1

Nuovo progetto del Museo della deportazione di Prato: si cercano testimonianze sulla strage di Figline.

Per un nuovo progetto, il Museo della Deportazione e Resistenza cerca testimoni diretti o indiretti.
Testimonianze di una madre o un padre, una nonna o un nonno, che sono state tramandate alle generazioni successive.
Per dare il proprio contributo:
inviare una mail a: e.iozzelli@museodelladeportazione.it
oppure chiamare: 055 46 16 55
o tramite WhatsApp: 347 09 15 838




Prolungato al 28 luglio l’allestimento della mostra “Arte ferita, Arte salvata” a Prato.

“Arte ferita, arte salvata. Chiese e patrimonio artistico a 80 anni dal bombardamento di Prato – Museo dell’Opera del Duomo di Prato fino al 28 luglio



Concorso “Comunicare per non dimenticare”

Concorso “COMUNICARE PER NON DIMENTICARE”
Aperto a tutte le SCUOLE PRATESI

Il progetto dovrà raccontare della deportazione, in particolare la deportazione dalla città di Prato, utilizzando canali di comunicazione innovativi.
I vincitori del concorso avranno l’opportunità di partecipare al Viaggio della Memoria 2024 a Mauthausen, Ebensee e Gusen
Il progetto dovrà essere presentato entro il 15/03/2024

👀 Tutte le informazioni, il regolamento e il modulo d’iscrizione su ➡️
http://www.museodelladeportazione.it/…/concorso…/

Dai un futuro alla memoria!




ISRPT e Fondazione CDSE in Grecia per la commemorazione dell’80° Anniversario del naufragio del Piroscafo Oria.

L’11 febbraio 2024 si è svolta in Grecia, presso il monumento ai caduti dell’Oria nel tratto di costa prospiciente all’isola di Patroklos, la cerimonia di commemorazione dell’80º anniversario del naufragio del Piroscafo Oria. Il monumento, collocato presso la municipalità di Saronikos a circa circa 50 km a sud di Atene, è stato inaugurato nel 2014 e tre anni dopo è stato visitato e omaggiato anche dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Oltre duecento i partecipanti all’evento: la Rete dei familiari dei dispersi dell’Oria, l’ambasciatore d’Italia in Grecia, i rappresentanti del governo greco, i sindaci di Saronikos e Lavreotiki, i rappresentanti delle Autorità civili e militari greche, l’Associazione Culturale Chrissi Tomi di Keratea, la Scuola Statale Italiana di Atene, la Fondazione CDSE, i rappresentanti di alcuni comuni italiani e delle istituzioni culturali italiane. Per la Rete dei familiari e delle istituzioni culturali italiane sono intervenuti Michele Ghirardelli e Alessia Cecconi (Fondazione CDSE di Vaiano). L’Istituto storico della Resistenza di Pistoia ha partecipato nella figura del direttore Matteo Grasso, che dal 2018 si occupa dell’argomento.

Quella dell’Oria fu una storia a lungo dimenticata. La nave partì da Rodi l’11 febbraio 1944 con un carico di circa 4000 soldati italiani che si erano rifiutati di collaborare con il regime nazifascista dopo l’8 settembre 1943. Erano destinati alla deportazione nei territori occupati dalla Germania nazista, ma non giunsero mai a destinazione. Infatti, mentre il Piroscafo si dirigeva verso il Pireo (porto di Atene) fu sorpreso da una forte tempesta nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 1944 che ne segnò il destino: l’Oria in poco tempo si inabissò, portando con sé il suo carico di uomini. Pochissimi furono i superstiti e migliaia le famiglie che ancora oggi non conoscono il triste destino di un proprio caro “disperso in mar Egeo”.

Solamente nel nuovo millennio, grazie ai ritrovamenti del sommozzatore Aristotelis Zervoudis, all’interessamento di alcuni parenti delle vittime e alle prime ricerche storiche, la memoria dell’evento è cominciata a riaffiorare.

