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Anche la Toscana nel nuovo Atlante dei centri per profughi giulino dalmati promosso dall’Istituto nazionale F. Parri

Si segnala che l’ “Atlante dei centri di raccolta dei profughi giuliani e dalmati” – basato su un progetto di ricerca a cui stanno partecipando diversi Istituti della Rete e collaboratori – è stato messo online, al seguente link:
Si ricorda che il progetto prevede l’implementazione progressiva delle informazioni e dei dati e che finora sono state mappate 60 delle 109 strutture note.
Dal Portale dell’Atlante:

Il progetto di ricerca sui centri di raccolta dei profughi giuliani e dalmati è promosso da Istituto Nazionale Ferruccio Parri e Consiglio Nazionale delle Ricerche – Dipartimento di Scienze umane e sociali, patrimonio culturale (CNR-DSU), in collaborazione con la rete degli istituti associati alla Rete Parri, la Società di studi fiumani – Archivio Museo storico di Fiume (Roma).

Il coordinamento scientifico è affidato a Maurizio Gentilini (CNR) e Paolo Pezzino (Istituto nazionale Ferruccio Parri).

La ricerca è stata svolta da Costantino di Sante (Università degli studi del Molise) ed Enrico Miletto (Università degli Studi di Torino).

Oggetto della ricerca
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, scatenata dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, l’intera Europa fu interessata dal flusso, spesso obbligato, di milioni di persone, che a causa degli eventi bellici e delle assegnazioni dei territori a seguito di nuovi protocolli furono costrette a lasciare i luoghi dove avevano vissuto per anni.

Il processo interessò direttamente anche l’Italia, che dovette firmare Trattati di pace che imponevano la perdita di territori, comprese le zone dell’Adriatico orientale: infatti con il Trattato di Parigi (1947) e il Memorandum di Londra (1954) l’Istria, Fiume e Dalmazia passarono sotto l’amministrazione della Jugoslavia. Di conseguenza la quasi totalità della popolazione italiana appartenente a queste regioni decise di abbandonarle, anche per sfuggire al regime comunista realizzato da Tito.

Tale processo, meglio noto come esodo giuliano-dalmata, coinvolse, oltre alla Venezia Giulia, anche Fiume e la Dalmazia, e rappresentò dunque il tassello italiano del più ampio mosaico degli spostamenti forzati di popolazione dell’Europa postbellica.

Arrivati nel nostro Paese come profughi, i giuliano-dalmati, nelle cui maglie si inserivano anche i molti fiumani che avevano abbandonato la propria città, furono sventagliati in una rete di campi e centri di raccolta dislocati sull’intero territorio nazionale.

Il progetto Atlante dei centri di raccolta dei profughi giuliani e dalmati si propone quindi di individuare, mappare e censire queste strutture, con esclusivo riferimento a quelle gestite dal Ministero dell’Interno.

Campi ma non solo, poiché l’Atlante presenta anche approfondimenti su alcuni luoghi che, pur non ricoprendo prettamente una funzione di centri di raccolta, divennero simbolo e simbolici dell’esodo: Fertilia, nei pressi di Alghero; il Quartiere Giuliano Dalmata di Roma; il Villaggio San Marco di Fossoli di Carpi; la Caserma di via Pradamano a Udine, che funzionò come centro di smistamento per migliaia di profughi.

Le schede georeferenziate dei campi ricostruiscono i principali passaggi che hanno scandito l’attività e il funzionamento delle diverse strutture, consentendo di allargare lo spettro: si restituisce così non solo la geografia dell’esodo e il suo impatto nelle diverse aree del Paese, ma anche i meccanismi delle politiche di gestione e assistenza ai profughi adottate dal Governo italiano. Quest’ultimo, muovendosi in un quadro nazionale e internazionale estremamente complesso, si trovò, di fronte a flussi divenuti sempre più consistenti, nella condizione di mettere in moto una vera e propria macchina dell’accoglienza che ebbe nei campi un segmento decisivo.

