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Mattarella rende onore a Sant’Anna di Stazzema nel 50° anniversario del conferimento della medaglia d’oro

Sant’Anna dì Stazzema, sabato 29 Febbraio. La strada è stata chiusa da 2 ore quando, alle 11.30, arriva il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dopo aver deposto un corona di alloro sulla piazza della Chiesa, al cippo che commemora i caduti della strage e visitato il Museo Storico della Resistenza, è entrato nella Fabbrica dei Diritti, praticamente inaugurata oggi per la cerimonia. Si commemora il cinquantesimo anniversario del conferimento della medaglia d’oro al valore militare a Sant’Anna di Stazzema, dove, il 12 agosto 1944, è avvenuto uno degli eccidi più efferati di quelli compiuti dai tedeschi, spesso con l’aiuto dei fascisti italiani, nelle “operazioni di pulizia” lungo la linea gotica.

Apre la commemorazione il Sindaco di Sant’Anna di Stazzema, Maurizio Verona, definendo questo luogo la capitale europea dell’antifascismo  e ringraziando Mattarella “per il suo impegno quotidiano a difesa dei valori della nostra Costituzione, per i suoi gesti di apertura verso il mondo, contro le paure che vengono alimentate da chi oggi vuole di nuovo soffiare sul fuoco della divisione”, anche nominando senatrice a vita Liliana Segre. Il sindaco conclude dicendo: “La memoria è un atto di coraggio, di coraggio e determinazione continueremo ogni giorno a parlare ed incontrare tanti giovani per raggiungere il sogno che ci assegna la legge istitutiva del Parco di un mondo senza più guerre”.

Prende poi la parola Enrico Pieri, sopravvissuto e testimone, Presidente dell’Associazione Martiri di Sant’Anna di Stazzema,  che con poche ed emozionate parole esorta i ragazzi a studiare la storia, per creare una memoria europea per il futuro

È il professore Paolo Pezzino, presidente del comitato scientifico dell’Istituzione  Parco nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema, a tenere il discorso di introduzione storica. Sottolinea che la strage “si inquadra in quella particolare fase del conflitto in Italia che si apre con l’arretramento dell’esercito tedesco sulla così detta Linea Gotica. In zone di grande rilievo strategico, come i monti a ridosso della Versilia, le Apuane o la Lunigiana, i tedeschi soffrivano la presenza di numerose formazioni partigiane, di diverso orientamento, e l’intensificazione della loro attività, anche a seguito dei proclami di Alexander dopo la ritirata tedesca da Roma. Nella zona arrivò in quei giorni la XVI SS Panzer-Grenadier Division, comandata dal generale Simon, un fanatico nazista, impiegata in numerose azioni di lotta alle bande, che per lo più si concretizzavano in stragi della popolazione civile, accusata, a torto o a ragione, di proteggere la guerra partigiana.

Ricorda poi il senso di isolamento e  incomunicabilità dei sopravvissuti di Sant’Anna, a causa della mancata giustizia: bisognerà aspettare più di 60 anni perché un tribunale italiano condannasse alcuni degli autori del massacro. “Le successive vicende hanno visto la sentenza confermata nei vari gradi di giudizio della magistratura militare italiana, ma vanificata sia dal rifiuto delle autorità tedesche di concedere l’estradizione o di far scontare la pena in Germania ai condannati, sia dai non luogo a procedere ribaditi dalla magistratura tedesca nei confronti degli stessi militari condannati a La Spezia e di altri loro commilitoni. Si aggiunga il rifiuto dello Stato tedesco di riconoscere gli indennizzi disposti dalla magistratura italiana: tutto ciò ha confermato i superstiti e i parenti delle vittime nella convinzione che giustizia non è stata compiutamente fatta (senza contare che una giustizia che arriva a sessanta anni dai fatti non può essere considerata sostanzialmente tale)”. Con la legge 11 dicembre 2000, n. 381,  il paese è stato dichiarato Parco nazionale della pace, ed oggi finalmente, con la creazione all’interno del Comune dell’Istituzione che ne gestirà le iniziative, “si  è concluso un processo che fa di Sant’Anna un luogo della memoria nazionale e europeo, dove gli esiti della ricerca storica e la memoria degli orrori della guerra dialogheranno per rappresentare un punto di riferimento per la comunità nazionale e internazionale.