Sedici delle vittime erano pistoiesi. Le loro storie sono emerse grazie al volume “Dispersi sì, dimenticati mai: il naufragio del Piroscafo Oria. Il caso dei soldati valdinievolini e pistoiesi” edito nel 2019 dalla Regione Toscana e curato da Luisa Ciardi (Fondazione CDSE), Michele Ghirardelli (già Università di Ferrara) e Matteo Grasso (ISRPT).

Al termine della cerimonia, la Rete dei familiari e delle istituzioni culturali italiane si è recata nella spiaggia di Charakas, che accolse i corpi dei soldati morti, dove sono stati letti i nomi delle 4000 vittime. La delegazione italiana si è recata anche al Museo della Guerra di Atene dove, recentemente, una teca è stata dedicata al naufragio dell’Oria. All’interno, sono esposti gli oggetti – fra cui molte gavette – ritrovati nel corso delle immersioni.




Grazie alla Fondazione C. Marchi, ISRT offre progetti didattici gratuiti per le scuole!

Con piacere l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea comunica che, grazie al contributo della Fondazione Carlo Marchi, offre nuove occasioni didattiche gratuite per la primavera del 2024.

Un’opportunità formativa per noi e per le nostre classi, interessante e piacevole al contempo.

Si tratta di percorsi dedicati alle classi IV e V delle scuole secondarie di II grado che prevedono trekking didattici urbani, lezioni in classe tra narrazioni e musica, visite al Museo della Deportazione (quest’ultime previste per ottobre).

In allegato trovate una scheda sintetica che vi consentirà di conoscere il progetto e scegliere se e a cosa aderire.

Progetto Conoscere la storia. Una bussola per la cittadinanza

Per prenotarsi i docenti possono scrivere a didattica@istoresistenzatoscana.it indicando nome, la scuola, la classe, il percorso scelto, la mail e il telefono; per il percorso al Museo di Prato invece possono scrivere direttamente al referente indicato nella scheda.

La scadenza per iscriversi è tra un mese, il 16 febbraio, ricordiamo che le adesioni verranno accolte in base all’ordine di arrivo della richiesta.




