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“Ancora antifascismo? un dibattito attuale” al Festival “Fino al cuore della rivolta”.

Secondo giorno di Fino al cuore della Rivolta, sabato. Il castagneto si popola già nel pomeriggio, nonostante ci sia il sole, nonostante sia sabato, nonostante la costa che si vede nello splendido paesaggio in lontananza sia un’attraente sirena. E il castagneto si popola per il primo dibattito, alle ore 16.30, intitolato “Ancora antifascismo? Un dibattito attuale”.

Intervengono Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, Mimmo Franzinelli, della Fondazione “Rossi-Salvemini” di Firenze e Mirco Carrattieri, Direttore del Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza.

Pezzino, in qualità di moderatore, esordisce “da un po’ di tempo si sente dire che l’antifascismo è un elemento retorico della sinistra per coprire un vuoto di contenuti politici, che il fascismo è morto in Italia e che la bandiera dell’antifascismo è ormai uno stendardo scolorito. Ma è proprio così?

Prende poi la parola Carrattieri: “É necessario fare una premessa: antifascismo non è più un’etichetta sufficiente per definire la democrazia nel XXI secolo nel nostro paese”. Enuncia poi tre motivi per cui l’ antifascismo è una parola importante anche oggi. Le tre ragioni sono una riferita al passato, una al presente una al futuro. Partiamo dal passato: l’antifascismo è importante oggi perché è legato ad una parola del passato che è necessario preservare. Non possiamo trascurare il fatto che è esistito un antifascismo che ha pagato un prezzo altissimo nella lotta al fascismo, quello che Calamandrei chiamava alla Costituente “il popolo di morti”, cioè i martiri dell’antifascismo e quelli della Resistenza. Secondo motivo, che riguarda i presente. “La democrazia che oggi viviamo, pur imperfetta e fragile, si basa sull’antifascismo sviluppatosi in Europa sin dagli anni ‘30, che mirava non solo al superamento della dittatura ma anche a una nuova democrazia, non formale ma sostanziale, e ai diritti sociali. La Costituzione repubblicana e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo non sarebbero state possibili senza l’antifascismo. Terzo motivo, che riguarda il futuro. L’ antifascismo è stato un grande messaggio di speranza per il futuro, quella di poter costruire qualcosa anche in una situazione di grande dramma come è stata quella dell’affermazione dei totalitarismi. Oggi che si percepisce l’assenza di futuro e di speranza, l’antifascismo è la prova che la speranza ed il successo sono possibili”. Infine, citando Carlo Rosselli, nel primo editoriale di “Giustizia e Libertà” del 1934: “Noi siamo antifascisti non tanto e non solo perché siamo contro  quel complesso di fenomeni che chiamiamo fascismo, ma perché siamo per qualche cosa che il fascismo nega e offende e violentemente impedisce di conseguire. Siamo antifascisti perché in questa epoca di feroce oppressione di classe e di oscuramento dei valori umani, ci ostiniamo a volere una società libera e giusta […]. Siamo antifascisti perché nell’uomo riconosciamo il valore supremo, la ragione e la misura di tutte le cose […]. Il nostro antifascismo implica una fede positiva, la contrapposizione di un mondo nuovo al mondo che ha generato il fascismo. Questa nostra fede, questo nuovo mondo si chiamano libertà, socialismo, repubblica; dignità è autonomia della persona e di tutti i gruppi umani spontaneamente formati; emancipazione del lavoro e del pensiero dalla servitù capitalista; nuovo Umanesimo”.

È poi il turno di Franzinelli: “L’antifascismo va declinato al plurale per non comprendere sotto la stessa etichetta movimenti che sono stati spesso in contrasto l’uno con l’altro”. Guardando alla nostra società afferma “Fra i giovani pare che l’antifascismo non dica più niente e che invece il mito di Mussolini diventi un punto di riferimento come proiezione mitica di un grande padre”.

