando il nostro percorso in direzione nord-ovest prendiamo via Andrea Cesalpino e dopo cinque minuti si arriva al Palazzo del Municipio in Piazza della Libertà. Qui all’interno si trova una Lastra in ricordo delle forze Alleate entrate in città il 16 luglio 1944 e un bassorilievo in pietra dedicato a Sante Tani.

 

Lastra in ricordo delle forze Alleate.

Questa lastra posta in una parete interna del Municipio è un importante simbolo della liberazione della città dall’occupazione nazifascista. La mattina del 16 luglio 1944 alle ore sette l’antico campanone posto sulla torre del comune cominciò a suonare a distesa, seguito dopo poco dalle altre campane cittadine e della campagna circostante, valido segnale per gli Sherman, i carri armati alleati, che nella tarda mattinata entrarono nella città ormai libera. Sulla targa è riportato un messaggio, scritto sia in italiano che in inglese, di gratitudine verso le forze Alleate per il loro fondamentale contributo.

 

Nel cortile del Municipio troviamo il bassorilievo dedicato a Sante Tani, primo fondatore e capo indiscusso dell’antifascismo aretino. Nato a Rigutino in provincia di Arezzo il 3 aprile 1904 e barbaramente trucidato sempre ad Arezzo il 15 giugno 1944, insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Cortile del Municipio.

Bassorilievo dedicato a Sante Tani: “A Sante Tanti, animatore e martire della Resistenza, la Democrazia Cristiana al comitato antifascista nel trentesimo della liberazione”, 1974, Palazzo comunale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figlio di Angiolo Tani ed Elisa Meacci, Sante Tani fin da giovane fu aperto oppositore del fascismo. Si laureò in giurisprudenza a Roma e una volta rientrato ad Arezzo operò come agitatore e cospiratore in contatto con esponenti di tutti i partiti politici clandestini. Il 25 aprile del 1942 venne processato per le sue idee politiche e assegnato per quattro anni al confino in provincia di Benevento. Il fascismo cadde prima della conclusione della sua condanna ed egli, tornato ad Arezzo, dopo l’8 settembre del 1943 fu nominato presidente del Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista (CPCA). Prese anche parte direttamente alla lotta armata dirigendo alcune formazioni partigiane. Caduto in mano ai tedeschi, il 30 maggio 1944 a Casenovole insieme al fratello don Giuseppe e all’amico Aroldo Rossi – ventinovenne, commerciante aretino -, riuscì a resistere per diciassette giorni alle torture, alternate alle offerte di libertà in cambio di informazioni. Il Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale (CPLN) organizzò la loro evasione dal carcere per il successivo 15 giugno, ma l’operazione fallì e lo stesso giorno Sante insieme al fratello e al giovane Rossi furono barbaramente trucidati nella cella dove erano rinchiusi. Morirono anche due partigiani, il tenente belga Jean Mauritz Justin Meuret (al quale è stato eretto un cippo commemorativo ad Arezzo nella strada che porta verso San Domenico) e Giuseppe Oddone, che insieme ad altri avevano tentato inutilmente di attuare il piano di evasione.

 

Usciti dal Municipio costeggiamo il Prato della Fortezza Medicea percorrendo viale Bruno Buozzi per circa un chilometro fino ad arrivare al Cimitero Urbano dove è presente all’ingresso il Monumento ai caduti nella guerra di Liberazione.

 

Monumento ossario dei caduti per la libertà, “Arezzo ai 792 caduti durante la guerra di liberazione, partigiani, vittime per rappresaglia nazifascista, caduti per fatti di guerra settembre 1943 luglio 1944”.

Il monumento è un’opera commemorativa dedicata a tutti i combattenti che persero la vita durante la seconda guerra mondiale. Esso è composto da un muro nel quale da una parte vi è un bassorilievo che raffigura i caduti in guerra e per rappresaglia nazifascista con una lastra dedicatoria, dall’altra vi sono grosse lastre con i nomi dei caduti, oltre 700 nomi.

Nel 1973 si formarono due comitati per l’erezione dei più conosciuti monumenti ai caduti di Arezzo, l’Ossario ai caduti per la libertà, opera dello scultore Firenze Poggi ed il Monumento alla Resistenza dello scultore Bruno Giorgi (primo monumento incontrato durante il nostro itinerario). Entrambi i monumenti furono inaugurati in occasione delle celebrazioni del trentennale della Liberazione di Arezzo.

La scelta di collocare il monumento all’interno del cimitero urbano aggiunge un ulteriore livello di solennità e rispetto: questo luogo, già dedicato alla memoria dei defunti, diventa anche un santuario per ricordare i caduti della Resistenza. Colpisce in questa scultura la rappresentazione di questi corpi senza volto che sembrano voler lottare per liberarsi dall’agonia che li costringe[3]. Sono corpi addossati l’uno all’altro, chi in movimento, chi accasciato, chi con le braccia protese in alto “come a voler rompere il momento di disperazione”, le stesse braccia che si allungano, come abbiamo visto, nel monumento alla Resistenza in Piazza Poggio del Sole.

 

Dal Cimitero Urbano procediamo in direzione sud-est e percorriamo via Francesco Redi per circa 20 minuti, svoltando a sinistra in via Francesco Severi possiamo scorgere in un edificio all’altezza del primo piano, posta sul muro esterno, la Lapide del Fiume, una lapide marmorea con elementi di rilievo collocata a perenne ricordo dei partigiani Giuseppe Mugnani, Corrado Luttini e Quinto Genalti. I primi due furono partigiani di Sansepolcro della formazione “Eduino Francini” fucilati a Villa Santinelli di San Pietro (Città di Castello), il 27 marzo 1944 (ad entrambi è stata conferita la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria)[4];  mentre il terzo Quinto Genalti, perse la vita nella strage di San Polo, l’eccidio commesso dalle truppe naziste in ritirata dall’aretino il 14 luglio 1944, due giorni prima della liberazione della città.

Dopo la guerra, nel 1961, la comunità di Arezzo decise di onorare la memoria di questi partigiani non ancora ventenni, nati ad Arezzo, con una lapide per mantenere vivo il ricordo di questi eroi locali che combatterono contro l’oppressione nazifascista, spesso a costo della propria vita.

(Alzando lo sguardo quando siamo lì dedichiamoli un pensiero).