Un segmento che, oltretutto, ben descrive le dinamiche che portarono gli apparati governativi, dopo una fase iniziale di prima assistenza, a orientarsi, lentamente e non senza difficoltà, verso indirizzi più organici e sistematizzati che, basati prevalentemente sulle direttrici dell’inserimento lavorativo e della sistemazione abitativa poi sfociata nella costruzione dei Villaggi Giuliani, costituirono la risposta a una situazione improvvisa e di vasta portata, inserita nei contorni fragili dell’immediato dopoguerra. Dalla storia dei centri di raccolta emergono anche le politiche migratorie adottate a livello nazionale e internazionale per ricollocare o favorire l’emigrazione in altri paesi dei profughi e dei rifugiati. Queste politiche potrebbero essere ulteriormente indagate ampliando la ricerca ai campi specificamente destinati a tale scopo.

Il campo rappresenta dunque un punto di osservazione imprescindibile per lo studio della diaspora giuliano-dalmata e per la ricostruzione delle politiche assistenziali intraprese dai vertici governativi nei confronti degli esuli: la loro storia, se inquadrata in una prospettiva più ampia, racconta quella della lunga e difficile ricostruzione che precede la stagione della grande trasformazione del nostro Paese.

Metodologia
Attraverso un’accurata indagine condotta su un ampio ventaglio di fonti, in larga parte ma non esclusivamente italiane, si è cercato di arrivare a una quantificazione, il più precisa possibile, delle strutture e dei profughi che, in momenti diversi, transitarono al loro interno.

A essere considerati, come sottolineato in precedenza, sono stati i complessi gestiti, attraverso le prefetture, direttamente dal Ministero dell’Interno, che li ereditò dal dissolto ministero dell’Assistenza post-bellica.

Luoghi inutilizzati, riadattati, rifunzionalizzati e ricondizionati per il nuovo uso: un totale di 109 strutture – numero ampiamente condiviso sul piano storiografico – destinate a ridursi negli anni seguenti (41 nel 1952, 25 nel 1955), prima di chiudere i battenti intorno alla prima metà degli anni Settanta.

Le schede presentate in questa prima fase del progetto riguardano 60 campi e ricostruiscono anche la storia delle strutture analizzate sia prima del loro utilizzo per accogliere i profughi giuliano-dalmati, sia dopo la loro dismissione. Sono state inoltre segnalate le eventuali significazioni dei luoghi in cui sono state collocate targhe o segni di memoria relativi alla presenza dei profughi.

Centri ufficiali – questa la definizione che potrebbe essere applicata – ai quali se ne affiancarono certamente altri, dall’attività più breve e dai contorni più frastagliati, al cui interno l’assistenza era demandata a soggetti diversi, pubblici e privati, ma che – per il loro carattere frammentario – sono rimasti al di fuori del campo di indagine del presente lavoro, pur restando un possibile oggetto di approfondimento in uno studio successivo. Uno studio che dovrebbe evidentemente concentrare l’attenzione anche su una serie di strutture che assunsero rilevanza nell’economia della gestione dell’esodo, come, solo per citare alcuni esempi, i centri di prima accoglienza funzionanti nei porti di Venezia e Ancona o, ancora, i molti centri di ricovero temporaneo sparsi nelle diverse regioni della penisola.

Attraverso una scheda tipo, variabile in base alle informazioni reperite e al periodo di funzionamento, la storia e l’evoluzione di ogni singolo campo è ricostruita non solo attraverso fonti primarie, a cominciare dalla documentazione archivistica, e secondarie, ma anche mediante l’utilizzo di fonti narrative (testimonianze e cronache) ed emerografiche (articoli di quotidiani dell’epoca), unitamente a citazioni letterarie, cinegiornali e fotografie