Gli risponde Pezzino: “L’ antifascismo oggi non è gridare al pericolo che ritorni un regime fascista ma è debellare l’ignoranza storica di quello che è stato il fascismo, combattere il revanscismo, il sovranismo, il razzismo che stanno portando alla deriva la vita politica italiana. Nella società di oggi ci sono elementi virali che tendono a disgregare i principi su cui si basano la nostra costituzione e la nostra democrazia. E ciò è pericoloso, sbagliato. C’è sempre stata una memoria fascista in Italia, come l’MSI testimonia, come dimostra la trama che stava dietro alla strategia della tensione. Se vogliamo migliorare la democrazia in Italia non possiamo prescindere dall’antifascismo”.

Carrattieri riconosce che è indubbio che l’antifascismo sia stato retoricizzato e mummificato e prendendo le distanze da Franzinelli, aggiunge “gli istituti storici hanno sempre criticizzato l’idealizzazione dell’antifascismo”.

Al secondo giro, la conversazione slitta sulla questione del museo del fascismo a Predappio, a seguito di  una affermazione di Franzinelli: “Il fatto che il museo del fascismo faccia paura agli storici mi sconcerta. Bisogna confrontarci uscendo dal recinto dogmatico dietro cui ci siamo trincerati”. Pezzino ribatte che la questione non è su museo del fascismo sì o no, anzi,  la sua creazione sarebbe necessaria tanto quanto quella di un museo nazionale della Resistenza, ma sul farlo proprio a Predappio. Anche dal pubblico ci sono interventi perplessi sulla scelta di tale sede: non sarebbe meglio in un altro luogo? A Predappio non darebbe adito e legittimazione a pellegrinaggi nostalgici di neofascisti (che tra l’altro sono già numerosi)? Risponde che per ora sono stati reperiti i soldi per ristrutturare la casa del fascio ma per il museo non sono arrivati i finanziamenti. Con i tempi della burocrazia in Italia, per almeno qualche anno, il problema concreto non si porrà.

Il dibattito si chiude con un lungo intervento di uno spettatore: “l’antifascismo è stato l’unico momento in cui le classi popolari sono state parte integrante della collettività e viceversa c’è stata una legittimazione dello stato agli occhi delle classi popolari. Questo non va dimenticato e questa è la ragione per cui bisogna continuare a parlare di antifascismo. Ricordo che i più grandi progressi sociali, civili etc sono stati compiuti grazie a figure antifasciste, mi riferisco anche ma non solo a Basaglia e al prof. Milani Comparetti. Sono state loro, oltre a far nascere la Costituzione, a darle le gambe per camminare”.

E come recita una canzone della Resistenza “scarpe rotte e pur bisogna andar”. Specialmente quando, come oggi, il sol dell’avvenir sembra basso all’orizzonte.




A Fosdinovo, aperta la XV edizione di “Fino al cuore della Rivolta, il Festival della Resistenza”.

Fosdinovo, una paese arroccato fra le montagne apuane: alle 17.45 di venerdì 2 Agosto inizia la 15esima edizione di Fino al cuore della Rivolta, il Festival della Resistenza, che, lontano dalle stanche commemorazioni,  si pone come obiettivo di far incontrare le giovani generazioni con il patrimonio di idee e di valori che deriva dall’esperienza della Resistenza, la cui conoscenza, ancora oggi, si dimostra fondamentale nel nostro vivere civile. E lo fa attraverso la cultura usando anche le nuove forme di manifestazione artistica (concerti, letture sceniche, videodocumentazione). Il Festival si svolge in un bosco di castagni secolari, accanto al Museo Audiovisivo della Resistenza, in uno scenario naturale che trae potere evocativo dall’esser stato uno dei teatri delle battaglie partigiane, e con la sua strada ripida suggerisce l’idea di salire fra i monti proprio “fino al cuore della rivolta”.

Alessio Giannanti, anima dell’iniziativa e dell’associazione Archivi della Resistenza, apre il Festival con una notizia che suscita indignazione: ieri a Campocecina sfregio, per la quarta volta, al monumento ai partigiani. “Tale atto fa capire che c’è bisogno di iniziative come il nostro festival, perché in questa terra che ha visto poche svastiche e tanta Resistenza non ne veda ore dipinte”. Conti, presidente dell’ANPI di Carrara, a proposito dell’ atto vandalico dice che “più che l’ira deve passare il disprezzo verso questi imbecilli”.