 

Lapide del Fiume, “Il fiume ai partigiani, Giuseppe Magnani, Corrado Luttini, Quinto Genalti, caduti eroicamente per la libertà nel 17° del proprio sacrificio”.

 

Tornando indietro per via Francesco Severi, all’incrocio con Viale Redi svoltiamo a sinistra in via Eugenio Calò fino ad arrivare all’incrocio con via Anconetana, giunti al bivio svoltiamo a destra e percorriamo poche centinaia di metri fino a quando sulla sinistra troviamo il cippo commemorativo ad Eliseo Brocherel.

 

Cippo ad Eliseo Brocherel.

 

Giovane partigiano di appena 23 anni ucciso da un fascista repubblichino, Domenico Pancacci, per essersi rifiutato di fornire informazioni sui partigiani e sugli esponenti della Resistenza. Era il 6 giugno 1944 quando Eliseo Brocherel fu ammazzato con due colpi alla schiena. In sua memoria nel luglio 1964 in via Anconetana – luogo in cui avvennero i fatti – venne eretto un cippo. La stele che non versava in un buono stato di conservazione, come possiamo vedere dalla foto, è stata restaurata nel giugno del 2023.

 

Anche se non riguardano propriamente la Resistenza, ma sempre commemorativi ai caduti della seconda guerra mondiale, abbiamo inserito nel tour altre due tappe per rendere più uniforme il nostro percorso: il Monumento ai caduti dell’artiglieria e il Monumento ai caduti del mare.

Lasciato alle spalle il cippo di Brocherel proseguiamo in direzione nord-ovest, svoltiamo a sinistra e dopo pochi passi in via del Pantano ci immettiamo in via Raffaele Sanzio che percorriamo in direzione sud-ovest fino ad arrivare ad una rotonda dove svolteremo a destra su Viale Giotto. Dopo aver percorso pochi metri troviamo sulla sinistra una piccola area verde al cui interno è collocato il Monumento ai caduti dell’Artiglieria. Si tratta di un cannone in bronzo e ferro di colore verde militare che poggia su una piattaforma di cemento. Il monumento vuole rendere omaggio a tutti coloro che hanno dato la vita per difendere il paese combattendo contro mezzi terrestri e aerei per proteggere i confini.

 

Monumento ai caduti dell’artiglieria.

 

Poi percorriamo viale Giotto fino ad arrivare all’incrocio con viale Luca Signorelli, dove giriamo a destra fino a giungere largo Inigo Campioni, qui vi è un piccolo parco all’interno del quale è posto il Monumento ai caduti del mare. Il monumento è costituito da una base di pietra triangolare, su cui è posta un’altra pietra di forma piramidale simile ad uno scoglio, che sostiene una grande ancora di ferro, con la sua catena. Su una lastra di pietra posta davanti vi è la scritta “Arezzo ai caduti del mare”.

 

Monumento ai caduti del mare.

 

 

 

 

 

 

L’itinerario prosegue in direzione nord prendendo il viale Andrea Sansovino e svoltando poi a sinistra giungiamo in piazzetta San Niccolò dove si trova il Cippo in memoria di Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti, due donne, madre e figlia, vittime della ferocia della guerra. Un monumento inaugurato nel settantesimo anniversario dall’eccidio, che ricorda una vicenda terribile, legata ad uno dei tanti crimini compiuti dai nazisti nel territorio aretino.

 

 

Il Cippo di San Niccolò: “Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti, madre e figlia, il 3 luglio 1944 nel difendersi con coraggio caddero vittime della ferocia nazista nell’eccidio di Toppo Fighine di Policiano, per non dimenticare la figlia Vanda Innocenti dona al comune di Arezzo, 3 luglio 2024”.

 

Le truppe tedesche, sospinte dall’avanzata degli alleati, si ritiravano verso nord attestandosi su linee difensive sempre più arretrate con l’unico scopo di ritardare quanto più possibile la linea del fronte, così da ultimare la costruzione della Linea Gotica, ultima risorsa tedesca per bloccare l’avanzata degli angloamericani. Durante la ritirata i tedeschi, come lupi affamati, razziavano portandosi via generi alimentari, animali, e qualsiasi bene materiale che trovavano nelle case coloniche sparse per la campagna. In una di queste case dove si era rifugiata, scappando dai bombardamenti nella città di Arezzo, la famiglia Innocenti, il 3 luglio del ’44 fecero irruzione due soldati tedeschi. In quel momento in casa c’erano le figlie Adriana e Anna Lisa e la madre Isolina. Quest’ultima intuendo le intenzioni dei due uomini, che avevano invitato le ragazze a seguirli in camera da letto, tentò di opporsi ma una mitragliata la colpì insieme alla figlia Anna Lisa che rimasero inermi sul pavimento. Anche Adriana rimase ferita alle gambe ed uno dei due tedeschi volendole dare il colpo di grazia le sparò con la pistola all’addome. I due militari credendole tutte e tre morte se ne andarono via. Ma Adriana rimase solo ferita in quanto la pallottola perforandole il rene uscì dalla schiena. Solo nella tarda mattinata del giorno successivo fu trovata dagli abitanti della zona e fu portata all’ospedale di Cortona. La ragazza si salvò e raccontò questa sua terribile storia in un manoscritto inedito da cui Enzo Gradassi ha riportato l’avvenimento nel testo “Innocenti. Un eccidio aretino nel 1944”, edito da “Le Balze”[5].

 

Lasciando l’ultimo monumento alle spalle delle due donne barbaramente uccise, nella via di ritorno molto probabilmente le tristi e sofferenti storie dei caduti della Resistenza rimbalzeranno nella mente rendendoci consapevoli che la memoria è necessaria: dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano potrebbero ritornare (Mario Rigoni Stern).

 

Questo “percorso-resistente” si effettua in circa due ore di cammino che può variare in conseguenza al tempo che ognuno di noi decide di soffermarsi davanti ai vari luoghi della memoria.

 

NOTE:

[1] Motivazione di concessione della Medaglia d’oro per attività partigiana.

[2] Massimo Baioni e Camillo Brezzi (a cura di), Memorie scolpite. Itinerari tra i monumenti alla Resistenza nella provincia di Arezzo, Maschietto e Musolino, Arezzo 2000, p. 30.

[3] Ibidem.