Una prospettiva in grado di far emergere anche le politiche avviate da agenzie internazionali come la United Nations Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA), l’International Refugee Organization (IRO) e, in una fase successiva, l’Amministrazione per gli Aiuti Internazionali (AAI) che, preposte al rimpatrio, all’assistenza e al ricollocamento (resettlement) attraverso programmi di emigrazione assistita in altri paesi di rifugiati e Displaced Person’s (DP), tracciarono traiettorie che in più di un’occasione si incrociarono, anche nei campi, con quelle dei profughi giuliano-dalmati. Questi ultimi, come emerge dalle schede, costituirono il nucleo numerico più rappresentativo nei diversi campi, trovandosi però a condividere, spesso con esiti diversi, gli stessi spazi e i medesimi ambienti con altre tipologie di profughi, in primis quelli provenienti dalle ex colonie dell’Africa orientale italiana, dalla Grecia e dal Dodecaneso, cui si aggiunsero, in alcuni casi, ebrei, ex prigionieri, sfollati e sinistrati di guerra in attesa di definitiva collocazione.

Un’umanità varia, vittima della guerra,, le cui vicende richiamano certamente a una cornice più ampia, che il progetto intende indagare nelle sue fasi successive, attraverso la mappatura di altre strutture e di profuganze diverse per tipologia e provenienza geografica. di profuganze diverse per tipologia e provenienza geografica.




Mostra storica “Linea gotica aprile 1945” al Teatro Guglielmi




Un nuovo sito web e una rete di associazioni per riscoprire i luoghi dimenticati di chi si oppose allo squadrismo fascista.

È da oggi disponibile sul web un nuovo portale dedicato ai luoghi del primo antifascismo. Il sito www.primoantifascismo.org offre una porta di accesso alla storia di 100 anni fa e alla comprensione di fenomeni fondamentali come lo squadrismo e l’antifascismo.

Tra 1920 e 1922 lo squadrismo fascista seminò lutti e distruzioni nei nostri territori, avviando un clima di violenza che lasciò numerose vittime tra chi si oppose alla prepotenza fascista. Sono numerose le vie e le lapidi che ricordano questi primi antifascisti, di cui spesso però si è persa la memoria. Ora un’ampia rete di associazioni e istituti storici ha deciso di unire le forze per riscoprire questa storia, avviando una collaborazione che ha lo scopo di arrivare al prossimo 28 ottobre 2022, centenario della marcia su Roma, con una nutrita serie di eventi che aiutino i cittadini a capire cosa fu e come fu possibile lo squadrismo fascista.

Da La Spezia a Pisa, passando per Massa, Lucca e Livorno, le ANPI, le ANPPIA e gli Istituti storici della Resistenza hanno deciso di costruire insieme un nuovo strumento per studiare il fascismo, rinforzando al tempo stesso una rete che ha come finalità la promozione dell’antifascismo. Il sito www.primoantifascismo.org è il punto di riferimento pubblico di questa rete, un sito costantemente aggiornato in cui è possibile scoprire i primi antifascisti, visitare virtualmente i luoghi ad essi dedicati, trovare le cronologie e i riferimenti bibliografici per approfondire una parte della nostra storia fondamentale per capire il Novecento e le sue caratteristiche sociali e politiche.

Per info: segreteria@bfs.it

Cell. 3311179799

 

Enti e associazioni partecipanti al progetto:

ANPI provincia di Livorno
ANPI provincia di Pisa
ANPI di Lari
ANPI sezione Gino Lombardi di Pietrasanta
ANPPIA di Livorno
ANPPIA di Pisa
Archivi della Resistenza – Circolo Edoardo Bassignani di Fosdinovo (MS)
Centro Filippo Buonarroti Toscana
BFS-ISSORECO di Pisa
ISRA di Massa Carrara
ISREC di Lucca
ISTORECO di Livorno
ISR di La Spezia
ISRT di Firenze




Ci ha lasciato Aldo Gozzani, partigiano combattente.

L’A.N.P.I. Sezione di Massa, annuncia con profondo cordoglio la scomparsa del  Partigiano Combattente Aldo GOZZANI di anni 97.