Infine prende la parola il Presente della Repubblica rievocando le efferate vicende di quel 12 agosto, elogiandone i “martiri” per la loro tenacia nella ricerca di giustizia e verità. Il panorama poi si allarga alle altre stragi nel nord dell’Appennino Toscano, in cui le SS ebbero per aiutanti i fascisti locali.

Qui, a Sant’Anna di Stazzema, si avverte il significato più profondo del nostro continuare a fare memoria. Qui si trovano le radici della Repubblica. Perché la memoria è un dovere. Rappresenta un valore di umanità. Costituisce patrimonio della comunità.” Il presidente esorta poi ad essere vigili poiché i cambiamenti epocali in atto possono provocare “paure, disorientamenti, chiusure. Il germe dell’odio non è sconfitto per sempre. Il timore del diverso, il rifiuto della differenza, la volontà di sopraffazione, sono sentimenti che possono ancora mettere radici, svilupparsi e propagarsi. Far risorgere quei germi di razzismo e nazionalismo, che non sono del tutto estinti”. Contro questi pericoli il presidente della Repubblica trova nella Europa unita la risposta, perché, anche se imperfetta e fragile, è il vero antidoto all’innalzamento di nuovi muri, ai risentimenti nazionalisti. “Il processo di costruzione europea è stato la proiezione esterna, lo sviluppo coerente dei principi che hanno ispirato la Resistenza e unito il popolo italiano attorno alla sua Carta costituzionale. Noi, insieme agli altri Paesi europei, abbiamo compreso che non si dovevano ripetere gli errori successivi alla Grande Guerra, e che la risposta alla volontà di potenza, all’ideologia del dominio e dello sterminio, agli orrori della guerra doveva collocarsi all’altezza della civiltà d’Europa”. Mattarella cita poi l’importanza dei segni di riconciliazione avvenuti a Sant’Anna, come la visita del Presidente tedesco Joachim Gauck e del Presidente del Parlamento europeo Martin Schultz, che si sono inchinati davanti all’ossario delle vittime. Il presidente conclude ricordando le Medaglie d’oro al valor civile concesse a vittime e sopravvissuti di Sant’Anna di Stazzema, vittime ed eroi al tempo stesso: don Fiore Menguzzo, don Innocenzo Lazzeri, Genny Bibolotti Marsili, Cesira Pardini,  Milena Bernabò: “Sono persone che rappresentano un’intera comunità straziata. In loro nome continuerà l’impegno per costruire una civiltà più libera e giusta, che rappresenta il nostro orizzonte di speranza e che nessuno potrà mai strappare dalle nostre coscienze di italiani liberi”.




Presentato a Viareggio il libro di Silvia dai Pra’ “Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria” grazie all’Istituto della Resistenza di Lucca

Alle ore 17:00 presso Villa Argentina a Viareggio si è tenuta la presentazione del libro di Silvia dai Pra’ dal titolo Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria. La presentazione è stata curata dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Lucca ed è stata moderata da Armando Sestani, che ne è il vice direttore . Armando e Silvia hanno molto in comune: i parenti di entrambi sono originari dell’Istria, i nonni di lei, i genitori di lui. Armando infatti è figlio di esuli di Pola, nato a Taranto dove i genitori avevano trovato asilo, Silvia invece ha avuto una nonna di Santa Domenica di Albona. Fra di loro però c’è una sostanziale  differenza ed  è su questo argomento che si è aperta la presentazione. Armando ha sempre saputo l’ origine della sua famiglia e sua madre ha conservato tutti i documenti, Silvia invece ha scoperto le sue radici solo quando era già adulta. Tuttavia i genitori di Armando non sono mai voluti tornare in Istria finché quando lui, trentenne, li ha accompagnati in vacanza a Pola , 47 anni dopo la loro partenza da quella città; invece Silvia è andata con suo padre per la prima volta in Istria quando aveva 11 anni, inconsapevole di ciò che quella terra aveva costituito per la sua famiglia. Quel viaggio lo aveva fatto con suo padre nel 1988, sua nonna Iole, prima che partissero, non aveva voluto incontrarli, ma aveva lasciato solo un biglietto sul tavolo che diceva “non mi salutate nessuno, buon viaggio”. Da questo biglietto il titolo del libro. È stato in quel viaggio che Silvia ha scoperto che la nonna era jugoslava e ha iniziato a ricostruire parti del suo passato, scoprendo “il genogramma spezzato”, cioè la metà amputata del suo albero genealogico. Il libro è un memoriale, un reportage di viaggio e un  libro di storia famigliare allo stesso tempo, anzi Armando lo definisce non un libro di storia ma di storie,  perché tutti i nomi presenti in esso sono reali. La scrittura di Silvia, invece, è quella di  un romanzo.