Il primo dibattito inizia alle 18 mentre un fiume di gente variopinta sale e man mano si mette in fila per la cena. Vede come coordinatore -o scoordinatore, come preferisce definirsi lui- l’antropologo Paolo de Simonis che esordisce “il dono crea un legame, una risposta. Questo festival, che si basa solo sui volontari crea esattamente questo, attraverso una partecipazione dal basso generosa”.

Ad aprire il dibattito è la Prof.ssa Monica Barni, vicepresidente della Regione Toscana. È la prima rappresentante politica di alto livello non solo ad aver visitato il Museo Audiovisive della Resistenza ma anche a partecipare al Festival. Esordisce che quello che Fino al cuore della rivolta fa è incarnare i principi della legge 38 della Regione Toscana, del 14 ottobre 2002, che tutela e valorizza il patrimonio storico, politico e culturale dell’antifascismo e della Resistenza e di promozione di una cultura di libertà, democrazia, pace e collaborazione fra i popoli. E si dice orgogliosa di lavorare su questi temi e difenda la parola antifascismo (su cui si era fatta polemica al momento della redazione della succitata legge), perché l’ antifascismo non è divisivo ma è la base della nostra costituzione.

La parola passa poi al Prof. Paolo Pezzino, Presidente del Ferruccio Parri e, fra l’altro, anche del comitato scientifico del Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo che “è un luogo non solo di valorizzazione della memoria ma anche di innovazione”. Da vero storico sostiene “la memoria va bene ma prima bisogna conoscere la storia. Non è vero che in questo paese non c’è memoria, ad esempio la memoria del fascismo è molto persistente, come il proliferare di formazioni, associazioni ed organizzazioni che si rifanno all’ideologia fascista dimostrano”. “Io non credo alle memorie condivise, perché in un paese libero le memorie non possono esserlo. Come fa la famiglia di un fascista ad avere la stessa memoria di quella di un partigiano?”. Ma se la memoria non può essere condivisa, la storia deve esserlo, perché essa si basa sui fatti, che non vanno edulcorati. In un paese che vive una crisi -ormai temo irreversibile- del sistema scolastico italiano ed in particolare della storia (con due ore alla settimana come si fa ad arrivare a toccare, ad esempio, le tematiche del nuovo millennio) il ruolo delle istituzioni, dei musei, di strutture educative è fondamentale. Ma per funzionare essi non devono essere solo propagatori di memoria ma di riflessione critica sulla storia”. “40.000 partigiani sono morti. Quei valori oggi li possiamo attualizzare solo se li storicizziamo e li rendiamo parte di una memoria critica”.

La Barni osserva che i manuali di storia spesso raccontano “troppa storia”, cioè una massa eccessiva di eventi, ma che spesso mancano di parte critica. Spesso i libri di testo -ma anche certi musei o mostre- raccontano la storia in modo accademico e autoreferenziale, senza pensare a chi quella storia la deve ricevere. E Pezzino risponde che “La public history deve essere frutto non solo dello studioso che sta per anni in archivio ma anche attenzione alla diffusione ad un pubblico più ampio di quello accademico e, secondo alcuni, anche coinvolgimento del pubblico nella stessa elaborazione dell’operazione storiografica”. Poi riprende dicendo che la sfida ora è fare rete. Ad esempio, non c’è un museo nazionale della Resistenza, ma tanti musei locali, perché la Resistenza è stata un fenomeno territorialmente radicato. Ma se li mettiamo in rete diventa una grande narrazione nazionale”. E anche la Barni interviene affermando che per combattere il campanilismo serve proprio fare rete.

Il dibattito slitta poi sul tema della democrazia. De Simonis giustamente ritiene che non è solo andare a votare e la Barni aggiunge che il problema è che molti italiani, di ogni età, non vanno più a votare. Provocatoriamente Pezzino, sorridendo, ammette “dopo certi esiti elettorali, penso che era meglio il dispotismo illuminato del Settecento!” e poi osserva (in risposta ad una domanda del pubblico sulla fiducia nella democrazia oggi) “Un grosso limite sta nelle scelte politiche in campo culturale: sia governi di centrodestra che di centrosinistra hanno tagliato la porzione di PIL dedicata alla cultura”, e la Barni, con scoramento, cita qualche sconcertante dato “il 70% della popolazione italiana non è mai andata ad una mostra o ad un museo e il 60% non ha mai letto un libro né è entrata in una biblioteca”.

