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Ponte Vecchio

Nell’agosto del 1944 il Comando nazista decise di distruggere i cinque ponti di Firenze (Ponte alle Grazie, Ponte alla Carraia, Ponte Santa Trinità, Ponte San Niccolò e Ponte alla Vittoria). Tale azione aveva lo scopo di sfruttare il corso dell’Arno quale trincea naturale per rallentare l’avanzata degli Alleati e acquisire il tempo necessario al completamento dei lavori della Linea Gotica, la grande linea di difesa a nord. L’“Operazione Feuerzauber” (“incantesimo di fuoco”) si attuò tra la notte del 3 e 4 agosto del 1944: ad uno ad uno tutti i ponti furono abbattuti. Durante l’operazione fu vietato ai cittadini di uscire dalle case; alcuni partigiani tentarono di disinnescare le mine poste sotto i ponti ma non ci riuscirono.

Tra tutti i ponti Hitler decise di salvare il Ponte Vecchio, il preferito e «il più artistico», come lui stesso dichiara. Questa non fu certo la motivazione primaria ma resta il fatto che dell’antico ponte ne fu solo sbarrato l’accesso con le macerie raccolte dagli edifici adiacenti, rasi al suolo su entrambe le sponde: sia dal lato di Por Santa Maria che, in Oltrarno, via Bardi, via Guicciardini e Borgo San Jacopo. Alcuni giorni prima il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale aveva denunciato l’intenzione di distruggere i ponti, nonostante Firenze fosse stata dichiarata “Città aperta” ovvero zona neutrale e città da salvaguardare per l’inestimabile valore storico-artistico.

Gli Alleati il 12 agosto del 1944 passarono da Ponte Vecchio per arrivare al cuore del centro cittadino. Utilizzarono anche altri collegamenti tra le due rive: il Corridoio Vasariano e il ponte Bailey, costruito sulle rovine del Ponte Santa Trinita.




Piazza Santo Spirito

L’abitazione di Fosco Frizzi, uno dei principali esponenti del movimento clandestino comunista e redattore del giornale “Azione Comunista”, situata in piazza Santo Spirito, è stata per anni un luogo di ritrovo segreto per comunisti dove si svolgevano attività, discussioni e scambio di idee.

Il 25 luglio 1943 nell’abitazione venne presa la decisione di convocare una riunione il mattino seguente per coordinare l’azione e lanciare un appello alla popolazione.

La sera dell’8 agosto 1944 un gruppo di partigiani delle brigate Lanciotto e Sinigaglia si ritrovò nel cortile del convento di Santo Spirito al fine di programmare per il giorno seguente il piano anti-cecchini elaborato dal comandante Potente (Aligi Barducci). Quest’ultimo, presente nel rifugio dei partigiani insieme agli Alleati inglesi, venne ferito da una granata sparata da oltre il fiume dalle forze tedesche e morì poco dopo nell’ospedale di Greve in Chianti. Insieme a Potente persero la vita anche altre cinque persone tra cui il partigiano Mario Santini.

Il comando della Divisione d’assalto Garibaldi «Arno», che riuniva tutte le forse partigiane della zona comprendendo la Brigata Lanciotto, la Brigata Caiani, la Alessandro Sinigaglia – 22 Bis e la Bruno Fanciullacci, prese il nome di “Divisione Potente” il 9 agosto 1944. Aligi Barducci fu un uomo di grande umanità e coraggio, ammirato da tutti i partigiani, meritevole di aver introdotto la discussione, la politica e la lettura all’interno del gruppo.

Le operazioni per la liberazione di Firenze proseguirono con l’aiuto degli Alleati provenienti dal lato sud della città e si protrassero fino al 2 settembre 1944.




Palazzo Pitti

Alle ore 15 del 29 luglio del 1944 la popolazione che abitava sulle rive del fiume Arno abbandonarono le proprie case a seguito di un ordine di evacuazione del comando tedesco.