[4] Nella notte dal 24 al 25 marzo un gruppo di partigiani toscani della formazione di Eduino Francini, che agiva sui monti di Sansepolcro e che era di passaggio per la zona, occuparono per qualche giorno Villa Santinelli. Scoperta la loro presenza, furono assediati e costretti alla resa da ingenti truppe fasciste e da un reparto corazzato tedesco. Dei 18 componenti della banda, 9 furono fucilati, 4 incarcerati, gli altri riuscirono a sfuggire alla cattura.

[5] Enzo Gradassi, Innocenti. Un eccidio aretino nel 1944, Le Balze, Montepulciano 2006.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel settembre 2024.

 

 

 




L’eccidio di Berceto tra luci ed ombre: quando la Storia non è univoca

Una delle vicende forse più tristi, dal forte impatto morale e ancora controverse, verificatasi nelle campagne tra Monte Giovi e Pratovecchio, verso gli Appennini, è sicuramente quella di Berceto, piccola località del comune di Rufina, in provincia di Firenze, tappa del Sentiero della Memoria.

Immagine satellitare di Berceto. Fonte: Google Maps

Nel periodo tra marzo e aprile del 1944, sul Monte Giovi si riunirono pian piano vari nuclei di combattenti, fra cui il gruppo Lanciotto Ballerini proveniente da Monte Morello. Per tutto l’inverno dovettero sopportare non solo il freddo, ma soprattutto le varie marce forzate di spostamento, rese necessarie dai continui rastrellamenti operati dalle milizie repubblichine e dai reparti nazisti della divisione Hermann Goering, fatti giungere nel centro Italia con funzioni antipartigiane [1].

Ai primi d’aprile, tedeschi e repubblichini misero in atto un rastrellamento su vasta scala nella zona tra la Calvana e il monte Falterona. Incendi, distruzioni ed uccisioni indiscriminate caratterizzarono quell’operazione di polizia con l’intento di dissuadere i contadini della zona a dare aiuto ai partigiani.

Furono proprio costoro a subire le più gravi conseguenze per il sostegno dato alla causa della Resistenza. I contadini, inoltre, erano spesso succubi di un apparato agrario dominato dai grandi latifondisti, coadiuvati da fattori asserviti al regime, controllori attenti del territorio [2].

È in tale clima che avvenne l’eccidio di Berceto.

Lunedì 17 aprile del 1944, infatti, a Berceto, non distante da Pomino, sempre nel comune di Rufina, arrivarono sette uomini, che si definirono partigiani sbandati. In quei giorni, nella zona di Pomino, era presente in perlustrazione una formazione partigiana comandata da Pietro Corsinovi detto “Pietrino” (a cui faceva capo il gruppo Lanciotto Bellerini). La formazione aveva lasciato ad inizio aprile il Monte Morello, spostandosi in direzione del Falterona. Dopo i fatti di Vallucciole (frazione di Stia, in provincia di Arezzo) di Pasqua, stava rientrando verso Rufina. Corsinovi dette ordine di muoversi verso il passo della Consuma, attraverso il quale sperava di giungere al Pratomagno. Durante il trasferimento però, la squadra di Romolo Moretti “Capitan Tempesta” rimase indietro: lui riuscì a ricongiungersi con i compagni, ma sette dei suoi uomini si erano fermati in una casa colonica di Berceto, all’alba del 17 aprile [3].

Questi uomini, tutti tra i 19 e i 22 anni, erano saliti sul Monte Morello dopo l’8 settembre: tre erano fiorentini, Osvaldo Toci del Medico, detto “Sindic”, il suo futuro cognato Dino Bolognesi “Onid” e Carlo Uttummi; due erano di Carmignano, come Mauro Chiti e Adelindo Bocci; uno di Campi Bisenzio, tale Guglielmo Chiti “Teotiste”. Il settimo era un disertore austriaco della Wermacht, che si era unito agli altri solo da poco [4].

Questi chiesero al signor Lazzaro Vangelisti, uno dei coloni della vicina fattoria di Pomino dei marchesi Frescobaldi, cibo e ospitalità e pernottarono lì, nonostante Vangelisti stesso e i paesani, anch’essi coloni, avessero detto loro di non trattenersi a lungo, onde evitare rischi.

Vecchia foto di Lazzaro Vangelisti a Berceto Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014 [2ª edizione]

 

Vangelisti nei giorni precedenti si era già mostrato solidale con i soldati alleati e i partigiani, fatto forse noto ad Uttummi e al Tesi. Quel giorno però Vangelisti si mostrò diffidente. Era infatti noto che i soldati della Divisione Göring fossero impegnati sui rilievi dei monti Morello, Falterona, Giovi e nell’area del Casentino in una grande operazione di rastrellamento antipartigiano.

I partigiani non si decisero a ripartire e, anzi, si fermarono a farsi rammendare e sistemare i vestiti dalle donne del posto, mostrandosi -secondo la testimonianza di Vangelisti- ostili, fatto che aveva destato in lui, ex post, sospetti sulle reali intenzioni dei ribelli.

Come temuto però, poco dopo, giunsero a Berceto gli uomini della Göring, tra i quali alcuni militi della 92° Legione GNR di Firenze, distaccati a Dicomano [5]. Cinque partigiani vennero catturati, due dei quali, Guglielmo Tesi e Mauro Chiti, fucilati all’istante. Gli altri, stando ai loro racconti, colpiti da un calcio, avrebbero perso l’equilibrio e sarebbero caduti, evitando così le raffiche di mitra che uccisero gli altri due ragazzi. Furono dapprima portati alla Consuma, poi a Firenze, nella Fortezza da Basso, quindi alle Murate, dove sarebbero stati torturati, prima di riuscire a fuggire, per ricongiungersi con i ribelli [6].

Nel frattempo, a Berceto, la furia dei soldati si era abbattuta sulla famiglia Vangelisti, ritenuta fiancheggiatrice dei partigiani: la moglie di Lazzaro, Giulia, assieme a quattro figlie, vennero seviziate e uccise , mentre la loro abitazione fu data alle fiamme. Lo stesso copione venne adottato nei confronti delle famiglie Ebicci e Soldeti, vicine dei Vangelisti: furono uccisi i coniugi Alessandro e Isola Ebicci, poi Fabio e Iolanda Soldeti, rispettivamente nonno e nipote, e le loro case date alle fiamme [7]. Sopravvissero solo coloro che al momento dell’eccidio si trovavano al lavoro nei campi.

