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Bar Paskowski (Piazza della Repubblica già Vittorio Emanuele)

L’8 febbraio 1944 Antonio Ignesti e Tosca Bucarelli, che recitavano già da tempo il ruolo di fidanzati per spiare senza dare nell’occhio le mosse di Carità, entrano nel bar Paskowski, ritrovo abituale di una clientela elegante ed in quei giorni di guerra frequentata da alti ufficiali tedeschi e repubblichini o fascisti in borghese, che occupavano posti di rilievo nelle cariche amministrative e nella polizia politica.
Il pretesto era offerto da un’aggressione avvenuta nello stesso mese: alcuni clienti avevano aggredito e massacrato di botte un passante, colpevole di essere nero.
I due, in abiti borghesi, si siedono al tavolino stabilito. La Bucarelli estrae la bomba avvolta in carta velina e Ignesti, accendendo con un fiammifero una sigaretta, accende anche la bomba. Il gancio apposto per sistemare la bomba è però troppo stretto rispetto al grosso anello: la Bucarelli istintivamente spegne la micca e ripone la bomba nella borsa. Quel movimento ha insospettito un vicino che chiede di poter vedere il contenuto del fagotto. Portato all’esterno, la donna riesce a fuggire, ma il suo compagno è stato catturato. La ragazza torna indietro, senza un piano definito, preoccupata solo della salute cagionevole dell’Ignesti, che con i suoi polmoni malati non avrebbe potuto resistere alle percosse.
Ignesti riesce a fuggire e ad informare i compagni che la Bucarelli è stata catturata. Condotta a Villa Triste, dopo molte sevizie che le causarono una permanente lesione al fegato, senza mai rivelare niente, viene portata al carcere di Santa Verdiana.
Fu il primo, penoso arresto per i Gap.




Piazza San Marco

Durante le manifestazioni pacifiche del 27 luglio 1943 per chiedere la fine della guerra, all’indomani della destituzione del Duce, a cui partecipano in molti, disertando anche il lavoro, in piazza San Marco si radunano molti studenti. I carabinieri, da via degli Arazzieri e dal comando del Corpo d’armata di via Cavour, intervengono con la forza e caricano la folla. Alle violenze e agli arresti le donne si rifugiano nella chiesa di San Marco, gli uomini fuggono verso la Corte d’Appello, nel Museo del Beato Angelico.

Ma la piazza passa rapidamente da spazio di speranze e sogni a luogo simbolo dell’occupazione.

L’11 settembre, arrivata in Piazza San Marco, una colonna blindata tedesca occupa il Comando del Corpo d’armata. Gli ufficiali del comando sono fatti prigionieri dai tedeschi. Il generale Chiappi Armellini, comandante territoriale di Firenze, fedele agli ordini di Badoglio, rifiuta di concedere le armi al popolo per la mobilitazione contro i tedeschi.Trattando la resa ai tedeschi, si rifiuta di aderire alla Repubblica di Salò ed è deportato in Germania, dove morirà.