Gli Alleati stavano arrivando da sud per liberare la città. Il manifesto affisso pubblicamente dai tedeschi riportava la seguente e falsa motivazione: «al fine di prevenire eventuali attentati ai ponti sull’Arno». Un folla di donne, bambini, giovani e anziani furono strappati dalle proprie case e si trovarono in strada pieni di paura, carichi di bagagli e affetti personali. Il comune offrì, oltre ad una serie di locali pubblici che disponeva (scuole, caserme, circoli), anche il magnifico Palazzo Pitti, reggia medicea che accolse una parte dei 50.000 sfollati.

Le sale, gli scaloni ed ogni angolo disponibile fu riempito dagli sfollati. Le condizioni igieniche erano precarie, piatti, pentole e letti di fortuna adagiati ovunque, carretti attraversavano il palazzo trasportando viveri e indumenti: la reggia era diventata un accampamento.




La Militarkommandantur 1003

Il 6 ottobre del 1943 i nazisti stabiliscono l’Amministrazione Militare in Viale Machiavelli n. 18: la Militarkommandantur 1003. Questa era presieduta dal colonnello von Kunowski e si estendeva alle provincie di Firenze, Siena e Arezzo.

La documentazione ovvero i rapporti periodici rilasciati dalle MK erano di natura burocratica e amministrativa, riguardavano l’amministrazione del territorio, dei suoi abitanti e delle sue risorse. La Militarkommandantur era una organizzazione militare tedesca che si andava ad aggiungere ad altre: le SS (Schutzstaffel o squadre di protezione), le SD (Sicherheitsdienst o servizio di sicurezza) e il Comando Comiliter in piazza San Marco. I compiti e  i poteri spesso non ben definiti entravano in conflitto.

Durante i rastrellamenti tedeschi a seguito degli scioperi operai del marzo 1944 la Militarkommandantur 1003 e il console Gerard Wolf invitarono a cessare tali operazioni al fine di non peggiorare i rapporti con la popolazione. La Militarkommandantur 1003 fu attiva fino al 3 agosto 1944.




Palazzi e Ville occupati dai nazisti

1.Villa Torrigiani

Indirizzo: tra via dei Serragli, via del Campuccio e viale Petrarca

Fino all‘8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio, presso la Villa Torrigiani vi aveva la propria sede il comando della Quinta armata del Regio esercito italiano, guidato dal generale nobile Mario Caracciolo di Feroleto.

Dopo la fuga del generale e lo sgombero dei locali si insediarono in villa i tedeschi, i quali impiantarono il comando della gendarmeria militare (Feld-Gendarmerie).

Presto per intimare la loro fuoriuscita fecero irruzione i gappisti: l’11 febbraio 1944 lanciando sette bombe nell’edificio e il primo aprile facendo esplodere un ordigno ad una finestra alle ore 20.

Il 4 agosto 1944 in villa subentrò il comando alleato e nei dintorni si insediarono le brigate partigiane. Sempre presso la villa il 6 agosto si concluse la trattativa tra Potente e gli ufficiali alleati sul piano per il rastrellamento di alcune zone dell’Oltrarno. Gli Alleati dovettero ritirare l’intenzione di disarmare e smobilitare i partigiani.

2. Palazzo Comiliter

Il 12 settembre 1943 i tedeschi collocano il Comando Militare Territoriale nel palazzo di piazza San Marco, occupando il Comando del Corpo d’Armata e affidando la direzione al colonnello von Kunowski. Il colonnello si apprestò ad affiggere in città un manifesto in cui incitava i cittadini a consegnare le armi con la minaccia di morte.

Il comando prima dell’arrivo dei tedeschi era retto dal generale Chiappi Armellini il quale si era rifiutato di armare il popolo contro l’invasione tedesca, ma aveva inviato il generale Giorgio Morigi a contrastare l’avanzata dei tedeschi sul Passo del Brennero. Ben presto però i tedeschi riuscirono a percorrere le strada per Firenze e ad entrare in città.

L’ultimo colonnello tedesco insidiatosi nel palazzo di San Marco fu Adolf Fuchs, il 23 luglio 1944, il quale si occupò della ritirata dell’esercito tedesco della IV Divisione dei Paracadutisti.