Giorno della Memoria: Consiglio regionale solenne al Museo della Deportazione

Venerdì 27 gennaio, nell’ambito delle celebrazioni del GIORNO DELLA MEMORIA si è tenuta la SEDUTA SOLENNE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA presso il Museo della Resistenza e della Deportazione a Figline di Prato, membro dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea.
Ha aperto la seduta Antonio Mazzeo, Presidente dell’assemblea legislativa, dicendo: “Non è una prassi uscire dalle aule del Consiglio regionale, ma da oggi vogliamo prendere l’impegno di celebrare questa ricorrenza in uno dei luoghi simbolo delle violenze nazifasciste e della gloriosa Resistenza in Toscana” e dichiara l’impegno della Regione, anche in futuro, per perpetuare la memoria della Shoah: “La Toscana continuerà a lavorare, soprattutto con i giovani, per fugare le paure espresse, nella presentazione degli eventi di commemorazione a Milano il 24 gennaio, dalla Senatrice a vita Liliana Segre, la quale ha detto: “Il pericolo dell’oblio c’è sempre. Una come me ritiene che tra qualche anno sulla Shoah ci sarà una riga tra i libri di storia e poi più neanche quella”. Mazzeo conclude, metaforicamente, citando il partigiano Silvano Sarti -comandante Pillo- : “noi si va a tirare secchiate d’acqua, qualcuno, tu vedrai, si bagnerà“.
L’attenzione della Regione Toscana verso l’educazione civica dei giovani è ribadita da Alessandra Nardini, assessora alle politiche della memoria, che afferma con soddisfazione: “Questa mattina 400 studenti hanno partecipato al Meeting della Memoria presso il cinema Teatro della Compagnia a Firenze alla presenza di due deportate che ad Auschwitz entrarono da bambine: Tatiana Bucci e Kitty Braun Falaschi“.
Parla poi Matteo Biffoni, sindaco di Prato: “Questo luogo ci consente di dare una risposta al timore della Senatrice Segre, perché qui siamo in un uno straordinario luogo di studio, documentazione e ricerca storica, nel quale ogni giorno passano scolaresche e ricercatori“. Con orgoglio sottolinea anche che la città di Prato è gemellata da 35 anni con Ebensee, sottocampo di Mauthausen, dove è morta la maggior parte dei deportati pratesi.
Poi Aurora Castellani, Presidente del Museo, ripercorre le tappe della nascita e della crescita del museo dalla sua fondazione ad opera di Roberto Castellani insieme ad altri deportati politici toscani. Asserisce poi: “La memoria è un dovere, non è un qualcosa di innato, ma va costruita e coltivata. La memoria è anche un diritto e deve far parte integrante dell’istruzione. La memoria è il nostro bene comune immateriale“.
L’orazione ufficiale è affidata al Professor Paolo Pezzino, già ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa e attualmente Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Riportiamo parte del suo discorso: “Il XX secolo ha visto molti genocidi e massacri di massa di particolari gruppi sociali, ma indubbiamente il genocidio più ‘esemplare’ è rappresentato dallo sterminio degli ebrei attuato dalla Germania nazista e dai suoi alleati fra il 1941 e il 1945:
circa sei milioni di ebrei assassinati, cioè i due terzi degli ebrei d’Europa. Il 27 gennaio del 1945 veniva liberato il campo di Auschwitz: gli orrori dello sterminio nazista degli ebrei venivano così rivelati al mondo intero (anche se in seguito abbiamo appreso che molti, in realtà, già sapevano, anche nel mondo libero, e niente, o poco, fecero per intervenire, bloccare, o almeno denunciare). A distanza di oltre mezzo secolo, nel 2000, il Parlamento italiano ha accolto la proposta dell’assemblea dell’ONU e varato una legge (la n. 211 20 luglio 2000), che istituisce, in quella ricorrenza, la Giornata della memoria”. La legge prevede che ogni anno, in quel giorno, vengano organizzate manifestazioni per ricordare ‘le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati’. Sono passati ormai 23 anni, e ogni anno il numero di iniziative promosse da istituzioni, istituti di cultura, università, associazioni cresce. E allora perché l’allarme della senatrice Liliana Segre? Il punto è che ‘il ricordo per legge’ corre sempre il rischio dell’assuefazione, della ripetitività, della stanchezza. Di trasformarsi in un esercizio rituale. L’eccesso di offerta può avere le stesse conseguenze della scarsità di offerta. Anche per uno studioso specialista è ormai difficile seguire e assimilare le pubblicazioni che ogni anno escono in occasione del giorno della memoria. Poi si è puntato sui testimoni, i sopravvissuti. Giusto e doveroso. Ma se le testimonianze non si accompagnano alla conoscenza della storia, svanito l’indubbio impatto emotivo nei confronti soprattutto dei giovani delle scuole, la capacità di comprendere come sia stato possibile non viene sensibilmente rafforzata. Oltretutto cosa faremo quando inevitabilmente i testimoni non potranno più narrare le loro esperienze? E ancora. Soprattutto in Italia permangono tesi autogiustificatorie: l’antisemitismo sarebbe di importazione dalla Germania, e non un prodotto originario della dittatura fascista. Di questa ultima si tende a dare una visione riduttiva, quasi fosse un regime ‘bonario’, se non fosse stato per quella (in questa ottica inspiegabile) adesione alle teorie razziste. La società italiana non sarebbe stata razzista. Si