Uno spettatore conclude con una metafora “la cultura non è un vaso chiuso, altrimenti diventa una palude, ma un lago che ha un immissario e un emissario, cioè la democrazia è un contenitore in cui ognuno dà qualcosa, è uno scambio di idee fra i popoli”.

Dopo cena la narrazione di Maurizio Maggiani, dedicata ad un amore, nato in un campo di lavoro nazista nella Bassa Sassonia, fra una diciottenne dattilografa cattolica polacca, rapita dalle SS, e un deportato politico, sarto, socialista di Monterosso, coronato con un matrimonio improbabile nell’aprile del ’45, immediatamente dopo la liberazione del campo. Mentre Maggiani narra, è proiettata sullo sfondo la loro foto, seppiata, con lui, bello, in piedi che indossa  un abito ricavato da un’uniforme delle SS e lei, a sedere, con un vestito da sposa fatto con la stoffa di un paracadute e un mazzo di fiori di carta velina reperita nel lager.

Per concludere un concerto di Andrea Appino, degli Zen Circus: bella voce, bella presenza scenica in grado di attirare il pubblico, riccioli ribelli e chitarra acustica. Sorseggiando l’amaro partigiano, creazione alcolica degli Archivi della Resistenza e del liquorificio sociale RI-MAFLOW,  intona alcune sue canzoni. Il pubblico più giovane le intona entusiasta le sue canzoni, quello meno giovane batte le mani a tempo, divertito e coinvolto.

Si spengono tardi le luci sul castagneto, la musica, con gruppi meno continua fino quasi alle tre di notte. All’una parte l’ultima navetta, ma poi inizia il trasporto clandestino….resistente anch’esso.




Il MUME ha festeggiato il suo primo compleanno!

Il MUME, il Museo della Memoria di San Miniato, spegne la sua prima candelina, e lo fa con lo storico Paolo Pezzino, Presidente del Ferruccio Parri, la rete degli Istituti Storici della Resistenza e dell’Età contemporanea.

Il museo, che non a caso ha trovato sede nella ex casa del fascio e della gioventù littoria, è costituito da una sala con alcuni pannelli multimediali, teche con stampa di epoca fascista -ad esempio La difesa della razza e vari abbecedari- e diari di alcuni antifascisti locali fra cui Giuseppe Gori e i cosiddetti “quadernini neri” che il padre di Giani (l’attuale presidente del Consiglio Regionale, che è intervenuto nelle celebrazioni) ha scritto a 18 anni, nel ’44, quando si nascose per 40 giorni nel tunnel-rifugio scavato nel tufo della collina di San Miniato. Pannelli illustrano poi la storia di San Miniato dalla Seconda Guerra Mondiale alla libertà.

I festeggiamenti per il primo compleanno del MUME erano stati preceduti, la scorsa settimana, da una conferenza, sempre di Paolo Pezzino, sui fatti del Duomo: il 22 luglio 1944, 55 persone morirono nella strage del Duomo di San Miniato a causa di una granata sparata -si discute ancora- dal 337º Battaglione d’artiglieria campale statunitense (versione dei fatti più accreditata dal 2004) o dalle truppe tedesche della Terza Divisione granatieri corazzati, allora in ritirata dalla cittadina (come sostiene ancora il Professor Pezzino).

La memoria deve fondare le sue radici nella conoscenza storica”, esordisce Pezzino, il quale auspica che il MUME aderisca alla rete “Paesaggi della memoria”, che riunisce 25 realtà museali in Italia, ad esempio la Fondazione Fratelli Cervi, il Museo Monumento al Deportato di Carpi, il Museo diffuso della Resistenza a Torino e, per venire alla nostra Regione, il Museo della Resistenza a Fosdinovo, quello della Deportazione di Prato, le Stanze della Memoria di Siena. “La Resistenza non ha unificato la memoria degli Italiani” afferma Pezzino “fare rete serve a questo, a unire i frammenti di una storia nazionale”.