 

Aldo ha aderito subito dopo l’otto Settembre 1943, ai primi gruppi di Partigiani, che combatterono  in Toscana aderendo alla Formazione “Bandelloni” che operava a Seravezza  sulle Alpi Apuane versante Versiliese,  per poi passare alla Formazione “Tigre” che accompagnava le forze Americane nella Liberazione l nostra Provincia.

 

Fervente antifascista e democratico, conosciuto e stimato dove abitava nella zona di Quercioli Via della Repubblica è sempre stato in prima fila nella lotta per la difesa dei lavoratori e della Democrazia.

 

Aldo dopo la guerra è stato in prima fila nella ricostruzione civile della nostra Città, ha  ricevuto, la Medaglia alla Resistenza, onorificenza concessa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a coloro che hanno contribuito nelle file dei Partigiani alla Liberazione del Paese e nel recente Congresso della Sezione ANPI di Massa è stato nominato co Presidente Onorario della stessa Sezione.




Call for papers: 1922. La provincia in marcia: attori, percorsi, narrazioni

Call for papers: 1922. La provincia in marcia: attori, percorsi, narrazioni

In occasione del centenario della Marcia su Roma del 1922, l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea (ISRT), insieme alla rete toscana degli istituti, promuove l’invio di contributi (Call for papers) per un convegno nazionale – da tenersi a Firenze nell’autunno 2022 – per discutere delle ricerche sul 1922 e le sue eredità. Il focus sarà sull’area toscana, in stretto dialogo con altre realtà territoriali e con il quadro nazionale.

Si invitano pertanto le persone interessate a inviare delle proposte sui temi di discussione che corrisponderanno a quattro sessioni della giornata di studio:
1. In marcia verso Roma: provenienza e dimensioni, strategie militari e politiche, logistica.
2. Attori della Marcia: chi parte, chi resta; uomini e donne; istituzioni; forze dell’ordine; società civile; associazionismo culturale, sociale, politico (massoneria ecc.); le opposizioni individuali e collettive.
3. L’ impatto e la ricezione della Marcia nella vita quotidiana.
4. Narrazioni ed eredità della Marcia.

Le proposte di intervento (massimo 500 parole) dovranno essere accompagnate da un breve CV del proponente. È particolarmente incoraggiata la partecipazione di giovani ricercatori.
Le proposte devono essere inviate al seguente indirizzo isrt@istoresistenzatoscana.it, entro il 15 marzo 2022. Le decisioni del Comitato scientifico verranno comunicate entro il 30 aprile 2022.

Il Comitato scientifico è composto da Andrea Baravelli, Roberto Bianchi, Paul Corner, Valeria Galimi, Stefano Maggi, Francesca Tacchi.




“La manutenzione della memoria”, conferenza del prof. Pezzino presidente Istituto Parri