Quando prende la parola, l’autrice afferma che non sapeva che la nonna, morta nel 2002, fosse originaria dell’Istria;  attribuiva la sua strana parlata solo al fatto che vivesse sulle Dolomiti e non fosse tocana come lei. Non riusciva a spiegarsi il pessimo carattere della nonna e nemmeno quello del padre, depresso e malato di anoressia,  pur senza ammetterlo, e aggiunge di non aver mai capito il rapporto anaffettivo che c’era fra i due, e che tanto ha condizionato anche la sua vita. Le stranezze del ramo materno della sua famiglia hanno iniziato ad essere decifrate solo dopo la scoperta del segreto che ha sempre gravato su di essa. Alla luce del poi si può capire perché la nonna diventava aggressiva (“leonessa” la definisce lei) se sentiva pronunciare la parola “slavo” o “comunista”, mentre il padre invece non faceva che definirsi comunista, anticapitalista, aveva il santino del Che sul letto e odiava gli Stati Uniti.

Ed è all’insegna dell’antifascismo che Silvia è cresciuta a Massa con la madre (i genitori si erano separati) e con l’affettuosa famiglia materna(nota a tutti per essere una famiglia di partigiani), fumando Diana blu , leggendo Il manifesto, iscritta alla federazione dei giovani comunisti e prendendosela con chi,  gridando a gran voce e facendo il saluto romano, diceva: “allora le foibe.” “Noi che eravamo cresciuti sulla linea gotica a pane e manifestazioni dell’Anpi sentivamo così distante la parola foibe“. E inaspettatamente questa parola scava veramente un inghiottitoio nella vita di Silvia. 15 anni dopo la morte della nonna e dopo la nascita della figlia,  lei torna nella casa di Agordo e lì si accorge che la nonna non aveva lasciato quasi nessun ricordo, nessuna lettera, solo un paio di foto del padre. Questo l’ha fatta incuriosire e così ha iniziato a cercare contatti con famiglie di istriani, a leggere libri, a sentire la narrazione dell’amica istriana della nonna che non aveva lasciato la sua terra, fino a scoprire del bisnonno Romeo Martini, nato Martinchic prima della forzata italianizzazione dei cognomi, finito nella  foiba di Vines nel 1943, il riconoscimento del cui cadavere l’ha dovuto fare proprio nonna Iole appena sedicenne.

Silvia parla di Vines come di un “non luogo, è un bosco in cui ci vuole il machete per arrivarci”.

Dopo aver scritto di getto i primi due capitoli, Silvia racconta che ha iniziato una indagine durata due anni tra archivi perlopiù in lingua italiana andati parzialmente distrutti, lettere, vecchie fotografie, fette della vita e della memoria delle persone che ha incontrato, con l’intento non tanto di scrivere un libro quanto di riportare alla luce la vicenda di un destino di famiglia fatto della violenza subita e dalla violenza sofferta e fatta soffrire,  di amnesie della memoria e di memorie che non possono essere condivise.

La sua ostinata ricerca è riuscita a dare un senso a vicende che parevano incomprensibile.

Silvia spiega la dedica del libro alla figlia perché è stato solo dopo la sua nascita che ha sentito il bisogno di andare a colmare quel buco del suo passato, di spezzare un cerchio che era arrivato fino a lei, nevrosi su nevrosi, affinché quel silenzio non contagiasse anche la sua Eleonora. Silvia scherza poi sul fatto che magari sua figlia la rimprovererà di averla lasciata sola per andare a presentare proprio quel libro!