Giulia Vangelisti con le quattri figlie. Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014 [2ª edizione]

I due partigiani colpiti a morte. Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi

Gli Ebicci e i Soldeti. Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi

Elina Vangelisti, una delle figlie di Vangelisti sopravvissuta alla strage, così racconta le ore successive:

«I corpi delle vittime furono sistemati al coperto e ricomposti con la collaborazione della Signora Ada Barducci, una vedova amica di famiglia, giunta nel primo pomeriggio a dare aiuto» [8]. I corpi delle vittime, come lo stesso Vangelisti ha raccontato, era stati infatti martoriati [9].

Più tardi, sempre durante i rastrellamenti antipartigiani per indebolire la popolazione civile, i tedeschi uccisero a Cigliano, non distante da Berceto, un pastore, Giuseppe Poggiolini, e un partigiano non identificato.

Il giorno seguente, il 18 aprile, le salme furono sistemate nelle casse di castagno e il giorno successivo sepolte in un’unica fila al cimitero di Pomino come testimonia l’atto di morte della parrocchia redatto dal sacerdote don Fanetti [10].

Non erano ancora stati identificati però i due partigiani uccisi, quindi furono tumulati senza nome. Sette mesi dopo, terminata la guerra, le autorità del C.L.N. invitarono degli esponenti della Resistenza campigiana a riconoscere i due partigiani morti nella strage di Berceto. Guglielmo Tesi era infatti originario di Campi Bisenzio e fu identificato per le sue fattezze fisiche [11].

Molte le polemiche sorte dopo la fine della guerra sui fatti di quel triste giorno. Secondo Corsinovi si sarebbe trattato di una «malvagia rappresaglia» dei nazifascisti, in risposta a quello che chiamò un «combattimento» armato, a causa del quale la formazione partigiana avrebbe subito ingenti perdite [12]. In realtà non ci sarebbe stato un vero e proprio conflitto a fuoco precedente, bensì, come ha scritto Fusi, l’eccidio rientrerebbe nella «guerra ai civili», oramai in atto da settimane nel territorio toscano [13].

Secondo la testimonianza di Lazzaro Vangelisti, mosso dalla voglia di vendetta e per il grande dolore, nel gruppo di partigiani che aveva trovato rifugio presso il suo capanno, vi erano una o più spie (“falsi partigiani”) al servizio dei tedeschi, forse allertati dall’allora fattore, poi portato a processo dallo stesso Vangelisti. Basandosi sui propri ricordi, sulle spiegazioni ricevute e suggestionato da varie illazioni, Vangelisti accusò di aver ordito tale vendetta, coadiuvato da alcuni dei sette partigiani, il marchese Frescobaldi, proprietario della tenuta di Pomino e il suo fattore, Giuliano Franciolini, animati da simpatie fasciste e, a suo dire, desiderosi di fargli pagare il suo sostegno alla Resistenza [14].

Aveva mosso già tali accuse nell’aprile del 1945, quando venne interrogato allo Special Investigation Branch britannico che indagava sul caso. Lo stesso farà poi con le autorità italiane nel dopoguerra. Ne nacque una vicenda giudiziaria, sia nei confronti dei tre partigiani superstiti, sia verso il Frescobaldi e il fattore, che sfociò in un processo durante il quale «L’Unità», organo ufficiale del Pci, difese il partigiano Sindic e gli altri due accusati con un’inchiesta molto documentata. La sentenza del processo non lasciò adito a dubbi perché Sindic e gli altri vennero assolti con la formula più ampia, ovvero «per non aver commesso il fatto» [15]. Nel novembre del 1948, infatti, la sezione istruttoria della Corte di Appello di Firenze concluse che le accuse mosse verso il Frescobaldi, il fattore e i partigiani di Corsinovi erano infondate [16].

Nessuna giustizia, dunque, ha ripagato per i dolori di quel giorno, mentre luci e ombre caratterizzano , anche perché la verità giudiziaria non ha sostenuto la tesi di Vangelisti. La vicenda di Berceto è, difatti, caratterizzata da «reticenze giudiziarie e operazioni politico-culturali di rimozione di fatti ed episodi», storie troppo scomode nel secondo dopoguerra, come ha scritto l’oramai ex sindaco di Rufina Mauro Pinzani [17].

Come chiaramente scrive Fusi, si può dubitare -come fece Vangelisti- che le accuse da lui mosse fossero state insabbiate per motivi politici, dovuti alle forti polarizzazioni della politica italiana d’allora, come avvenne per altri crimini dei nazifascisti. Tuttavia, in mancanza di prove verificabili, resta lacunosa la ricostruzione dei fatti e resta difficile ipotizzare che un simile eccidio sia stato pianificato così nel dettaglio [18].

Come per molti altri eccidi, le popolazioni martirizzate hanno sempre cercato verità, senza contestualizzare però l’evento, difficile da accettare e metabolizzare, ricercando cause razionali.

Vera Vangelisti con una vecchia foto del padre Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi

Lazzaro Vangelisti, per avere una qualche giustizia, ha lottato a lungo con la figlia Vera, sopravvissuta alla strage e autrice di un libro, La strage di Berceto (DEA, Firenze, 2013), mentre lui ha affidato le proprie memorie biografiche e i ricordi di quel giorno ad un altro testo, intitolato Una vita trascorsa sotto tre regimi (Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014 [1ª edizione 1979]). Il titolo parla da sé: Vangelisti racconta la vita che aveva vissuto durante la Prima Guerra mondiale, poi sotto il fascismo e con la Seconda Guerra mondiale, infine, quando aveva dovuto lottare ancora per avere giustizia [19].

Copertina della prima edizione del testo di Vangelisti, presentato da Vasco Pratolini, che conobbe tale testo grazie a Don Masi, prete molto vicino a Lazzaro Vangelisti.

Il libro di Vangelisti va dunque letto come una testimonianza delle atrocità commesse dai nazifascisti e come «esempio di una lacerante ricerca personale di una spiegazione e di un senso di giustizia in grado di lenire in qualche modo il peso angosciante di un’incolmabile perdita subita; ma non possono però essere intese come una ricostruzione provante delle presunte responsabilità di cui egli al tempo, pur coscienziosamente, si convinse» [20].

A proposito delle vicende di Berceto così le introduce:

«Era il 17 aprile 1944. Quel giorno ci fu troncata definitivamente la felicità che ci restava [21]».

Nel 1978, quando uscì il libro, l’autore ripropose le sue idee e le sue verità, accusando nuovamente i tre partigiani sopravvissuti, il Frescobaldi e il Franciolini.