Nell’ambito del Festival con_vivere che si è tenuto a Carrara dal 9 al 12 settembre, questo anno dedicato alla Manutenzione della vita, il professor Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Ha tenuto una conferenza dal titolo la manutenzione della memoria.
L’intervento è stato introdotto dalle parole di Nando Sanguinetti, partigiano e presidente ANPI di Carrara, e moderato da Massimo Michelucci, direttore dell’Istituto storico della Resistenza apuana.
Sanguinetti ha avuto parole vementi contro l’equiparazione della memoria: “Quella dei partigiani non è come quella dei saloini. E non è vero che entrambi hanno combattuto e commesso anche nefandezze perché erano giovani idealisti”. Michelucci è d’accordo: “i morti sono tutti uguali ma da vivi furono diversi”.
L’anziano partigiano è sconcertato dalle manifestazioni costanti di neofascismo: steli, come quella su cui è incisa una poesia di Ubaldo Bellugi, potestà di Massa, che è stata inaugurata dalla giunta di destra della città il 21 Marzo 2019, monumenti, nomi delle strade. Viene citata infatti la proposta del leghista Durigon a Latina dell’inizio di agosto di intestare una piazza,che era dedicata a Falcone e Borsellino, ad Arnaldo Mussolini. È preoccupato dalle nuove ronde, come quella chiamata provocatoriamente SSS, acronico per “soccorso sociale sicurezza” come si è data nome a Massa Carrara su proposta del tre di maggio del 2021 del consigliere comunale di Forza Italia Stefano Benedetti. Conclude dicendo: “ora più che mai c’è bisogno di cura della memoria e di antifascismo resistente e attivo”.
Il professor Pezzino dà inizio alla sua conferenza dicendo che il termine memoria è inflazionato e cita tale proposito un recente saggio di Valentina Pisanty, dal quale emerge che le realtà nazionali in cui sono più violente le destre sono quelle nelle quali la politica della memoria è stata più implementata, perché si tratta di una memoria collettiva. “La memoria invece per sua natura è un qualcosa di selettivo”. E a tale proposito Cita Yerushalmi: “E’ comune ritenere che una società non possa esistere senza una memoria di quanto è avvenuto nel passato: la selezione degli elementi da conservare serve a trasmettere da una generazione all’altra un passato dotato di senso ed in quanto tale sostiene quel complesso di riti e di valori che costituisce per un popolo il senso della propria identità e del proprio destino. Diventeranno oggetto di trasmissione solo quei momenti tratti dal passato che vengano sentiti come educativi ed esemplari per la hallakhah (hallakhah è parola ebraica che indica il sentiero su cui si cammina, la Strada, ndr) di un popolo, così come è vissuta in quel momento; il resto della ‘storia’ cade, si può dire quasi letteralmente, fuori dal sentiero”. In altre parole, vi è una memoria che serve a fondare una comunità civile dotandola di unità di passato e di comunità di intenti, ed una memoria che invece si oppone alla stessa operazione, una memoria come “rimedio contro l’odio” ed una usata “per spargere odio” E tuttavia non è, naturalmente, un’operazione indolore: “La memoria e l’oblio – ha scritto Remo Bodei – non rappresentano […] terreni neutrali, ma veri e propri campi di battaglia, in cui si decide, si sagoma e si legittima l’identità, specie quella collettiva”. In questo processo vengono di solito utilizzate rimozioni, invenzioni, falsificazioni, cancellazioni della memoria, più o meno istituzionate”.
Bisogna iniziare a sostituire il termine memoria con quello di storia perché la storia è un antidoto”, sostiene Pezzino.
Lo storico si deve avvalere di un insieme di mezzi di analisi, tra cui le fonti, anche quelle orali, per ricostruire il passato, consapevole che non si possa ricostruire tutto. Lo storico deve essere animato da umiltà, modestia, tolleranza e deve stare ai fatti”.
Questo diceva Salvemini degli storici “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere”.
In conclusione Pezzino ritorna al tema dell’incontro: “Tornando alla domanda iniziale Come si fa la manutenzione della memoria? La si fa studiando la storia! E come si fa la manutenzione della storia? Attraverso la ricerca, con un efficiente sistema archivistico e bibliotecario (che in questo momento in Italia sono pessimi) e attraverso lo studio della storia nella scuola, anch’esso passato in secondo piano”.




Lectio di Paolo Pezzino per la chiusura del Festival Fino al cuore della Rivolta 2021

“Questa domenica in Settembre” direbbe Guccini, il 5, “Fra i castagni dell’Appennino” (in realtà della Lunigiana) si è concluso il Festival Fino al cuore della Rivolta, presso il Museo audiovisivo della Resistenza a Fosdinovo.

Il gran finale ha coniugato cultura e musica, come è nell’anima del Festival. Sono stati celebrati i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta con Maria Antonietta che ha magistralmente interpretato il Canto XXVII dell’Inferno con uno spettacolo dal titolo L’inferno di Guido. La musica è stata quella hard rock dei Little Pieces of Marmelade, conosciuti anche come LPOM, che sono stati capaci di attirare un pubblico giovanile.

Nella giornata conclusiva non poteva mancare Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, che ha un rapporto privilegiato con il Museo audiovisivo della Resistenza, di cui è il Direttore scientifico.