A fine presentazione si torna al presente, in quest’anno in cui le polemiche sono state più numerose e violente del solito, in cui i neofascismi si sono fatti più vivi e gli hate speaches sono stati sdoganati. Silvia ammettete che a volte ha anche avuto paura quando è  andata a presentare questo libro, ad esempio quando con Eric Gobetti il 5 febbraio a Torino sono finiti nel mirino di una associazione di estrema destra e di esuli istriani.

In conclusione, forse siamo tornati davvero a quegli slogan di cui Silvia non conosceva il significato e che contrapponevano “allora le foibe?” a “allora le violenze compiute dei fascisti?”.




Al Confine “orientale”: un viaggio nello spazio e nel tempo per formare alla complessità della Storia

Si è concluso sabato 15 febbraio, con la visita ai resti del campo di Laterina, il viaggio – studio sui luoghi della storia del Confine “orientale” italiano, promosso dalla Regione Toscana ed organizzato dall’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea, in collaborazione con ISRT e tutta la rete degli Istituti, che ha coinvolto 25 insegnanti e 50 studenti provenienti da tutte le aree della regione, isola d’Elba compresa.

A partire da martedì 11, con la visita a Redipuglia e quindi a Trieste, i ragazzi e i loro insegnanti hanno potuto compiere un viaggio, nello spazio e nel tempo, che li ha messi di fronte alla complessità della vicenda storica attraverso lezioni tenute da storici e interventi a cura di testimoni ed esponenti delle comunità fiumano, istriano dalmate.

Visitando Gonars, Basovizza, Magazzino 18, Risiera, Fiume, Pisino hanno toccato con mano e sentito evocare le violenze, i dolori, le perdite (fisiche, materiali e morali) che hanno segnato in modo estremamente significativo le popolazioni dell’alto adriatico fino alle pagine terribili delle foibe e dell’esodo, culmine delle dinamiche della guerra totale e dell’incipiente guerra fredda.

Ma la visita alla comunità italiana a Fiume è stato anche un segno di speranza nella possibilità di un civile convivenza fra culture diverse, distante dalle pagine del passato, premessa indispensabile di un futuro di pace.

Il viaggio, culmine di un percorso di formazione iniziato con la Summer school dei docenti nel mese di agosto dello scorso anno, è stato quindi per tutti i partecipanti occasione di conoscenza e riflessione, tappa ulteriore del pluriennale impegno della Regione Toscana a favore della promozione della conoscenza delle memorie e della Storia del Novecento.




Una mostra e non solo.. l’impegno scientifico dell’Istituto della Resistenza di Lucca in occasione del Giorno del Ricordo

L’Istituto storico della Resistenza di Lucca anche questo anno mostra il suo impegno nella celebrazione del giorno del ricordo.

Proprio il 10 Febbraio, viene inaugurata alle 17.30 nella Casa della Pace e della Memoria (Castello di San Donato, Mura Urbane) sulle mura, una mostra intitolata “Dall’Istria a Lucca: una raccolta di documenti familiari”.  Essa è curata da Armando Sestani, vicepresidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea, figlio di un esule istriano a Taranto, autore, tra l’altro, del saggio Esuli a Lucca. I profughi istriani, fiumani e dalmati 1947-56 (Pacini Fazzi editore, 2015). La mostra sarà aperta dal 10 al 22 Febbraio.

La mostra consiste in percorso storico attraverso una raccolta privata, appartenente alla famiglia del curatore,  di documenti e pubblicazioni varie che hanno come tema “le vicende complesse del confine orientale italiano”, come recita  la legge 30 marzo 2004 n. 92. Questa esposizione contiene giornali di d’epoca, cartoline e perfino la Gazzetta ufficiale sulla quale era pubblicata la legge che prevedeva l’italianizzazione dei cognomi slavi per cui Sestanich diventò Sestani. Che vuol dire per la quale come si collega e perfino Alla gazzetta ufficiale con la legge prefigge lo scopo di mostrare ai visitatori alcuni documenti originali che possono servire a conoscere, fuori da ogni retorica, una storia familiare, ma ci parlano anche della storia di donne e uomini che hanno attraversato il Novecento tra guerre, totalitarismi e spostamenti di confini che hanno segnato le loro vite.  Parte di queste persone sono state definite, anche burocraticamente, profughe o, per usare un termine di derivazione inglese, rifugiati.