Così parla Marzia Toci del Medico, la figlia di Sindic: «Ho scoperto solo molti anni dopo questo libro e da quel momento ho cominciato a lottare in difesa della memoria di mio padre, ritrovando documenti e sentenze e iniziando una battaglia legale che ha portato al ritiro del libro di Vangelisti. Adesso con questo volume spero che finalmente la verità sia ristabilita e accettata da tutti, anche se fino ad adesso non ho trovato disponibilità da parte di Anpi che è rimasta arroccata sulla versione del Vangelisti» [22].

Come ricordato da Francesco Fusi, Marzia Toci del Medico ha pubblicato una ricostruzione dei fatti, supportata da materiale archivistico dell’Archivio di Stato di Firenze, per riabilitare la memoria del padre, oramai scomparso (Marzia Toci del Medico, Sindic, la storia non si cambia! Albatros, Roma, 2022) [23].

Le memorie contrapposte, segnate dal tremendo trauma, restano quindi divise. La Storia deve rispettarle e soprattutto può restituire la complessità degli eventi entro cui questo episodio si è svolto, pur senza pretesa di offrire soluzioni alle legittime aspirazioni dei singoli né tanto meno sentenze.

Unidici le vittime di quel giorno, tra luci ed ombre: nove civili, tra donne, uomini e bambini e due partigiani.

Ebicci Alessandro, 78 anni

Ebicci Isola, 49 anni

Soldeti Fabio, 81 anni

Soldeti Iolanda, 19 anni

Vangelisti Giulia, 46 anni

Vangelisti Iole, 9 anni

Vangelisti Anna Maria, 3 anni

Vangelisti Angelina, 22 anni

Vangelisti Bruna,  23 anni

Chiti Mauro, 19 anni

Tesi Guglielmo, 19 anni

 

Il 17 aprile 1945, il comune di Rufina pose a Berceto una lapide in ricordo delle vittime su di una parete del casolare dei Vangelisti, teatro dell’eccidio e, nel Sessantesimo anniversario della strage, una seconda lapide in loro memoria. Infine, il 25 aprile 1972, lo stesso comune fece erigere nel centro di Pomino un cippo-monumento in ricordo delle vittime dell’eccidio [24].

Lapide per il 60° dell’eccidio di Berceto, Comune di Rufina (FI) Fonte: Giovanni Baldini, Lapide per il 60° dell’eccidio di Berceto, 2005, https://memo.anpi.it/monumenti/1615/lapide-per-il-60-delleccidio-di-berceto/

Giovanni Baldini, Monumento per la strage di Berceto, in ResistenzaToscana.it, 2 ottobre 2006

Giovanni Baldini, Monumento per la strage di Berceto, in ResistenzaToscana.it, 2 ottobre 2006

Il nome del partigiano Mauro Chiti è riportato anche su una lapide in ricordo dei cittadini caduti, posta sul Municipio di Carmignano, presso Prato, luogo da cui proveniva [25].

Lapide del municipio, Comune di Carmignano (PO). Fonte: Giovanni Baldini, Lapide del municipio di Carmignano, Memo, 2007, https://memo.anpi.it/monumenti/59/lapide-del-municipio/

Nell’aprile del 2013, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito al comune di Rufina la Medaglia di Bronzo al Merito Civile per l’opposizione al fascismo e per il sacrificio pagato con l’eccidio di Berceto, «nobile esempio di spirito di sacrificio e di amor patrio» [26].

Ogni anno, in occasione dell’anniversario dell’eccidio, l’amministrazione comunale di Rufina organizza a Berceto una commemorazione delle vittime.

Tomba delle donne di Berceto, Comune di Rufina (FI). Fonte: Giovanni Baldini, tomba delle donne di Berceto, 2005, https://memo.anpi.it/monumenti/430/tomba-delle-donne-di-berceto/

Il 4 gennaio 1945, qualche mese dopo la liberazione di Firenze, al partigiano Guglielmo Tesi venne intitolata una strada a Campi, quella che un tempo era Via delle Lame [27] e dal 1947, in suo ricordo, si organizza una corsa ciclistica, la cosiddetta Coppa Guglielmo Tesi [28]. Il suo nome compare, inoltre, sul monumento ai caduti di Campi.

Monumento ai caduti e ai deportati, Comune di Campi Bisenzio (FI) Fonte: Fulvio Conti, Monumento ai caduti e ai deportati del Comune di Campi Bisenzio, 2007, https://memo.anpi.it/monumenti/51/monumento-ai-caduti-e-ai-deportati/

Stando a recenti notizie di cronaca, a Berceto potrebbero essere effettuati presto lavori di restauro per conservare la memoria di quel luogo, come Vangelisti desiderava e come la figlia Vera ha a lungo sperato [29].

Berceto oggi (https://ecomuseomontagnafiorentina.it/siti-di-interesse/berceto/)

Note:

  1. Bernardi Renzo, Conti Fulvio, Risi Mendes, Rizzo Vincenzo (a cura di), Guglielmo Tesi nella memoria di Campi Bisenzio, Comune di Campi Bisenzio, Campi Bisenzio, [2005], pp. 30-31
  2. Ivi, p. 31
  3. Fusi, Francesco, Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, Pacini, Pisa, 2024, pp. 313-314
  4. Ivi, p. 314
  5. La Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) fu una forza armata istituita dalla Repubblica Sociale Italiana l’8 dicembre 1943 con compiti di polizia interna e militare.
  6. Fusi, Francesco, Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, 315-316
  7. Atlante stragi nazifasciste, Berceto, Rufina, Francesco Fusi (a cura di), https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2308 [consultato nel mese di maggio 2024]; sulla vicenda vedi anche Casalini, Giovanna, L’eccidio nazifascista di Berceto a Rufina, in Del Buffa, Roberto (a cura di), Cronache di guerra fra Arno e Sieve (1943-1944), Pagnini, Gorgonzola, 2011, pp.63-65
  8. Bernardi R., Conti F., Risi M., Rizzo V. (a cura di), Guglielmo Tesi nella memoria di Campi Bisenzio, cit., p. 37
  9. Vangelisti Lazzaro, Una vita trascorsa sotto tre regimi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014, p. 75
  10. Bernardi R., Conti F., Risi M, Rizzo V. (a cura di), Guglielmo Tesi nella memoria di Campi Bisenzio, 37
  11. Ivi, , p. 37
  12. Fusi, F., Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, , p. 316
  13. Ivi, cit., p. 317
  14. Ivi, pp. 317-318
  15. s., “Un libro verità sulla morte di Guglielmo Tesi. La strage di Berceto dell’aprile 1944 ha avuto sorprendenti strascichi giudiziari”, in PrimaFirenze, https://primafirenze.it/altro/un-libro-verita-sulla-morte-di-guglielmo-tesi/ [consultato nel mese di giugno 2024]
  16. Fusi, F., Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, 318
  17. Pinzani, Mauro, Prefazione, in L. Vangelisti, Una vita trascorsa sotto tre regimi, p. 9
  18. Fusi, F., Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, 321-322
  19. Vagelisti Vera, La strage di Berceto, DEA, Firenze, 2013; Vangelisti Lazzaro, Una vita trascorsa sotto tre regimi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014 [1ª edizione 1979]
  20. Fusi, Francesco, Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944,, p. 322
  21. Vangelisti L., Una vita trascorsa sotto tre regimi, cit., p. 70
  22. Citazione di Marzia Toci del Medico, in A.s., “Un libro verità sulla morte di Guglielmo Tesi. La strage di Berceto dell’aprile 1944 ha avuto sorprendenti strascichi giudiziari”
  23. nota 61, in Fusi, F., Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, p. 322
  24. Atlante stragi nazifasciste, Berceto, Rufina, Francesco Fusi (a cura di), https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2308 [consultato nel mese di maggio 2024]
  25. Ibidem
  26. Ibidem
  27. Bernardi R., Conti F., Risi M., Rizzo V. (a cura di), Guglielmo Tesi nella memoria di Campi Bisenzio, pp. 47-50
  28. Ivi, pp. 51-77
  29. Bartoletti, Leonardo, “La casa di Berceto restaurata dalla proprietà Frescobaldi”, La Nazione, 23 aprile 2023, https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/la-casa-di-berceto-restaurata-dalla-proprieta-frescobaldi-f730c3b4 [consultato nel mese di maggio 2024]

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di luglio 2024.




Monte Giovi e dintorni: memorie e commemorazioni della Resistenza in provincia di Firenze

La piramide in ricordo del contributo femminile alla Resistenza In ricordo del contributo femminile alla Resistenza ed alla Costituzione dello Stato Repubblicano

Monte Giovi è un complesso montuoso situato nella provincia di Firenze, entro la dorsale appenninica di Monte Morello e Monte Senario, che separa il Mugello dal Valdarno e dalla Valdisieve. Il suo territorio è diviso tra i comuni di Pontassieve e Borgo San Lorenzo e, in misura minore, da quelli di Rufina, Vicchio e Dicomano.

Foto da Google Maps di Monte Giovi dal satellite

Il massiccio raggiunge l’altitudine maggiore nella sua cima (992 metri), ma lungo il crinale principale si trovano anche Poggio Ripaghera (914 metri) e Monte Calvana (913 metri) [1].

A dimostrazione della centralità di Monte Giovi negli eventi della Resistenza toscana, la Provincia di Firenze assieme alle Comunità montane “Montagna Fiorentina” e “Mugello” e ai comuni di Borgo San Lorenzo, Dicomano, Pontassieve e Vicchio vi hanno istituito un parco dedicato alla guerra di Liberazione chiamato, “Parco culturale della Memoria”.

Dopo l’8 settembre, giorno dell’armistizio, Monte Giovi fu uno dei luoghi dove i primi “ribelli” si aggregarono in formazioni partigiane. È qui che si costituirono alcune delle più famose brigate.

Tra la popolazione dei paesi presso Monte Giovi e coloro che parteciparono alla Resistenza si creò un legame di collaborazione. Molti, tra cui Acone, tutt’oggi luogo della memoria del Monte, offrirono rifugio, non senza ferite, come dimostrano le varie stragi nel territorio.

I partigiani ricambiarono, salvando i beni dei contadini dai sequestri che operavano i tedeschi o dall’ammasso obbligatorio che esigevano i fascisti, per poi riconsegnarli di soppiatto con la complicità dei “derubati”.

Fra i primi gruppi partigiani ci fu il “Gruppo Pontassieve” rimasto noto per la volontà di agire in totale indipendenza: i partigiani che lo costituivano non si aggregarono alle altre formazioni se non dopo il suo scioglimento. Sempre a Monte Giovi si formarono la “Faliero Pucci” e la “Spartaco Lavagnini”. Qui operarono anche la “Caiani” e la “Lanciotto Ballerini”.

Ai partigiani si unirono alcuni prigionieri di guerra russi, allora reclusi in un campo nei pressi della vetta del monte, a Tamburino, che poi avevano trovato rifugio ad Acone.

Nell’agosto del ’44 da qui partì o transitò buona parte dei partigiani che contribuirono alla battaglia di Firenze.

I tedeschi e i fascisti non restarono, però, in questi mesi, con le mani in mano. Durante la ritirata nazifascista, in vari gruppi di partigiani erano presenti anche spie e infiltrati. Il loro ruolo serviva a minare ulteriormente il rapporto tra le varie brigate e la popolazione civile, spesso vittima di ritorsioni.

Per quel che riguarda il versante pontassievese e rufinese, è bene ricordare che quel territorio, dopo l’8 settembre 1943, diventò un obiettivo di grande interesse per gli Alleati e le loro azioni aeree, essendo Pontassieve un importante snodo ferroviario e stradale, oltre ad essere sede delle Officine delle Ferrovie dello Stato. Come del resto in tutta la Toscana, i bombardamenti e le rappresaglie tedesche non mancarono, essendo stata quella toscana una terra martirizzata dalla ritirata nemica.

Monte Giovi e la sua popolazione subirono molte ferite proprio in quell’anno. A fronte del forte legame tra i partigiani e la cittadinanza, si verificarono eventi drammatici, come in molte altre zone d’Italia.

Già durante gli ultimi mesi del 1943 si erano intensificati gli scontri tra nazi-fascisti e ribelli, come dimostra il tafferuglio scoppiato a Nave di Ponte a Vico, tra Pontassieve e Rufina. Pontassieve venne inoltre presa di mira dai bombardamenti.