Il Professore ha tenuto una lectio brevis dal titolo Creare un museo nazionale della Resistenza in Italia: un’impresa impossibile? Questa domanda sembra apparentemente stupida, sostiene Pezzino.

A pensarci non c’è neppure un museo nazionale del Risorgimento. Anche se la Resistenza non è il secondo Risorgimento, come ancora qualcuno sostiene.

Gli elementi che ostano sono tre.

Il primo è che la Resistenza non è stato un momento di unità delle forze antifasciste dopo il ’45, non conservando la sua natura interpartitica. Questo perché dopo, nel clima di guerra fredda, alcuni partiti non hanno più rivendicato a partecipazione alla Resistenza ed essa è diventata un momento divisivo, come osservò Norberto Bobbio: “l’anticomunismo si è sostituito all’antifascismo”. Inizia addirittura una rivalutazione del fascismo e viene fondato l’MSI esplicitamente ispirato all’ultimo momento del fascismo. Poi l’antifascismo è passato di moda e ora c’è chi dice che Mussolini ha fatto anche cose buone. Berlusconi non ha mai celebrato il 25 Aprile tranne l’ultimo anno del suo governo. I 5 stelle sull’antifascismo non hanno mai detto una parola chiara, perché al loro interno convivono una anima di destra e una di sinistra, quindi non si indentificano con l’antifascismo. E ora ci sono forze politiche (Lega, Fratelli di Italia) che si richiamano, implicitamente o esplicitamente, all’esperienza fascista per rivalutarla.

Dunque, trattandosi di un museo nazionale, la spinta alla sua istituzione doveva venire dal governo, ma non è mai arrivata. Solo il Ministro Franceschini circa due anni fa ha annunciato a Milano un finanziamento per la creazione del Museo Nazionale della Resistenza.

Il secondo motivo “ostante” è che la Resistenza è stata per lo più un fenomeno locale, con bande che trovavano difficoltà a connettersi e a collegarsi a strutture più ampie, tranne che nell’ultimo periodo della lotta armata. Il ricordo che dunque se ne è voluto dare è localistico. Non si è sentito il bisogno di narrare complessivamente una storia così complessa. Questo spiega perché, sparsi sul territorio nazionale, ci sono decine di musei della Resistenza: uno è questi è quello di Fosdinovo, che pur essendo collegato alla realtà di Massa, Carrara, La Spezia, ha un afflato nazionale. Altri esempi sono casa Cervi, il museo della deportazione di Carpi, quello di Via Tasso, il museo diffuso di Torino… Insomma, la frammentazione rispecchiala realtà italiana.

E veniamo al terzo punto: il museo della Resistenza deve essere storico, non un memoriale dei partigiani e nel costituirlo, bisogna tenere conto della sua estrema complessità. Della Resistenza si è fatto il braccio armato del popolo italiano che dopo il 25 Aprile si era svegliato antifascista. Questa è una celebrazione retorica, non storica. Per allestire un museo storico della Resistenza deve essere affrontata la complessità di essa, quella complessità che ha magistralmente individuato Claudio Pavone parlando di tre guerre: una di liberazione nazionale, una civile, una di classe (quest’ultima in alcune zone di Italia, soprattutto in Emilia Romagna). La Resistenza non è sempre uguale cronologicamente né geograficamente. Molto diverse sono state anche le bande: comuniste, socialiste, del partito di azione, autonome, composte principalmente da militari, cattoliche etc.

Non bisogna dimenticare che alla Resistenza italiana hanno partecipato anche molti non italiani. A questo proposito si veda, ad esempio, il recente libro curato da Mirco Carrattieri e Iara Meloni Partigiani della Wehrmacht. Ma alla Resistenza italiana hanno aderito anche stranieri, ad esempio partigiani russi e cecoslovacchi, così come Italiani hanno partecipato alla Resistenze all’estero. Bisogna pure ricordare che c’è stata una Resistenza armata, una direzione politica che si esprimeva nei comitati di liberazione nazionale, e una resistenza civile.