3. Villa la Cisterna

Indirizzo: via Santa Marta 31

Villa la Cisterna, residenza dei Savoia, divenne dopo l’armistizio luogo incontaminato fino a luglio 1944 quando vi si insediò la IV Divisione dei Paracadutisti tedeschi. Durante la ritirata il 9 agosto 1944 prese il loro posto il comando del colonnello tedesco Fuchs che nella villa convocò per l’ultima volta i notabili della città.

Il 25 agosto 1944 una pattuglia di partigiani della brigata V e canadesi tentò di cacciare i tedeschi dalla villa, ma l’obbiettivo venne raggiunto solo tre giorni dopo.

Nel giardino della villa venne trovato il corpo della staffetta e crocerossina di 25 anni, Tina Lorenzoni, uccisa pochi giorni prima (il 21 agosto) dopo aver tentato la fuga dalla villa nella quale era stata arrestata. Nel tentativo di salvare la figlia morì il padre, Giovanni Lorenzoni, in via Bolognese colpito da una granata.

Tina durante l’occupazione tedesca aveva partecipato alla lotta per la liberazione, impegnandosi nella difesa degli Israeliti e si era assunto il compito rischioso di infiltrarsi nelle forse nemiche per scoprirne le postazioni. Ha ricevuto la medaglia d’oro alla memoria.

4. Villa Palmieri

Indirizzo: via Giovanni Boccaccio

La villa situata sulle pendici di San Domenico fu luogo di rifugio per molte famiglie che abitavano nelle vicinanze fino a quando non si insediarono i tedeschi, con il comando che coordinava la difesa nei rioni delle Cure e di San Gervasio.

Nei pressi della villa ebbero luogo molte fucilazioni tra cui il portiere Giuseppe Corsi e la nipote Evelinda Agostini. Venne ucciso anche il capo della famiglia Andrei, che teneva il diritto di coltivazione nell‘area circostante la villa, uno sconosciuto che l‘11 agosto tentò di oltrepassare Ponte al Pino ed un giovane patriota.

 

5. Hotel Excelsior

Indirizzo: piazza Ognissanti n°3

L’Hotel Excelsior, di proprietà dello svizzero Gerhard Kraft, divenne la residenza di alti ufficiali del comando tedesco e luogo di festini e impudicizie. Vi soggiornò per un periodo anche il segretario del Partito Fascista Republicano (PFR), Alessandro Pavolini, durante l’organizzazione dei franchi-tiratori a Firenze.

Il 15 gennaio 1944 esplosero due bombe poste sulle finestre dell’Hotel. Queste facevano parte di una serie di ordigni collocati dai gappisti in sedi nazifasciste dislocate in città.

La sera del 31 luglio 1944 l’Hotel venne sgomberato da un ordinanza fascista, come tutti i locali vicini alla riva del fiume. Negli ultimi giorni che precedono la liberazione dell’Oltrarno, i fascisti fecero esplodere diversi palazzi, abitazioni e quattro ponti. Il 3 agosto l’Hotel venne salvato dall’esplosione di alcuni ordigni collocati nella vicina pescaia di Santa Rosa. L‘8 agosto i partigiani della brigata Sinigaglia e Lanciotto attraversarono l’Arno e liberarono l’Hotel Excelsior e il resto della città dalle occupazioni tedesche.




Officine Galileo

Presso le Officine Galileo, storico stabilimento operaio nel Viale Morgagni n. 19, iniziò lo sciopero dei lavoratori il 3 marzo 1944 su ordine del Comitato d’agitazione diretto da Mario Fabiani, Alfredo Mazzoni e Leo Negro, a cui si associarono Pignone, Officine del Gas e il giorno seguente diversi stabilimenti minori.

Come nella Manifattura Tabacchi intervenne il prefetto Manganiello a reprimere lo sciopero, accompagnato questa volta dal colonnello Kunowski. Lo sciopero fu organizzato dal Partito Comunista e predisposto su scala nazionale per il mese di marzo; il Partito d‘Azione collaborò solo parzialmente perché proprio in quei giorni era stato colpito da una serie di arresti.