Nella primavera del 1944, fascisti e tedeschi avevano cercato di intercettare le formazioni partigiane tra Monte Giovi e Falterona, così come nei mesi seguenti. Nei monti del Mugello e della Valdisieve si rifugiavano molte squadre di ribelli che, via via, si andarono strutturando. Tristemente noto l’eccidio nazifascista consumatosi a Berceto (Rufina) [2][3], tappa del Sentiero della Memoria, il 17 aprile 1944. In quell’occasione, proprio durante una di queste intercettazioni, nell’incontro-scontro tra nazifascisti e partigiani, sempre per rappresaglia, furono uccise undici persone, compresi donne e bambini.

Giovanni Baldini, Monumento per la strage di Berceto, in ResistenzaToscana.it, 2 ottobre 2006

Nel frattempo, nel maggio del 1944, il movimento partigiano fiorentino fu costretto a riorganizzarsi. L’obiettivo era quello di superare il modello delle piccole formazioni autonome, per passare ad una grande formazione unica, un’unica brigata partigiana. Tale compito fu affidato dai centri dirigenti fiorentini a Aligi Barducci (“Potente”), dal 24 maggio 1944 alla guida della prima Brigata “Garibaldi”, la “Lanciotto Ballerini”. La Brigata si ricostituì proprio su Monte Giovi [4].

Anche il mese di giugno era iniziato con uno scontro tra tedeschi e partigiani, proprio sul Monte Giovi, a Monte Rotondo, presso Casa Messeri, coinvolgendo la 10° Brigata “Garibaldi”, la “Caiani”, dove morirono un partigiano e tre tedeschi. Seguirono bombardamenti degli Alleati su Pontassieve per rendere difficile ai tedeschi di raggiungere Firenze [5].

È in questo contesto che si verificò anche la triste vicenda della Pievecchia, a Pontassieve, l’8 giugno 1944, dove quattordici uomini vennero uccisi, di cui tredici fucilati durante la rappresaglia tedesca, con l’obiettivo di punire la popolazione inerme [6][7].

Pievecchia, Ok!Valdisieve

Tra il 10 e l’11 luglio 1944 si consumerà un nuovo eccidio, questa nel versante mugellano, verso Vicchio. Il mattino del 10 luglio, si presentò alla fattoria di Padulivo, a circa 6 km da Vicchio, alle pendici di Monte Giovi, un reparto di SS con circa una sessantina di uomini. La fattoria ospitava allora circa centocinquanta sfollati mentre il proprietario, Aldo Galardi, aiutava, saltuariamente, le locali formazioni partigiane.

Durante la perquisizione, i tedeschi si accorsero della mancanza di un cavallo che era stato nei giorni precedenti requisito dai partigiani. Questi furono avvertiti della presenza dei tedeschi e tesero un’imboscata poco lontano da Padulivo, quando le SS si stavano ritirando. Un tedesco venne ferito, mentre un altro morì. I tedeschi, tornati alla fattoria, arrestarono tutti coloro che trovarono, prima di appiccare il fuoco all’abitato.

Per rappresaglia, sul ponte dove avevano subito l’agguato, le SS giustiziarono, tra gli arrestati, dieci uomini e una donna; solo uno degli uomini sopravvisse. Dopo una notte di prigionia, i catturati subirono un interrogatorio e furono rilasciati, tranne quattro uomini e tre donne. Gli uomini furono portati di nuovo nel luogo dell’agguato partigiano e uccisi, mentre le donne vennero liberate [8].

In ricordo della triste vicenda è stato posto un cippo in località Padulivo nel 1994. Ogni anno, inoltre, il Comune di Vicchio con l’Anpi locale commemora l’eccidio.

Sempre sul versante mugellano, in zona Borgo San Lorenzo, villa Cerchiai, presso Sagginale, fu attaccata, verso la metà dell’agosto 1944, da alcuni tedeschi che tentarono un accerchiamento delle forze partigiane.

Nello stesso mese vi sarà la strage della famiglia Einstein , nota anche come strage di Rignano o strage del Focardo (3 agosto 1944) e la strage alle ville e fattorie di Legacciolo e di Podernovo, alla Consuma (25-26 agosto 1944), per ricordare altri tristi eventi, non troppo distanti da Monte Giovi [9].

Posteriore e ben diverso il fatto che scosse il Santuario della Madonna del Sasso, vicino a Santa Brigida, reso noto dal romanzo di Cassola, La ragazza di Bube. Il conflitto era da poco terminato, ma tra le macerie ancora ancora ben visibili, la popolazione era divisa dalla guerra civile.

Santuario del Sasso

Il 13 maggio 1945, in occasione della festa alla Madonna del Sasso, infatti, una normale giornata di preghiera e di celebrazioni religiose, sfociò nel caos. Fuori dalla chiesa, prima della funzione, il Rettore del Santuario e tre giovani, ex partigiani, si scontrarono verbalmente, a causa dei vestiti “succinti” di quest’ultimi. Nella discussione intervenne il Maresciallo dei Carabinieri Carmine Zuddas, incaricato della sorveglianza, recatosi al Sasso con la moglie e il figlio diciassettenne. La situazione degenerò: pare che alcuni abbiano tentato di disarmare il Carabiniere, dopo che questi aveva sparato un colpo in aria per ristabilire l’ordine. Stando alle testimonianze, il figlio, impugnata la pistola, avrebbe sparato in direzione di uno dei giovani, il pollivendolo Luigi Panchetti, colpendolo a morte. Le persone attorno fermarono i due uomini, il Maresciallo e il figlio, rinchiudendoli in una stanza della canonica, fino all’arrivo di alcuni partigiani, tra cui Renato Ciambri (Bube), che sparò contro il ragazzo, uccidendolo.

Vennero arrestate 10 persone, dopo le prime indagini, 7 delle quali facenti parte del Corpo Volontari della Libertà. Tutti si dichiararono colpevoli, eccetto Bube.

Il processo si tenne a Torino nel settembre 1946: alla difesa dei giovani contribuirono molti pontassievesi, con una raccolta fondi organizzata nella Casa del popolo di S. Brigida.

La dinamica non è tutt’oggi chiara, Bube si è sempre dichiarato innocente, ma l’evento è significativo di quel clima di passaggio, di tensione e di giustizia sommaria nel dopoguerra italiano. Chiunque si riteneva portatore di una giustizia, spesso in contrasto con le altre. Qualcuno giustificò l’accaduto poiché il Carabiniere era stato antipartigiano e un fascista, stando a certe voci. La vicenda stessa è caduta nell’oblio, già al tempo, complice il Partito Comunista di Pontassieve, reticente e forse -inconsciamente- desideroso di guardare al futuro nel clima di psicosi generale anticomunista, tipica degli ultimi anni Quaranta [10].