Manifattura tabacchi

Il 3 marzo 1944 i partiti antifascisti decisero che era arrivato il momento di mettere in atto uno sciopero generale che avrebbe dovuto coinvolgere le grandi aree industriali dell’Italia centro-settentrionale.
Poche ore prima dell’inizio dello sciopero, previsto per le 13, i gappisti, consapevoli dei pericoli a cui i lavoratori si stavano esponendo, decisero di far esplodere alcune bombe all’interno della sede dell’Unione Fascista per i Lavoratori dell’Industria che conteneva gli schedari di tutti i lavoratori della provincia.
Alcune delle industrie più grandi dell’area fiorentina come il Pignone, la Ginori, la Galileo e la Manifattura Tabacchi decisero di aderire allo sciopero generale insieme a molte altre piccole aziende.
Il caso della Manifattura Tabacchi è ancora adesso esempio di unità e di coraggio: all’epoca dello sciopero il 90% degli addetti era rappresentato da donne.
Lo sciopero iniziò precisamente alle ore 13 quando due sigaraie, Marina e Valeria, staccarono l’interruttore principale delle macchine. In precedenza loro stesse avevano raccomandato gli uomini che lavoravano all’interno dell’azienda di non esporsi troppo perché sarebbero stati in maggiore pericolo in caso di una possibile reazione da parte delle autorità.
Quando l’interruttore fu staccato, incitarono le compagne ad abbandonare il lavoro e a recarsi nel cortile interno dell’azienda da dove cominciarono a chiedere la fine della guerra e più cibo per i figli. In contemporanea un gruppo di donne si presentò al Direttore della Manifattura presentandogli le richieste delle scioperanti. Il Direttore promise che avrebbe riferito alle autorità competenti le richieste che gli erano state riportate, ma che le sigaraie nel frattempo avrebbero dovuto riprendere a lavorare; nonostante questo le donne dichiararono che avrebbero ripreso il loro lavoro solo quando tutte le richieste fossero state accolte.
Poiché il 4 marzo ancora lo sciopero non si era concluso e le sigaraie continuavano imperterrite la loro protesta, la direzione decise di convocare Carità per porre fine alla manifestazione. Carità si presentò alla Manifattura Tabacchi alle ore 10 del 4 marzo accompagnato da un gruppo di militi armati di tutto punto, ma nonostante la sua presenza le sigaraie non abbandonarono la loro posizione e a lui non rimase che andarsene molto rapidamente.
Dopo tre giorni di sciopero totale le sigaraie rientrarono in fabbrica, ma a quel punto partì lo sciopero bianco.
Finalmente l’8 marzo la direzione dell’azienda decise di accogliere le richieste delle dipendenti. Una nota del C.T.L.N. riporta quali furono esattamente i successi delle operaie: “[…] hanno posto le loro rivendicazioni e sono riuscite ad ottenere le 192 ore; una distribuzione di 100 sigarette mensili, un sostanziale miglioramento della mensa aziendale; la possibilità di uscire immediatamente, in caso di allarme, dallo stabilimento, senza essere sottoposte alla solita fruga”.




Casa del colonnello Gobbi

Una delle prime azioni dei gappisti fiorentini contro la gerarchia fascista fu l’uccisione del Colonnello Gobbi.
Dopo l’8 settembre, il Tenente Colonnello Gino Gobbi si era messo al completo servizio dei tedeschi e insieme a loro aveva dato disposizioni per la sistemazione del Distretto Militare che si occupava di richiamare i giovani alla leva. I gappisti decisero che uccidere Gobbi avrebbe portato ad una paralisi temporanea del Distretto permettendo, così, a molti giovani di evitare il reclutamento.
L’operazione venne organizzata per il 1 dicembre, dopo varie settimane di appostamenti per riuscire ad individuare quali fossero le abitudini del Colonnello. A capo del gruppo era il noto gappista Rindo Scorsipa, detto il Mongolo, insieme a Bruno Fanciullacci e a Faliero Pucci.
Il Colonnello fu freddato da tre colpi di pistola mentre si apprestava a rincasare; il giorno successivo la stampa clandestina pubblica un articolo intitolato “1 dicembre 1943 – un atto di giustizia”:
“ Il Colonnello Gobbi, collaboratore dei tedeschi nell’opera di persecuzione contro i militari che non si presentano alle armi ed alacre organizzatore del costituendo esercito repubblicano, è freddato da mani giustiziere. Chi ha effettuato il colpo? È il primo gesto dei GAP […]. I fascisti accusano il colpo. Comprendono che il popolo non li teme più e vuol rendere loro dura la vita”.