dimentica così l’antigiudaismo diffuso dalla Chiesa cattolica (certo non su base etnica, perché restava sempre la possibilità della conversione), che predispose all’accettazione di politiche discriminatorie e persecutorie. Va poi sottolineato il nazionalismo acceso, che puntava a identificare la nazione con una presunta razza italiana. Nel discorso del 26 maggio 1927, noto come Discorso dell’Ascensione, Mussolini affermò che voleva ‘curare […] la razza italiana, cioè il popolo italiano nella sua espressione fisica’. Nel codice Rocco, a proposito Dei delitti contro la integrità e sanità della stirpe, leggiamo ‘è interesse che ha la nazione, come unità etnica, difendere la continuità e la integrità della stirpe […] ogni atto diretto a sopprimere o isterilire le fonti della procreazione è un attentato alla vita stessa della razza nella serie delle generazioni presenti e future che la compongono e quindi un’offesa all’esistenza stessa della società etnicamente considerata […] all’integrità e continuità della razza, elemento essenziale della vita della nazione e dello Stato’. E non bisogna dimenticare il razzismo coloniale: prima dell’invasione dell’Etiopia nell’estate del 1935 Mussolini scrisse ‘noi fascisti riconosciamo l’esistenza delle razze, le loro differenze e la loro gerarchia’. Le gambegi contro il madamato miravano proprio ad evitare il formarsi ‘di una generazione di mulatti in Africa orientale’. Il razzismo, nella forma di antisemitismo, si manifesta nel Discorso di Trieste, il 18 settembre 1938, di Mussolini: ‘L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del Fascismo […] Nei riguardi della politica interna, il problema di scottante attualità è quello razziale; anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito ad imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono dei poveri deficienti, ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà […] In relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono con il prestigio, occorre una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze ma delle superiorità nettissime’. Ma torniamo alla legge del 2000. Evidenti i limiti della sua formulazione: si ricorda ovviamente la Shoah, la persecuzione italiana degli ebrei, la deportazione politica, ma si scordano altre categorie: in primo luogo Rom e Sinti, gli unici, oltre agli ebrei, perseguitati su base razziale: 500.000 morti nei campi di sterminio nazisti, ma la persecuzione è stata anche in Italia. Inoltre si ricordano coloro che si opposero al genocidio, ed è giusto, ma dobbiamo sottolineare che la reazione degli italiani fu per lo più l’indifferenza. Ricorda Liliana Segre che quando fu portata da San Vittore al binario 21 della stazione di Milano, il 30 gennaio 1944, da dove fu avviata al campo di Auschwitz-Birkenau, durante il tragitto non vi fu un solo gesto di solidarietà dei milanesi. Commenta Ferruccio De Bortoli sul Corriere della sera del 25 gennaio: ‘I camion dal carcere di san Vittore – con il loro carico di vite, tra cui quella di Liliana Segre – diretti verso la stazione centrale sfilarono in una Milano con le persiane chiuse. Ignara, impaurita’. Per ogni ebreo salvato dall’aiuto di persone ‘giuste’ ve ne fu più di uno arrestato per delazione di chi condivideva la politica razzista o voleva impadronirsi dei suoi beni. Forse poi, per l’Italia, sarebbe stato più opportuno scegliere un’altra data per commemorare la Shoah: il 16 ottobre. Infatti quel giorno nel 1943 alle 5.15 del mattino le SS invadono le strade del Portico d’Ottavia e altre zone di Roma, utilizzando i dati sul censimento degli ebrei che gli Italiani avevano loro fornito; rastrellano 1024 persone, tra cui 207 bambini. Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partono dalla stazione Tiburtina. Dopo sei giorni arrivano al campo di concentramento di Auschwitz, in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna, Settimia Spizzichino, hanno fatto ritorno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato. La maggior parte dei viaggi intrapresi dagli ebrei dall’Italia fu senza ritorno: su poco meno di 7.800 deportati solo 837 sopravvissero. Su 733 bambini solo 121 ritornarono dai campi. Infine ricordiamo che i genocidi non sono solo un ricordo del passato: in Ruanda nel 1994 sono stati sterminate centinaia di migliaia di cittadini di etnia tutsi da parte dello Stato controllato dall’etnia hutu, e nei territori dell’ex Jugoslavia, nel corso del processo di definizione dei confini dei nuovi stati sorti in quell’area, sono state messe in atto, a partire dal 1992, operazioni di ‘pulizia etnica’ ed è stato perpetrato il genocidio dei maschi adulti bosniacchi a Srebrenica nel luglio 1995 da parte dei serbi. Insomma, il ‘mai più’ che ogni 27 gennaio risuona nelle manifestazioni di commemorazione è un auspicio che ad oggi non si è ancora realizzato. E solo la conoscenza critica del passato, unita alla memoria trasmessa dalle vittime, potrà formare dei cittadini attenti a riconoscere, nei nazionalismi accesi che stanno nuovamente diffondendosi nel mondo, i possibili segnali di future tragedie”.
In conclusione della celebrazione, viene citato Primo Levi: “Auschwitz è fuori di noi ma intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia“.
Troviamo un vaccino!