I lavoratori di molte fabbriche con coraggio e determinazione chiesero di non lavorare più a quelle scarse condizioni salariali e per i nemici della patria, inoltre cercarono di salvare i macchinari dalle requisizioni e gli stabilimenti dalla distruzione dei tedeschi. Dopo l’arresto di una decina di operai il comandante tedesco della città ordinò di riprendere il lavoro e per punizione prolungarlo fino alle ore 20.

 




Vie di “Caduti della Resistenza”: Valerio Bartolozzi, Alessandro Sinigaglia, Elio Chianesi

Piazza Vittorio Veneto

In questa piazza venne ucciso il primo partigiano della Resistenza fiorentina: Valerio Bartolozzi. Il 9 settembre 1943 a seguito dell’armistizio, il giovane ventenne Bartolozzi insieme ad altri ragazzi stava distribuendo volantini comunisti a favore della costituzione di forse armate contro l’invasione tedesca. In questa occasione venne ucciso inspiegabilmente da un sottotenente del 7° reggimento che stava passando per la piazza. Subito si scagliarono contro di lui i cittadini testimoni.

Via dei Pandolfini

In questa strada morì uno dei più valorosi combattenti della Resistenza, Alessandro Sinigaglia detto Vittorio. Pioniere del movimento partigiano, uomo coraggioso e forte, dal 1928 ricercato dalla polizia perché ritenuto uno dei maggiori esponenti del comunismo.

La sera del 13 febbraio del 1944 Sinigaglia si recò imprudentemente nella trattoria di Innocenti Francesco in via Matteo Palmieri, dove andava spesso nonostante i ripetuti avvertimenti dei compagni; qui incontra Natale Cardini e Valerio Menichetti i componenti della banda Carità, il gruppo più sanguinario degli squadristi fascisti. Appena se ne accorse si affrettò ad uscire, ma fuori, a poca distanza, si appostarono un gruppo di tedeschi che lo colpirono a morte.

Per ricordare la sua valorosa azione una brigata partigiana prenderà il suo nome: la Brigata Sinigaglia.

Alessandro Sinigaglia fu insignito della Medaglia d’argento al valor militare.

Via dei Pilastri

In via dei Pilastri aveva sede una forza armata fascista, la caserma della Guarda Nazionale Repubblicana (GNR) e qui il 13 luglio 1944 fu ferito gravemente Elio Chianesi capo dei gappisti. L’episodio fu causato da alcuni agenti della SD (Servizio di Sicurezza), il servizio segreto tedesco delle SS (Squadre di Protezione), che fecero irruzione nella sua casa in via di Mezzo cercando di catturarlo. Chianesi fuggì abilmente riuscendo anche a nascondere una valigia piena di documenti importanti e le armi che teneva in casa. Fuggendo dalla casa incappò in un gruppo di militi in via dei Pilastri che lo ferirono gravemente.

Fu portato all’ospedale di Santa Maria Novella dove lo raggiunse subito la moglie. Chianesi poco prima di morire ebbe la forza di sorridere appena seppe che la moglie aveva messo al sicuro le armi, la valigia e così il nome dei suoi compagni.

 




Le botteghe dei parrucchieri

Il salone del parrucchiere Ferdinando Pretini, in via de’ Tornabuoni, era frequentato dalle compagne dei fascisti ma, dietro al suo nome, vi era un patriota azionista di nome Penna, che costituì un organizzazione a favore di prigionieri alleati evasi da campi di concentramento. Venne scoperto e arrestato il 24 novembre 1943 e condotto nelle cantine di villa Triste in via bolognese, dove incontrò compagni orribilmente torturati e subì anche lui simili sorti.

Un secondo parrucchiere fu Rocco Caraviello che aveva i locali in via fra’ Bartolomeo e da giovane era scampato come comunista alle persecuzioni dei fascisti. Anch’egli però non cambiò bandiera e adibì il proprio negozio a luogo di collegamenti clandestini. Il 19 giugno 1944 all’uscita di una riunione di partigiani venne ucciso da alcuni militi tedeschi; i suoi compagni vennero arrestati e condotti a villa Triste.