In Italia manca ancora un museo della Resistenza, sebbene essa sia stata il più grande impegno civile della storia nazionale, perché alla fine della guerra l’Italia non è riuscita a riunirsi intorno alla memoria e alla condivisione ma si è divisa e ha fatto poco per sradicare il fascismo dalla coscienza degli Italiani”.

Ma evidentemente , anche pensando alle controversie relative alla costruzione del Museo della Resistenza a Milano, nella Casa della Memoria, sede attuale del Ferruccio Parri, la memoria della Resistenza resta divisa, perfino in seno a coloro che dovrebbero preservarla e onorarla.




Nuovi orari per visitare il Rifugio antiaereo della Martana a Massa

Si comunicano i nuovi orario del RAM – Rifugio antiaereo della Martana a Massa:

Fino al 14 settembre 2019:
tutti i venerdì e sabato sera dalle ore 21 alle ore 24.
Dal 21 settembre al 28 dicembre 2019:
tutti i sabato pomeriggio dalle ore 16 alle ore 18.



Ciao Angela! Ci ha lasciato la partigiana Liliana Benvenuti.

Si è spenta nella notte a 96 anni Liliana Benvenuti, “Angela” esponente del Comando di Divisione Arno-Potente e successivamente del Comando di Divisione Marte nei giorni della “battaglia di Firenze”. Avvicinatasi alla Resistenza come scelta di campo esistenziale, in nome di valori profondi, prima ancora che per consapevole coscienza politica, ne fu protagonista come staffetta e poi esponente, unica donna, del Comando di Divisione Arno-Potente, avviando quella formazione politica che la porterà sempre dalla parte degli ultimi.

Già presidente della sezione ANPI Oltrarno dopo la scomparsa di Enio Sardelli, ne aveva poi mantenuto la presidenza onoraria.

Nel 2011 aveva ottenuto il fiorino d’oro massimo riconoscimento della città. Era divenuta testimone instancabile della lotta di Resistenza, senza retorica, ma restituendola alla concretezza e all’umanità profonda delle scelte di tanti giovani, ragazzi e ragazze, di allora.

“Liliana Benvenuti la Partigiana Angela ha svolto un ruolo di decisiva importanza nella direzione del movimento partigiano di liberazione dal nazifascismo di Firenze. Una persona, una donna che in tutta la sua instancabile vita ha donato con generosità, intelligenza, straordinaria intensità umana una testimonianza preziosa ed unica soprattutto per la capacità di trasmettere memoria, passioni e grande gioia. I compagni e le compagne dell’ANPI di Bagno a Ripoli la tengono nel cuore.”
ANPI SEZ. “PIETRO FERRUZZI” DI BAGNO A RIPOLI

“LA PARTIGIANA ANGELA CI HA LASCIATO
E’ con immenso dolore che vi comunichiamo che stamani alle ore 01.30 la nostra cara Presidente Liliana Benvenuti, la partigiana” Angela ” ci ha lasciati.

Nata il 6 febbraio 1923, a vent’anni fece la scelta di lottare dalla parte dei più poveri, di rischiare la vita ogni giorno, contro quel regime che aveva portato alla guerra, contro le violenze fasciste e le deportazioni.

Coraggiosa ed affidabile, fece parte del Comando di Divisione Arno-Potente e successivamente del Comando di Divisione Marte.

Una vita spesa sempre dalla parte dei più deboli, che la portò, dopo la guerra, alla militanza attiva nel PCI e nell’Associazione Partigiani, e fino a pochi anni fa sempre presente nella attività della Sezione Oltrarno, dove le sue parole sono sempre state un contributo fondamentale cui fare riferimento.