Inaugurata al Museo della deportazione la mostra “Un altro viaggio in Italia. Luoghi, storia e memorie della Seconda guerra mondiale in Italia”

Continua il suo viaggio la mostra Un altro viaggio in Italia. Luoghi, storia e memorie della Seconda guerra mondiale in Italia. Dopo l’inaugurazione a Milano, presso la Casa della Memoria, il 21 Aprile, il 6 settembre la mostra è approdata a Prato, presso il Museo e Centro di Documentazione della Deportazione e della Resistenza, uno degli istituti associato alla rete nazionale del Parri e a Paesaggi della Memoria.
La data non è casuale, perché cade il giorno dell’avversario della liberazione della città di Prato.

L’inaugurazione, che ha visto una affluenza davvero notevole di pubblico, sia italiano che tedesco, è avvenuta alla presenza dell’instancabile Dott. ssa Camilla Brunelli, direttrice del Museo, del prof. Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, della console tedesca onoraria di Firenze, Renate Wendt, del sindaco di Prato Matteo Biffoni, di vari assessori e dei sindaci di Ebensee (con cui Prato è gemellata da 35 anni) e Wangen. La mostra è stata illustrata al pubblico dal Dottor Federico Creatini, uno dei curatori.

Il titolo della mostra richiama l’Italienische Reise (Viaggio in Italia) di Goethe, resoconto del celebre Grand Tour compiuto dall’autore in Italia tra il settembre 1786 e il giugno 1788.
La suggestione del Grand Tour è stata colta per proporre al pubblico europeo un altro (e diverso) viaggio nella penisola, i cui protagonisti sono un giovane visitatore tedesco, Jan, ed una sua coetanea italiana, Laura, che dialogano viaggiando oggi sui luoghi della memoria in Italia della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza. Jan, incuriosito, si lascia guidare dalle spiegazioni e dalle osservazioni di Laura, instaurando con lei un dialogo volto a superare i reciproci pregiudizi.
Abbiamo giocato – afferma il Professor Pezzino – sui luoghi comuni e sugli stereotipi ancora diffusi nell’opinione pubblica, ad esempio per la nostra nazione quello per il quale i Tedeschi sono cattivi e gli Italiani buoni e per la Germania quello per il quale gli Italiani sono traditori, al fine di decostruirli”. L’obiettivo della mostra è divulgativo, non accademico: il fatto che siano due giovani ad interrogarsi su ciò che è successo nel biennio 1943-45 visitando quei luoghi della memoria, partendo dal fascismo è finalizzato a rendere la mostra fruibile ad un pubblico anche giovane.
Si tratta di una mostra fisica, composta da 17 pannelli autoportanti e bifacciali, che, tramite QR code, rinviano al portale collegato che fornisce utili approfondimenti. Infatti, accanto alla mostra, c’è un sito internet con fotografie, cronologia, testi e molto materiale sulla storia dei luoghi citati.
Il percorso espositivo si snoda su dieci questioni centrali per comprendere la guerra in Italia: – Fascismo e antifascismo, Guerre fasciste, Italia divisa, Occupazione tedesca, Antisemitismo e Shoah, Deportazioni e internamenti, Guerra Tedesca, Guerra alleata, Resistenze (volutamente al plurale, perché la Resistenza ha tante anime), Dopoguerra.
Per ciascun è stato individuato un luogo simbolo e altri otto particolarmente significativi. Collegandoli è costruito un itinerario che tocca tutta la penisola, trattando le tematiche indicate.
A volte il luogo simbolico è spiazzante. Alcuni esempi: per Guerra Tedesca la spiaggia di Rimini, ora meta vacanziera di molti Tedeschi ma che a cavallo della guerra era stato per loro un grosso campo di prigionia o per Fascismo e antifascismo Lipari luogo di confino in epoca fascista e luogo di vacanza oggi. Altri luoghi sono poco conosciuti ma significativi per l’ambiguità della memoria storica in Italia, come per Guerre fasciste il Monumento ai caduti d’Africa a Siracusa o il Sacrario militare dei caduti d’Oltremare a Bari. Altri luoghi rimandano ad una duplice memoria, come per Resistenze Piazzale Loreto, dove furono fucilati il 10 agosto ’44 15 antifascisti partigiani i cui cadaveri rimasero esposti a monito e dove (memoria che ha soppiantato quella dei martiri) dopo il 25 Aprile ’45 furono appesi per i piedi i corpi di Mussolini, la Petacci e altri gerarchi. Altri luoghi ancora presentano analogie fra Italia e Germania, come per Dopoguerra Piazza Transalpina a Gorizia divisa dal muro nella Guerra Fredda come Berlino.
I luoghi sono al centro del dialogo tra i due giovani accompagnatori, ma vengono raccontati anche attraverso testi storici, citazioni memoriali, fotografie, cronologie, infografiche, mappe originali.