Nel corso della loro vita hanno lavorato e hanno creato una famiglia, modificato il cognome, per imposizione o necessità, hanno dovuto optare per uno Stato piuttosto che per un altro, hanno abbandonato le città natie per vivere anni nei campi profughi, hanno agognato una casa.

Tale mostra, così come la proiezione del filmato “Gli esuli istriani, fiumani e dalmati a Lucca”, preceduta da una introduzione di Stefano Bucciarelli, presidente dell’ISREC di Lucca, dimostrano come alle polemiche che si rinnovano periodicamente ogni anno con toni più o meno accesi, ideologizzato il giorno del ricordo, si risponde con la storia: se la memoria difficilmente può essere condivisa, perché appartiene sempre ad un gruppo specifico, gli storici seri fondano le loro interpretazioni del passato su documenti, dunque su elementi esistenti, depositati negli archivi, non falsificabili. E i documenti parlano delle idee, dei pensieri e delle credenze degli uomini del passato – piccoli e grandi – e anche di eventi.

La contrapposizione ideologica inutile e pericolosa che politicizza le commemorazioni storiche è deprecabile e pericolosa.




“Vite spezzate”: si è svolta la nuova edizione del Meeting degli studenti della Regione Toscana per il Giorno della Memoria

La mattina del 27 Gennaio, al Nelson Mandela Forum di Firenze si è tenuto il Meeting degli studenti toscani in occasione del giorno della memoria, organizzato dalla Regione Toscana e dalla Museo e centro di documentazione della Deportazione e Resistenza di Prato. Il titolo dell’edizione di questo anno è  “Vite spezzate. Guerre, deportazioni, stermini”. Infatti a una prima parte dedicata alla Shoah e alle altre pratiche di deportazione nel contesto del secondo conflitto mondiale, è seguita una seconda intitolata “Il razzismo e le guerre nel presente”.

I circa 8000 studenti, che hanno partecipato a titolo totalmente gratuito all’evento, sono stati accolti dalla musica dell’orchestra multietnica di Arezzo che, sotto la artistica direzione di Enrico Fink, musicista e membro della comunità ebraica di Firenze,k e con la partecipazione del gruppo di Alexian Santino Spinelli, musicista e docente universitario Rom, ha creato un sincretismo musicale fra musica ebraica e musica romanì.

L’evento è ufficialmente iniziato con la preghiera ebraica El Male Rachamin interpretata da Enrico Fink. È una poesia in ebraico del poeta Yehuda Amichai utilizzata come canto di preghiera elevato in memoria delle persone morte di morte violenta, intonata spesso, quindi, nelle celebrazioni della Shoah.

Dopo una introduzione al meeting da parte di Ugo Caffaz, il solerte organizzatore da molti anni di questo evento, e dopo i saluti istituzionali del sindaco di Firenze Dario Nardella e della vicepresidente della Regione Toscana Monica Barni, il Professor Giovanni Gozzini, docente di storia contemporanea all’Università di Siena, ha tenuto una introduzione storica che, lungi da essere una lezione frontale, è stata un’esortazione contro l’indifferenza e contro ogni tipo di esclusione. Puntando il dito verso l’uditorio e dicendo “tu sì, tu sì, tu no”, ha introdotto il tema dalle leggi razziali del ‘35 Germania e del ‘38 in Italia, partendo dall’espulsione degli ebrei dalle scuole italiane. Poi ha fatto notare come non solo i Tedeschi nazisti abbiano deportato  masse di persone e creato campi di concentramento, ma che l’avevano già fatto prima gli Italiani fascisti durante l’occupazione della Libia negli anni ’30, deportando 100.000 abitanti dell’interno, zone in cui erano attivi i partigiani libici, in prevalenza anziani, donne, bambini, ai campi di concentramento sulla costa, causando la morte di 10.000 persone nelle marce forzate nel deserto e di 20.000 nei campi di concentramento, nei quali tra l’altro sono state eseguite almeno 1000 sentenze capitali; “abbiamo insegnato noi a Hitler come si fa”, dice provocatoriamente Gozzini.