Insomma, quello sulla Resistenza è un discorso complesso che necessità di una grande sforzo scientifico, e un grave impegno finanziario per costituire un museo storico nazionale che sia degno di tale nome.

Attualmente è in gestazione a Milano un museo nazionale della Resistenza, che dovrà sorgere accanto alla Fondazione Feltrinelli. È stato creato Consiglio di supervisione che comprende due rappresentanti del Comune di Milano, due del segretariato regionale per la Lombardia dei Beni Culturali in rappresentanza del Mibac, dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri che dovrà curare la progettazione scientifica. C’è poi un comitato di esperti nominato dalle varie associazioni, con il quale condividere il progetto museale.

Nonostante la volontà del Ministro Franceschini, per la creazione del museo permangono alcuni problemi organizzativi e finanziari: 25milioni di euro sembrano tanti, ma non lo sono se si considera che bisogna costruire un edificio nuovo. Inoltre bisognerà prevedere, come in tutte le principali realtà europee, un importante centro di documentazione con archivio e biblioteca.

Nonostante tutto, il Museo Nazionale della Resistenza dovrebbe venire alla luce nel 2024-2025.

Speriamo di realizzare una struttura all’altezza dei musei nazionali che troviamo all’estero, in grado di parlare a livello europeo di queste tematiche.




Resistenza “Ante litteram”. Svoltosi a Sarzana il Convegno a 100 anni dai “fatti” del 1921.

Venerdì 16 e Sabato 17 Luglio 2021 si è tenuto, presso la Sala Capriate della Fortezza Firmafede di Sarzana, il Convegno di Studi

 Resistenza “Ante litteram”. A cent’anni dai fatti di Sarzana (1921-2021)

Organizzato da ANPPIA, Archivi della Resistenza, ANPI, Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo, l’evento ha il patrocinio dell’Istituto Nazionale “Ferruccio Parri” – Rete degli Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea in Italia -, con la presenza del Presidente Paolo Pezzino.

Il Convegno di studi, dedicato al centenario dei “Fatti di Sarzana”, ha riunito alcuni dei più importanti studiosi di quell’epoca storica, insieme a studiosi della nuova generazione (come Andrea Ventura dell’ISREC LU, e Davide Conti, consulente della Procura di Bologna), con un programma densissimo.

Il 21 luglio 1921 avvenne a Sarzana uno dei fatti più significativi ed emblematici del breve intermezzo storico tra “biennio rosso” e il cosiddetto “biennio nero” – come l’ha definito nella sua relazione Angelo D’Orsi (Università di Torino) – fino alla Marcia su Roma. Un evento inserito nel generale contesto di rafforzamento dello squadrismo fascista e, contestualmente, di costruzione di una prima forma di resistenza armata e organizzata.

Cosa avvenne a Sarzana?

All’alba del 21 Luglio giunse una colonna di circa 500 squadristi per assaltare la città e liberare dalla Fortezza Firmafede alcuni fascisti che vi erano incarcerati, responsabili degli atti di violenza e degli omicidi avvenuti nei giorni precedenti. Il prefetto di Genova – in provincia della quale era allora Sarzana -, per proteggere la città da ulteriori assalti squadristi, aveva ordinato l’invio di un nutrito numero di Carabinieri reali e guardie del Regio Esercito, i quali, anziché comportarsi come di norma accadeva, cioè aiutando i fascisti, li fronteggiarono. Durante la giornata di scontri, in cui i fascisti persero quattordici uomini, si verificò uno dei pochi episodi di resistenza armata spontanea all’ascesa del fascismo da parte della popolazione civile e degli Arditi del Popolo – una delle prime organizzazioni antifasciste volta a proteggere la popolazione dalla violenza squadrista (di questa formazione paramilitare ha parlato Eros Francescageli, in collegamento dalla Turchia, nella sua relazione).

