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Addio a Alfredo Enrichi, il partigiano Nicche.

La nostra redazione si unisce al cordoglio del Comune e delle comunità di Barberino e Tavarnelle Val di Pesa per la scomparsa del partigiano Nicche, lo scorso 8 gennaio, all’età di 95 anni.

La sobrietà, la semplicità, la tenacia, gli ideali di democrazia e libertà in cui credeva fermamente, sono i tratti umani e morali che noi insieme alla comunità di Barberino Tavarnelle riconosciamo e attribuiamo al partigiano Alfredo Enrichi, detto Nicche. Un piccolo grande eroe della Resistenza che si è reso protagonista negli anni del secondo conflitto mondiale per aver difeso con i principi di profonda umanità e lo spirito libero quel sogno italiano che per il contadino di origine mugellane di adozione sandonatina si realizzava nell’opposizione al nazifascismo e nella cultura democratica di un paese capace di guardare al futuro e garantire il rispetto e la tutela dei diritti umani.




La Toscana è antifascista e antinazista: torniamo dove è nata la nostra Costituzione.

La Regione Toscana ha redatto un libro dal titolo “Partigiani della memoria” che è un invito alla memoria rivolto ai giovani. Esso raccoglie post di Facebook pubblicati nell’anniversario di ciascuna delle stragi nazifasciste avvenute in Toscana fra il ’43 e il ’45. Gli episodi censiti dall’ Atlante delle stragi nazifasciste e fasciste in Italia avvenuti in Toscana sono 822  e hanno causato perlomeno 4457 vittime. Ma è stato scelto di raccontarne, 61 per rappresentare tutto il territorio regionale. Lo scopo è legato a rendere vivo e familiare ciò che per varie ragioni e inquietanti  interrogativi la nostra società e la nostra epoca tendono ad affievolire o a deformare: la memoria del passato. Infatti, se ci guardiamo intorno, se consideriamo il tempo in cui stiamo vivendo, non possiamo non scorgere numerosi segnali minacciosi e preoccupanti.  Assistiamo quasi quotidianamente al riemergere in tutto il mondo di fenomeni che richiamano vicende che speravamo sepolte per sempre, il risorgere di preoccupanti estremismi anche nel cuore dell’Europa dove sono tornate le discriminazioni l’antisemitismo, l’odio razziale. Per questo bisogna portare i giovani a diventare “partigiani della memoria” come dice Vera Vigevani, perché solo la conoscenza storica ci consente di ritrovare il senso delle stragi che investirono le nostre comunità, perché le vittime dei nazifascisti non riguardano solo quei luoghi e quel tempo ma ancora tutti noi, in periodi come quello attuale in cui di nuovo sentiamo inneggiare pubblicamente al ventennio fascista, celebrare il Duce a Predappio, fare il saluto romano nelle piazze, dichiararsi “francamente razzisti” e in cui, per giunta, certi discorsi sono fomentati anche da rappresentanti delle istituzioni che soffiano sul fuoco dell’incertezza, che usano la ricetta già nota di dare la colpa ad un nemico esterno, al diverso, all’Europa, che diventano il male da combattere. Per monitorare i comportamenti e le affermazioni che possono configurare l’apologia di fascismo o la discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi la Regione Toscana ha creato l’osservatorio in collaborazione con ANPI, ARCI, ANED, ISRT. Proprio per raggiungere i giovani, è stato indagato l’universo dei social, particolarmente permeabile al linguaggio dell’odio e delle fake news. Ed è proprio per utilizzare il linguaggio dei giovani, che il libro “partigiani della memoria” raccoglie i post di Facebook, per fare un buon uso di questo nuovo canale di informazione.