La mattina è poi proseguita con la lettura da parte dell’attore William Pagano di alcuni passi tratti dal diario Quarantaquattro mesi di vita militare (Firenze 2014) di Elio Materassi, un IMI, cioè un internato Militare italiano, che ha scelto di non prestare servizio, una volta internato Germania, nell’esercito della Repubblica sociale Italiana.

Per ricordare anche la deportazione politica sono stati trasmessi filmati in memoria di due sopravvissuti ai lager scomparsi recentemente: Vera Michelin Salomon e Marcello Martini.

Vera a 19 anni, a Roma, entra nell’organizzazione del Comitato studentesco di agitazione il cui compito era quello di distribuire materiale di propaganda antifascista contro l’occupante nazista, davanti alle scuole superiori e all’università. Il 14 febbraio 1944, (dietro delazione) un commando di SS arresta tutto il gruppo e Vera, davanti al Tribunale Militare Tedesco, è condannata a tre anni di carcere duro, da scontarsi in Germania.

Marcello, pratese, è stato il più giovane deportato politico italiano, che ha vissuto a soli 14 anni l’esperienza del campo di concentramento di Mauthausen, perché si trovava coinvolto, giovanissimo, con la sua famiglia nelle attività clandestine di resistenza al nazi-fascismo, in sostegno all’emittente clandestina Radio Cora. E ai giovani di oggi, nell’ultima  intervista registrata, lascia questo messaggio “siate curiosi, abbiate  desiderio di imparare qualsiasi cosa, perché un giorno nella vita potrebbe esserti tolto tutto, come è accaduto nei lager, ma quello che tu sai non te lo può togliere nessuno”.

Moderate  da Adam Smulevich, giornalista e scrittore, salgono sul palco tre testimoni: Vera Vigevani Jarach, Kitty Braun Falaschi e Tatiana Bucci.

Vera presenta la sua duplice storia di dittature, di uccisione di due persone care -nonno e figlia- senza neppure una tomba su cui ricordarle.

Vera viene espulsa da scuola con le leggi razziali del ’38; l’anno dopo con la famiglia (i nonni rimangono invece in Italia e saranno deportati ad Auschwitz) emigra in Argentina ma lì nel 1976 un colpo di stato provoca la caduta del governo e l’instaurarsi del regime di Videla che mira a reprimere qualsiasi forma di opposizione politica e sociale tramite un sistema repressivo basato sulla violazione sistematica dei diritti umani e civili passato alla storia come Guerra Sucia. Vittime del regime sono soprattutto gli studenti – universitari e delle scuole superiori -, considerati pericolosi poiché pensano, credono nella giustizia, nella solidarietà e nella libertà, proprio come Franca, la figlia di Vera, molto attiva nel movimento studentesco della sua scuola. Venerdì 25 giugno 1976, Franca scompare: viene catturata e condotta all’Escuela de Mecánica de la Armada, adibita a centro di detenzione e tortura dei ribelli. La detenzione di Franca dura qualche settimana: a metà luglio è vittima di un “volo della morte”. Vera viene a sapere del destino della figlia solo nel 2000, dopo oltre 20 anni. Vera è una delle madri di Plaza de Mayo, movimento nato nel 1977 che riunisce le madri dei desaparecidos. Da allora porta in testa un fazzoletto bianco, che in realtà era il pannolone dei bambini, con il nome di figlia ricamato. Questo è il simbolo delle madri di Plaza de Mayo.