La vicenda ispirò Carlo Cassola che la raccontò nel suo romanzo, La ragazza di Bube [11], dal quale Comencini trasse la storia per farne un film. Nada Giorgi, protagonista del libro assieme al marito, non sentendosi ben rappresentata da Cassola, ha in seguito delegato a Massimo Biagioni la scrittura di un altro libro sulla vicenda (Biagioni M., Nada. La ragazza di Bube, Edizioni Polistampa, 2006) [12].

Nessuna lapide ricorda l’evento al Santuario e non vi sono commemorazioni e cerimonie ufficiali al riguardo.

Monte Giovi è rimasto invece un luogo simbolico della Resistenza locale, dove ogni anno si tiene una vera e propria festa dei Partigiani e dei Giovani. Una festa per socializzare e commemorare, come viene definita. L’evento si tiene proprio nel versante pontassievese, presso Acone, piccola frazione in collina.

Tutti gli anni, a cominciare dal 1949, il secondo fine settimana di luglio, l’ANPI della provincia di Firenze con la collaborazione delle Case del Popolo dei paesi vicini, delle Pro-loco e altre associazioni organizza una festa sulla cima del Monte. La manifestazione si articola in due giorni, il sabato dedicato ai giovani, con spettacoli e balli che durano fino a notte fonda, e la domenica, quando si tengono, invece, le commemorazioni e le orazioni ufficiali. Visto che la strada dalla Rufina è lunga ed arrivare ad Acone non è semplice, in molti campeggiano nell’abetina di Fonte alla Capra.

Nella due giorni sono anche attivi stands gastronomici, si effettua la vendita di libri tematici e altre manifestazioni che variano ogni anno [13].

 

Panel presso Acone

 

Monumento in ricordo della Resistenza ad Acone

 

La piramide in ricordo del contributo femminile alla ResistenzaIn ricordo del contributo femminile alla Resistenza ed alla Costituzione dello Stato Repubblicano

La piramide in ricordo del contributo femminile alla Resistenza
In ricordo del contributo
femminile alla Resistenza
ed alla Costituzione
dello Stato Repubblicano

 

Spiazzo ad Acone, dove si tiene-ogni anno-la Festa dei partigiani e dei giovani

 

Note:

[1] Vivi Acone! https://viviacone.it/acone/luoghi-da-visitare/monte-giovi/ [consultato nel maggio 2024]

[2] Vangelisti, Lazzaro, Una vita trascorsa sotto tre regimi, Consiglio Regionale della Toscana, Edizioni dell’Assemblea, 2014

[3] Atlante stragi nazifasciste, Berceto, Rufina, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2308 [consultato nel mese di maggio 2024]

[4] cfr.  Fusi, Francesco, Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, Pacini, Pisa, 2024, pp. 322-323

[5] cfr. Ivi, p. 322

[6] Atlante stragi nazifasciste, Pievecchia, Pontassieve, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2400 [consultato nel mese di maggio 2024]

[7] cfr. Biagioni, Massimo, Achtung! Banditen! L’eccidio di Pievecchia a Pontassieve, Polistampa, Firenze, 2008

[8]Atlante stragi nazifasciste, Ponte a Vicchio e Strada Padulivo-Vicchio, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2412  [consultato nel mese di maggio 2024]

[9] Atlante stragi nazifasciste, Consuma, Pelago, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2371 [consultato nel mese di maggio 2024]

[10] Mazzoni, Dania, Attraverso la bufera. Pontassieve fra guerra, Resistenza e ricostruzione (1943-1948), Comune di Pontassieve, 1990, pp. 142-144

[11] Cassola, Carlo, La ragazza di Bube, Einaudi, Torino, 1960

[12] Biagioni M., Nada. La ragazza di Bube, Edizioni Polistampa, Firenze, 2006

[13] Baldini, Giovanni, Monte Giovi, ResistenzaToscana.it, (9 gennaio 2004), https://resistenzatoscana.org/storie/monte_giovi/ ]

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel luglio 2024.




RAM: Rifugio Antiaereo della Martana – Massa Carrara

RAM – Rifugio Antiaereo della Martana

Che cos’è il RAM?

Il RAM è un rifugio antiaereo recuperato e riaperto dal Comune di Massa nel 2006, con la volontà di preservare un luogo di memoria legato alla Seconda guerra mondiale. Il rifugio antiaereo della Martana è uno dei rifugi pubblici costruiti durante la seconda guerra mondiale nella città di Massa con lo scopo di dare riparo alla popolazione durante gli attacchi aerei alleati. Situato in una delle zone più popolose del centro storico, il rione della Martana, a poca distanza dalla vecchia sede del municipio e dalla piazza del mercato cittadino, venne costruito a partire dalla metà del 1942 e completato poco più di un anno dopo.

Dov’è?
Il rifugio si sviluppa per circa 350 metri a partire da metà di via Bigini fino a metà di via Prado, è costituito da una galleria scavata nella roccia ed in parte rivestita di calcestruzzo. All’interno del rifugio sono esposti manifesti e bandi del ventennio fascista relativi ai comportamenti da tenere in caso di attacco aereo, e foto della città di Massa dopo i bombardamenti angloamericani.

È inoltre possibile vedere il dvd Di Terre Ferite realizzato dall’associazione culturale Sancio Pancia nell’ambito del progetto del Comune di Massa “Per non dimenticare – un ponte sulla memoria fra Italia e Polonia”, cofinanziato dall’Unione Europea. Il dvd raccoglie le interviste di quattordici testimoni dei bombardamenti avvenuti sulla città di Massa nel corso della II Guerra Mondiale.

 Orari di apertura:

Fino al 14 settembre 2019:
tutti i venerdì e sabato sera dalle ore 21 alle ore 24.
Dal 21 settembre al 28 dicembre 2019:
tutti i sabato pomeriggio dalle ore 16 alle ore 18.

Ingresso gratuito.

Info:
Comune di Massa
Ufficio della Memoria, Palazzo comunale via Porta Fabbrica, 1 – 54100 Massa
Telefono: 0585.490467 – fax 0585.45603   URP: numero verde 800 013846

Oppure:
Associazione Culturale Sancio Pancia
sanciop.ms@gmail.com
Cellulare: 329.0227861