Liliana sarà esposta oggi dalle ore 16.00 presso le Cappelle della parrocchia di S, Gervasio, le esequie avranno luogo domani venerdì 21 alle ore 15.00 sempre nella chiesa di S. Gervasio.”
ANPI SEZ. OLTRARNO

 




Un video degli studenti del “Salvemini Duca d’Aosta” di Firenze per ricordare i fratelli Rosselli

L’Istituto Statale di Istruzione Superiore “Salvemini Duca D’Aosta” di Firenze in collaborazione con la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli di Firenze, su progetto finanziato dalla Fondazione CR di Firenze, ha realizzato il film documentario: “Per esserci avvicinati troppo alla luce – un ricordo dei fratelli Rosselli” in occasione dell’ottantaduesimo anniversario dalla loro uccisione per mano dei sicari della Cagulle per ordine del governo fascista italiano il 9 giugno 1937 a Bagnoles de l’Orne in Francia. Carlo e Nello Rosselli sono stati i primi intellettuali italiani ad opporsi all’ascesa del fascismo prima e del nazismo poi. Li hanno combattuti attivamente con la penna e con le armi, sacrificando tutto il loro patrimonio, gli affetti, la carriera, la famiglia, condannati al confino e all’esilio, fino al tragico epilogo. Se la gente li dimenticherà avranno vinto i loro assassini. Se la gente manterrà vivo il ricordo del loro sacrificio, Carlo e Nello non saranno morti invano.”

Il video è stato realizzato dagli studenti della IV SIA guidati dai proff.ri Luigi Zezza e Angela Potenza




“Il 1917 in Toscana”, edita la pubblicazione frutto del lavoro di tutti gli Istituti della Resistenza toscani

È appena uscita per Pacini Il 1917 in Toscana, a cura di Roberto Bianchi e Andrea Ventura, prima pubblicazione frutto di un lavoro di studio e ricerca condotto da tutti gli Istituti toscani della Resistenza e dell’età contemporanea che per la prima volta hanno concorso insieme alla realizzazione di una comune pubblicazione, a partire da un convegno promosso dall’Istituto di Lucca in collaborazione con l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea, svoltosi a Firenze in occasione del centenario del 1917.

Esito dell’impegno degli Istituti e degli studi di tutti gli autori, il volume è soprattutto merito del lavoro costante svolto dai curatori: Andrea Ventura direttore dell’Istituto di Lucca e Roberto Bianchi, vicepresidente dell’Istituto toscano.

Il 1917 fu un anno di svolta per la Grande Guerra. Scandito dalle rivoluzioni in Russia, dall’intervento nel conflitto di nuovi paesi, da Caporetto, crisi alimentari, insubordinazioni e tumulti, anche per la storia della Toscana il 1917 fu l’inizio di un ciclo di proteste e rivolte che si sarebbe concluso nel dopoguerra.

Emersero nella scena pubblica nuovi attori e ideali capaci di incidere sui rapporti tra Stato e società in una fase cruciale dell’età contemporanea. Nelle diverse Toscane, mezzadrili, urbane o minerarie, dalla costa agli Appennini, dalle grandi città ai borghi sparsi, riemersero antiche forme della protesta intrecciate con pratiche di lotta inedite, mentre altri centri sembravano restare immobili.

Il volume ricostruisce queste vicende, fornisce un contributo inedito su temi spesso dimenticati e mette in rilievo culture, pratiche politiche, ideologie, relazioni sociali, linguaggi che segnarono l’ingresso della Toscana nel Novecento.

In allegato l’indice del volume.




L’Istituto storico della Resistenza di Pistoia alla terza conferenza AIPH

Per la terza volta consecutiva, il panel dell’Istituto storico della Resistenza di Pistoia è stato accettato dal comitato organizzatore dell’AIPH (Associazione Italiana di Public History) per il suo convegno annuale, che quest’anno si terrà a Santa Maria Capua Vetere dal 24 al 28 giugno.  Il titolo del panel, che sarà discusso il 24 giugno dalle 14 alle 15.30, è Comunicare la guerra e la Resistenza alle nuove generazioni: poste in gioco e prospettive.

Questo il programma:

Rinaldo Falcioni (Università Primo Levi di Bologna), Il Cobra sta fumando: il romanzo della FEB
Francesco Cutolo (Scuola Normale Superiore di Pisa), Il progetto “La guerra partigiana” a Pistoia. La didattica della Resistenza nelle scuole
Manuel Pereira (Monumento votivo ai caduti brasiliani della seconda guerra mondiale), Verso una concezione multiculturale e transazionale della guerra: la FEB in Italia

Coordina: Chiara Martinelli (Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Pistoia)