La mostra è trilingue (italiano, tedesco, inglese) perché anch’essa compirà il suo viaggio in 5 città in Italia (dopo Milano e Prato, Bologna, Venezia, Alessandria, Roma) e altrettante in Germania. Attualmente la mostra è esposta al Amburgo.
La mostra, è stata realizzata grazie al finanziamento del Fondo italo-tedesco per il futuro, progetto quadriennale gestito dal Ministero degli Esteri tedesco.




Buon compleanno Museo della deportazione e della Resistenza!!!

Domenica 10 Aprile ricorre il ventesimo anniversario dell’inaugurazione, a Figline di Prato, del Museo della Deportazione e Resistenza.

L’inaugurazione, tanto voluta da Roberto Castellani -la cui figlia, nipote e bisnipote sono presenti in sala- e da tutta l’ANED ebbe luogo il 10 Aprile del 2002 alla presenza del Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi di cui Aurora Castellani, Presidente della Fondazione Museo della Deportazione e Resistenza di Prato, ha ricordato le parole “ quella di oggi […] è una giornata della memoria, ricca di emozioni. L’evento che mi ha condotto da voi, l’inaugurazione di questo Museo e Centro di documentazione sulla Deportazione e Resistenza, ricorda momenti particolarmente struggenti della nostra storia; più che mai vivi nell’anima di un uomo della mia generazione. È stata un’iniziativa illuminata dar vita, a distanza di più di mezzo secolo da quelle tragiche giornate, a questo Museo, che ne conserva il ricordo. Visitandolo, i giovani d’oggi, italiani, europei, saranno indotti a riflettere sul lungo cammino che l’Italia, e l’Europa, hanno compiuto da allora ad oggi.

Il percorso che ha portato alla nascita del Museo è iniziato 25 anni prima, quando, il 27 settembre 1987, su proposta del Presidente dell’ANED di Prato, Roberto Castellani, e di Dorval Vannini, entrambi ex deportati ad Ebensee, fu siglato un gemellaggio – precursore di altre iniziative del genere in Europa-tra i comuni di Prato ed Ebensee , un atto concreto per impegnare le due comunità in un percorso di memoria, compiuto insieme in nome della pace, della fratellanza tra i popoli, del rispetto dei diritti dell’uomo, della giustizia e della solidarietà.