Lo Stadio

Nei primi di febbraio del 1944 Adam Rossi istituì il Tribunale Militare Straordinario, che aveva giurisdizione su tutta la Toscana e aveva il compito di punire tutti i giovani che non avessero risposto alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò. Una delle sentenze più tristemente note che fu emessa da questo tribunale fu l’esecuzione dei cinque giovani renitenti alla leva: Leanro Corona, Ottorino Quiti, Antonio Raddi, Adriano Santoni e Guido Targetti.
I ragazzi che furono fucilati provenivano da Vicchio ed è probabile che i cinque siano stati scelti proprio a causa del loro comune di provenienza. Il paesino era stato il centro della protesta di 250 contadini che il 25 febbraio si erano riuniti sotto il palazzo comunale per contestare l’imposizione di consegnare altri prodotti all’ammasso.
La sentenza del Tribunale Militare Speciale venne eseguita il 22 marzo allo Stadio Comunale, alla presenza di Mario Carità. Don Angelo Bacherle, tenente cappellano, assiste i ragazzi fino al momento della loro esecuzione. Il parroco ricorda la notte trascorsa con i giovani, che attendono di essere fucilati: molti chiedono della famiglia e tutti urlano disperati di essere innocenti e di non voler morire. Nel racconto di don Angelo Bacherle il momento dell’esecuzione è il più tragico: quindici soldati, che si erano arruolati per paura di ritorsioni, vengono obbligati a formare il plotone di esecuzione, pena lo scambio di posizione con i cinque. “Quiti cominciò a tremare, voleva alzarsi e scappare: anche il Raddi e il Corona ebbero un momento di terribile esasperazione: riuscii a quietarli dicendo loro «Pensate al Paradiso, il Signore vi aspetta, non abbiate paura siete nelle mani di Dio e della Madonna! Coraggio!». Con queste parole si riuscì a far tornare la calma: allora feci un balzo indietro e subito avvenne la scarica del plotone. Il Targetti, il Raddi ed il Santoni morirono subito. Non così il Quiti, che ancora vivo, legato alla sedia si dimenava e gridava « Mamma, mamma!». […] Fu il maggiore Carità, il famigerato comandante delle SS, che dopo alcuni istanti intervenne e diede il colpo di grazia”.
Oggi in ricordo di questa terribile tragedia sotto la Curva Ferrovia, nel punto esatto dove i cinque giovani furono uccisi, è stata posta una lapide in loro memoria.




La sede dell’Azione cattolica

La seconda ondata di arresti contro la comunità ebraica iniziò il 26 novembre 1943.
Nel pomeriggio del 26 novembre nella sede dell’Azione Cattolica, che si trovava in Via dei Pucci n°2, si stava concludendo la riunione del comitato di assistenza ai profughi quando all’improvviso fecero irruzione un gruppo di militi fascisti e di tedeschi che arrestarono tutti i presenti.
Nel corso dell’azione vennero arrestati Nathan Cassuto, il capo rabbino della comunità ebraica fiorentina, Don Leto Casini, Joseph Ziegler e Felice Ischio. Furono tutti trattenuti dalla banda Carità e rilasciati solo Ziegler e Ischio.
Joseph Ziegler e la sua famiglia erano profughi provenienti dalla Francia meridionale, erano diretti a Roma, ma il viaggio era divenuto troppo pericoloso e avevano deciso di rifugiarsi a Firenze, dove entrarono in contatto con Cassuto, al quale offrirono circa un milione di lire per aiutare il suo comitato di assistenza.
Gli Ziegler fecero amicizia anche con il giovane Felice Ischio, ma non sapevano che a Torino, città in cui aveva vissuto prima di trasferirsi a Firenze, era stato una spia dei fascisti. E lo fu anche a Firenze.
Ziegler e Ischio nel 1943 quindi divennero membri del comitato per l’assistenza dei profughi. Ischio riuscì ad ottenere tutti gli indirizzi dei luoghi in cui avevano trovato rifugio gli ebrei. È quasi certo che fu lui ad avvertire i fascisti della riunione in via dei Pucci e fu sempre lui a dare ai nazifascisti gli indirizzi dei conventi che furono razziati la notte del 26 novembre.
Nathan Cassuto e gli altri ebrei catturati in via dei Pucci furono deportati ad Auschwitz, nessuno fece ritorno a Firenze. Don Leto Casini invece rimase nelle mani di Carità fino alla Vigilia di Natale del 1943 quando fu finalmente rilasciato.