La seconda a parlare è Kitty, che racconta, con un’espressione dolce e con la voce riarsa da tanti anni di insegnamento, la sua esperienza di bambina ebrea. Del periodo vissuto in clandestinità, sotto pseudonimo, Kitty ha un ricordo quasi fiabesco, perché era troppo piccola per presentire ciò che le sarebbe accaduto. Invece a 9 anni è stata deportata con la mamma nel campo di concentramento di Ravensbrück e poi a Bergen Belsen. Cinque mesi nei lager, sei con il soggiorno nella risiera di San Sabba, il campo di concentramento a Trieste, spesso tappa di partenza verso la Germania.

La terza testimone è Tatiana Bucci, per una volta senza la sorella Andra, a cui va comunque il saluto di tutti. Le due sorelle sono state deportate insieme alla madre e al cuginetto Sergio a Birkenau. Si sono salvate dalla selezione perché credute gemelle da Mengele, “il dottor morte”, che in quel periodo conduceva esperimenti sui gemelli. I tre bambini dunque dovevano essere cavie. Racconta Tatiana “ci siamo salvate perché una blockova ci aveva preso a ben voler. Un giorno ci averti che, qualora ci fosse stato chiesto se volevamp rivedere la mamma, avremmo dovuto rispondere dovuto rispondere di no.  Noi ci siamo fidate e non abbiamo fatto un passo avanti (che avrebbe significato vita o morte) ma, con puerile naturalezza, il nostro cuginetto dice invece di voler raggiungere la mamma, così viene mandato con altri 19 bambini come cavia nel campo di concentramento di Neuengamme dove il Dottor -se tale si può definire-  Hessmeyer conduceva esperimenti sulla tubercolosi.  Quando da Berlino arriva l’ordine di liquidare i bambini, a Sergio e agli altri fu iniettata una dose di morfina e furono quindi impiccati alle pareti della stanza con ganci da macellaio”. Dopo queste parole cade il cielo in sala e poi scroscia un commosso applauso.

Dopo la lettura della poesia Se questo è un uomo di Primo Levi, interpretata da William Pagano, e dopo l’intervento di Francesco Galanti, presidente del parlamento degli studenti, inizia la seconda parte del meeting, moderata da Luca Bravi ricercatore presso l’Università di Firenze.

Ed è in questa parte che il meeting si apre verso l’attualità con problematiche che toccano il razzismo e gli stereotipi contro cui ancora combattere, e viene affrontato il tema dei genocidi nel presente o nel vicinissimo passato, come quello avvenuto in Bosnia Erzegovina nel 1995, il culmine più atroce della guerra nei Balcani che ha preso avvio nel 1991, fra stragi di civili, stupri, torture, pulizia etnica.

Di questo argomento ci porta la sua commossa testimonianza Irvin Mujcic, profugo di Srebrenica quando era ancora bambino. La madre con la nonna e i tre figli sono riusciti a scappare da Srebrenica, vivendo in campi profughi prima al confine e poi in Croazia per circa 2 anni prima di arrivare in Italia con un progetto umanitario. Non erano più a Srebrenica l’11 luglio 1995, quando furono massacrati 8.372 musulmani bosniaci per mano de Serbi. “Ho perso mio zio e mio padre nel genocidio e purtroppo è ancora tra le mille persone i cui corpi non sono stati trovati e sepolti”. “Credo che la bellezza e la ricchezza del mondo stiano nella diversità tra culture, etnie e religioni: sogno un mondo in cui ognuno possa essere accettato per quello che è”, dice Irvin e spiega il suo progetto “Srebrenica –  City of Hope” che si sta realizzando anche grazie alla costruzione della “Casa della Natura”. Infatti da qualche anno Irvin è tornato dove suo padre e suo zio sono morti “per difendere non solo una città ma un ideale di convivenza pacifica” con un progetto che punta a cambiare gli stereotipi su Srebrenica e restituirle la sua età dell’innocenza, valorizzandone le bellezze culturali e naturalistiche e puntando sul turismo.

L’ultimo intervento è quello di Eva Rizzin, una spinta rom ricercatrice presso l’università di Verona. È dedicato alla memoria e al presente dei rom e dei sinti.

Se fossi nata ai tempi del nazismo, sarei stata destinata allo sterminio” dice Eva “perché membro della minoranza che da sempre  è vittima di una politica persecutoria”. “L’antiziganismo, come l’antisemitismo, è una delle forme più diffuse di razzismo in Europa e in Italia”.