I “fatti di Sarzana”, sono una eccezione e già un’anomalia era che la città fosse governata dai socialisti (come sottolinea Emanuele De Luca, di Archivi della Resistenza, nella sua relazione).

I “Fatti di Sarzana” del 21 Luglio 1921 consentono di guardare a quel decisivo momento della storia d’Italia da un’angolatura unica e particolare, individuando la tensione innescata da una violenza squadrista che muoveva i suoi passi tra Carrara e La Spezia generando, così come in altre parti del paese, scontri e azioni di stampo intimidatorio e violento.

 Obiettivo del Convegno di Studi è, in primo luogo, di fare il punto sulla storia del fallito assalto fascista alla città, contestualizzando però i “Fatti” all’interno di una cornice storica ampia, sia storiograficamente che geograficamente, e ricca di piste di studio nuove e originali.

Ampio spazio è stato dedicato ai protagonisti di quello scontro, passando dalla genesi e dalla morfologia dello squadrismo fascista, con gli interventi di Mimmo Franzinelli, dal titolo “squadrismo e resistenza popolare, e di Roberto Bianchi, dell’Università di Firenze, necessari per entrare dentro la storia dello squadrismo, delle sue dinamiche e delle ragioni del suo affermarsi. Bianchi ha tracciato un quadro sintetico degli avvenimenti del 1920-21, in cui il fascismo prende possesso degli spazi pubblici con molto anticipo rispetto alla marcia su Roma, per contestualizzare i “fatti di Empoli” del 1 Marzo 1921, e i “fatti di Sarzana” del 21 Luglio dello stesso anno.

Le motivazioni degli scontri di questi anni vanno rintracciate nella crisi delle élites dirigenti liberali in un paese spaccato già dalla guerra, al ricambio politico e culturale alle amministrative, con l’irruzione delle masse nella scena pubblica e al “salto di qualità” nelle azioni dello squadrismo, nel contesto di un fenomeno transnazionale (cfr. uccisione di Rosa Luxemburg nel ’19 a Berlino).

Del primo antifascismo armato hanno parlato Franco Bertolucci, del Centro Studi Biblioteca “Franco Serrantini”, la storica Martina Guerrini, Gino Vatteroni, del Circolo Culturale Anarchico “Gogliardo Fiaschi” e lo storico Luigi Balsamini.

Di memorialistica e monumenti, di letteratura e narrazioni, hanno parlato Monica Schettino, dell’Istituto nel Biellese, nel Vercellese e in Val di Sesia, lo storico Giorgio Pagano, Massimo Michelucci, dell’Istituto Storico della Resistenza Apuana, Alessio Giannanti ed Emanuele De Luca, entrambi di Archivi della Resistenza, offrendo uno sguardo interdisciplinare sui fatti.

Ha partecipato anche il regista e scrittore Luigi Faccini, che con il suo film “Nella città perduta di Sarzana” del 1980, ha portato un’attenzione a livello nazionale sulla vicenda storica e ha poi continuato a studiare quegli eventi con pubblicazioni e giornate di studio.

Un fondamentale sguardo oltre Sarzana è stato offerto da Cesare Bermani sui “Fatti di Novara”, Fracoise Morel Fontanelli sugli esuli a Marsiglia, William Gambetta sull’arditismo a Parma, Marco Rossi su Livorno e Tiziano Vernazza sul ruolo di La Spezia in tutta questa vicenda.

Numerosissima è stata la presenza al convegno da parte di un pubblico sinceramente interessato. Questo il convegno è stata l’occasione di mettere in relazione gli studiosi con l’intera cittadinanza, facendo sì che le pagine di storia non vengano chiuse o riscritte e favorendo la sensibilizzazione della cittadinanza sul significato storico e civile dell’antifascismo, a partire da un evento storico così significativo per la storia cittadina e nazionale, presentato dalla più autorevole e aggiornata ricerca storico-scientifica.

Il convegno è stato trasmesso anche in streaming sui canali social di Archivi della Resistenza (Facebook e Youtube).