Convento del Carmine

Uno degli episodi a stampo antisemita ebbe luogo la notte del 26 novembre 1943 quando i nazisti entrarono all’interno del convento del Carmine.
La notte del 26 novembre alcuni reparti tedeschi seguiti dalla banda Carità irruppero all’interno del Convento del Carmine, dove nei mesi precedenti avevano trovato rifugio decine di donne e bambini ebrei. La razzia del 26 novembre inizia alle ore 3 del mattino quando una trentina di nazifascisti si presentano all’ingresso del Convento e lo forzano per entrare dal giardino e sorprendere così gli ebrei. Le suore avevano ideato un piano per mettere al sicuro gli ospiti in caso di una visita sgradita, ma la prontezza dell’azione dei tedeschi impedì che questo potesse essere attuato. Il piano prevedeva che al suono delle campane le ebree si rifugiassero con i bambini all’interno del reparto di clausura mentre le suore dovevano rimanere nelle loro celle in preghiera.
I tedeschi riuscirono a catturare ogni ospite del Convento e tutti furono radunati all’interno della Sala del Teatro che divenne una sorta di prigione. La prigionia durò quattro giorni, durante i quali le donne furono costrette a subire ogni tipo di violenza. Non mancarono ricatti e violenze sessuali. Alcuni testimoni durante i processi contro la banda Carità dichiarano che: “I fascisti cercarono di abusare delle donne giovani e delle ragazze offrendo in cambio la libertà e commettendo una serie di oltraggi”, “Allora ci fu una […] che per salvare le ragazze si offrì lei di darsi a quei fascisti, ed essi ne abusarono in un angolo della stanza dove eravamo noi tutti, però nessuno fu liberato”.
Le donne e i bambini in quei giorni sperimentarono per la prima volta la totale perdita del diritto all’integrità del corpo tipica dei campi di sterminio. Solo poche donne riuscirono a salvarsi dalla deportazione grazie all’intervento delle suore che cercarono in tutti i modi di nasconderle. Quattro giorni dopo l’irruzione, il 30 novembre, tutti gli ebrei che erano stati catturati furono mandati a Verona e da lì deportati ad Auschwitz. Nessuno fece ritorno.




La Sinagoga

La comunità ebraica fiorentina nel 1940 era composta da circa 2500 persone e il rabbino capo era Nathan Cassuto. Dopo che la città di Firenze fu occupata dai nazisti, l’11 settembre 1944, la Sinagoga e tutti gli edifici adiacenti furono posti sotto stretta sorveglianza.
Per cercare di aiutare la loro comunità, Cassuto e Raffaele Cantoni organizzarono un comitato di assistenza per i profughi che si proponeva di aiutare gli ebrei a scappare o a nascondersi. Anche il Cardinale Elio Dalla Costa cercò di aiutare la popolazione ebraica fondando un’associazione che si occupò di aiutare dalle 300 alle 400 persone.
La situazione per gli ebrei a Firenze non era drammatica come lo era in altre città italiane, per questo motivo nessuno era pronto quando i tedeschi decisero di attaccare direttamente la comunità.
La mattina del 6 novembre 1943 alcuni militari tedeschi e dei militi fascisti circondarono la Sinagoga e irruppero all’interno del Tempio. Memo Bemporad per pura casualità proprio quella mattina stava scappando insieme alla famiglia e notò un certo trambusto in prossimità del Tempio, però non si allarmò pensando che fossero gli anziani che andavano a pregare.
Alcuni testimoni, sopravvissuti alla guerra, hanno reso testimonianza di quanto avvenuto quella mattina: “Il Tempio Maggiore fu invaso, furono distrutti alcuni arredi sacri e parte dell’arredamento”(Avv. Giuseppe Castiglioni).
Gli arresti attuati dai nazisti non si fermarono alla sinagoga, ma proseguirono in tutta la città;
In Via Masaccio i nazisti trovarono la famiglia Segrè, una delle figlie riuscì a sfuggire alla cattura perché si trovava dal tabaccaio sotto casa e da lì assistette alla cattura della sua famiglia.
Nel corso della giornata furono arrestate oltre duecento persone che furono deportate e mandate ad Auschwitz il 9 novembre.