Quella persecuzione ha avuto una delle pagine più buie durante il Terzo Reich, quando rom e sinti furono deportati in massa. Fu anticipata dallo Zigeneur Buch, un testo pubblicato nel 1905 dal prefetto di Monaco di Baviera che in 344 pagine elencava i dati personali e genealogici di 3350 persone appartenenti all’etnia Rom. Quel censimento fu poi molto utile poi ai nazisti. Ma i censimenti non sono finiti. “Nel 2008 rom e sinti sono stati nuovamente censiti per etnia e religione e nel 2018 in Italia abbiamo avuto rappresentanti istituzionali che hanno chiesto di nuovo un censimento dei nomadi”. Come se poi Rom e Sinti fossero tutti nomadi! “Ancora oggi dichiararsi rom e sinti non è facile perché significa equipararsi a qualcosa di negativo e molti nascondono la propria identità per non essere giudicati in base agli stereotipi“.

E con la musica trascinante d Fink e Spinelli si chiude il meeting, al buio con 1000 torce di cellulari e ragazzi in standing ovation.




Insediato il Comitato scientifico del Parco della Pace di Sant’Anna di Stazzema

Martedì 7 gennaio si è insediato il Comitato Scientifico del Parco Nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema.

A farne parte sono Marco De Paolis, che è stato Procuratore Generale Militare sia nel processo che ha portato alla condanna di dieci SS per la strage di Sant’Anna di Stazzema sia di molti altri processi per crimini nazifascisti, il prof. Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Parri che coordina gli Istituti Storici della Resistenza e dell’età contemporanea, che è stato consulente per il processo su Sant’Anna e membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’occultamento dei fascicoli sulle stragi nel cosiddetto Armadio della Vergogna, il prof. Gianluca Fulvetti, docente di Storia Contemporanea all’Università di Pisa, autore di numerose pubblicazioni sul tema delle stragi contro i civili, lo storico locale Emmanuel Pesi, autore di alcune ricerche sul tema delle strage e il prof. Alessandro Romanini, docente alla Accademia di Belle Arti di Carrara, storico dell’arte e Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Ragghianti.

Il Comitato Scientifico è un organo previsto dal Regolamento dell’Istituzione Parco Nazionale della Pace ed esprime un parere sul programma delle attività oltre che su ogni questione attinente le scelte in campo artistico, storico, di ricerca. Nella prima seduta si è proceduto a prendere visione delle attività già calendarizzate per l’anno 2020 e a programmare le proposte per le prossime attività nel medio e lungo termine. Nel corso di tale seduta il Comitato ha eletto come Presidente il prof. Paolo Pezzino che ha un lungo percorso che lo lega a Sant’Anna di Stazzema.




Si è spenta Lorenza Mazzetti, sopravvissuta alla strage nazista del Focardo

Si è spenta a Roma all’età di 92 anni, la scrittrice e regista Lorenza Mazzetti. Con la sorella gemella Paola, erano state le uniche superstiti della strage nazista del Focardo che nel 1944 vide l’eliminazione della famiglia di Robert Einstein, cugino di Albert.

Lorenza aveva restituito quel dramma nel libro Il cielo cade, sua opera prima nel 1961, edita per Garzanti.

Nel 2015 aveva ricevuto la cittadinanza onoraria del Comune di Rignano sull’Arno.




Con voto unanime la Città metropolitana di Firenze rinnova il comodato d’uso delle sale all’ISRT

Lo scorso 27 novembre, il Consiglio metropolitano di Firenze ha confermato, con voto unanime di tutti i gruppi, il comodato d’uso gratuito per tre sale al piano terra di Palazzo medici Riccardi per l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea che proprio in tale luogo ha avuto la propria sede storica in continuità con le scelte del CTLN nella giornata dell’insurrezione di Firenze, l’11 agosto 1944.

Tutte le forze politiche hanno sottolineato il valore dell’Istituto, la sua funzione civile e culturale e l’importanza della Resistenza, nella varietà delle sue manifestazioni, quale fondamento della storia nazionale e della vita civile del Paese.