Perché proprio Ebensee? Perché in quel lager in Austria, uno dei peggiori sottocampi di Mauthausen, morì un numero molto elevato di deportati pratesi, arrestati da nazisti e fascisti dopo lo sciopero generale del marzo 1944. Degli oltre 130 pratesi deportati solo 18 sono tornati.

Conoscere questa storia è segno della civiltà, della civiltà che vogliamo“, ha detto il Presidente dell’ANED di Prato, mentre la Presidente provinciale di ANPI parla di “diritto e dovere della memoria“. Su questa scia, Camilla Brunelli, Direttrice del Museo, afferma che “coltivare la memoria della deportazione e della Resistenza è un dovere civico di forte valore educativo e culturale“, ed è questo lo scopo con cui il Museo è stato fondato.

Il museo è un lavoro profetico” afferma il Presidente della provincia di Prato, e Matteo Biffoni, Sindaco di Prato, aggiunge che il lavoro di questo Museo è ancora più importante ora “anche per questa città sfregiata il 23 marzo 2019 dalla manifestazione di Forza Nuova per celebrare la costituzione dei Fasci di combattimento“.

Sono passati venti anni dall’inaugurazione del museo, nel frattempo, il 26 gennaio 2007, è stata costituita una Fondazione grazie alla quale il Museo e il Centro di documentazione si sono sviluppati fino a diventare un polo regionale di notevole importanza: l’affluenza è cresciuta di anno in anno portando a Figline decine di migliaia di visitatori, soprattutto studenti, provenienti da ogni parte della Toscana ma non solo, sono stati pubblicati 13 libri, realizzati 3 film, organizzato numerosissimi corsi di formazione e viaggi della memoria, sia ad Auschiwitz (con il contributo della Regione Toscana attraverso il “Treno della Memoria“) sia a Mauthausen (insieme all’ANED). Un nuovo progetto è curare, insieme all’ANED, l’allestimento del Memoriale italiano di Auschwitz, inaugurato l’8 maggio, a Firenze, al Centro Ex3 di Gavinana, dopo lo “sfratto” da Auschwitz.

Marco Palla, Presidente del comitato scientifico, già ordinario di Storia all’università di Firenze, descrive questo Museo come “presidio di cultura, di ricerca storica“. “Anche presidio di democrazia” aggiunge Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, rete di 66 istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea – realtà unica in Italia e in Europa-, a cui il Museo si è associato a pieno titolo l’anno scorso.

La ricerca della deportazione è fondamentale“, continua Pezzino, “oltre che a quello di Prato, fanno parte della Rete il Memoriale della Shoah di Milano e il Museo al deportato di Carpi“. “In un contesto storico come quello attuale, dove dilaga la banalizzazione di quella che è stata la dittatura fascista, assistiamo ad ripresa virulenta di nazionalismi in Europa e a deriva sovranista nel nostro paese, preservare la memoria e studiare la storia è fondamentale“. Anche l’Assessora alla Cultura della Memoria della Regione Toscana, Alessandra Nardini, ricorda “il dovere di tramandare e far vivere la memoria. Non ha caso la Toscana ha nel suo stendardo il Pegaso alato, simbolo del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale“.

I festeggiamenti di questo ventesimo compleanno sono iniziati alle 15.30 presso i Giardini del Piazzale Leonetto Tintori a Figline con la dedica di una panchina, dipinta dal suo pronipote Niccolò Gualtieri, a Gino Signori, pittore pratese, IMI e Giusto fra le nazioni, in occasione dei 110 anni dalla sua nascita. Si sono conclusi alle 17.00 con la proiezione di un filmato sui venti anni di attività del Museo della Deportazione con il commento della Direttrice Camilla Brunelli.

Auguri al Museo! E lunga vita! Il lavoro è ancora in itinere e lo attendono nuove sfide, e il pensiero va a ciò che sta succedendo in Ucraina.