Toscana (unica regione in Italia) e Yad Vashem: Un protocollo per la Memoria

Una miglior conoscenza della storia della Shoah in Italia e in Europa con l’obiettivo “di promuovere una cultura basata sul rispetto reciproco che aiuti a prevenire e decostruire ogni forma di discriminazione, antisemitismo, razzismo, pregiudizio e xenofobia, lavorando insieme per difendere i diritti inviolabili delle persone e comunità”: queste le finalità del protocollo. E inoltre un impegno di valorizzazione e diffusione di una cultura di “pace, solidarietà, partecipazione attiva e democratica, giustizia sociale e dialogo, rispetto e tutela delle diversità culturali, sviluppo di capacità di risoluzione dei conflitti”, questi gli obiettivi del protocollo siglato negli scorsi giorni allo Yad Vashem tra il Memoriale della Shoah di Gerusalemme, l’Università degli studi di Firenze e l’Ufficio scolastico Regionale per la Toscana. Presente in sala anche Stefano Ventura, nuovo addetto scientifico dell’ambasciata italiana in Israele.
È stato inoltre creato, per desiderio del MIUR, un ristretto gruppo di ricerca, presieduto dalla professoressa Guetta e comprendente 5 o 6 docenti toscani, che hanno avuto esperienze di formazione presso Yad Vashem. L’obiettivo di tale team è di lavorare sulle linee guida della didattica della Shoah, redatte con decreto del MIUR n.  939 del 2017, chiedendosi che cosa significa studiare la Shoah oggi, in una realtà sconvolta ancora da tanti mali e atroci conflitti, atti di terrorismo pericolose e dolorose migrazioni. “Perché”,  “cosa”,  “come”  insegnare:  sono  questi  gli  interrogativi  che  si  pone il pool di docenti;  sono  queste  le  questioni  più  rilevanti  affrontate  in  ricerche, studi,  e  pubblicazioni. Senza alcuna pretesa di esaustività, il gruppo di ricerca toscano, intende proporre considerazioni e fornire informazioni e suggerimenti operativi per trattare un argomento che si è rivelato centrale per capire nonn solo il nostro passato di 80 anni fa,ma anche l’epoca recente in cui emergono sempre più prepotenti rigurgiti di xenofobia, tendenze anti popolo Romanì, antisemitismo, razzismo in generale. E’ solo dalla educazione che si può iniziare a combatterle.




“Lettere dal fronte”: un’iniziativa dell’ISREC Lucca per riflettere sulla Grande Guerra

Mercoledì 12 dicembre, presso la splendida cornice di Villa Argentina, decorata in un peculiare stile Art nouveau  da Galileo Chini, a Viareggio, si è tenuta la conferenza “Lettere dal fronte”, tenuta dal Professor Luciano Luciani, direttore del Museo Del Risorgimento di Lucca. L’incontro è stato organizzato dall’istituto storico della resistenza è dell’età contemporanea di Lucca, in coda alle attività che si sono tenute nell’ultimo mese e mezzo per celebrare la fine della grande guerra.

Dapprima il relatore ha tratteggiato le caratteristiche che hanno reso peculiare la Prima Guerra mondiale,  come l’uso delle mitragliatrici e del filo spinato (che i tedeschi iniziano da elettrificare già durante il primo conflitto) che separava le trincee, a volte distanti fra di loro solo 13 m. Poi sono stati citati i nuovi strumenti tecnologici, come i gas usati per la prima volta dai tedeschi nel aprile del 1915 sia sotto forma di gas soffocanti che di gas che provocano ulcere non sanabili sulla pelle. Infine arriva il carro armato a tracciare la fine dell’area del filo spinato. In seguito Luciani  afferma che la Prima Guerra mondiale è terminata per esaurimento a causa della implosione dell’esercito austro-ungarico. Poi il professore Luciani è entrato nel vivo della questione, trattando sella memorialistica che si è diffusa negli anni successivi alla guerra che è andata quasi a creare un nuovo genere letterario. Da un lato di essa se ne appropria il fascismo, per mostrare gli “eroi” della grande guerra, in continuità con i futuri eroi fascisti. Il primo libro non apologetico e non collegato al fascismo è quello di Adolfo Omodeo, storico del Risorgimento, arruolatosi come volontario nella prima guerra mondiale 1915, autore della raccolta di testimonianze di guerra, intitolata Momenti della vita di guerra, pubblicata nel 1934. Spesso a scrivere di memorialistica sono ufficiali di complemento, così come Emilio Lussu che nel 1938 pubblica il  romanzo “Un anno sull’altipiano”.

Bisogna aspettare il ’68 affinché venga affrontata la questione della fucilazione e della decimazione dei soldati italiani uccisi dai loro comandanti e generali. Interessante è il saggio scritto da Enzo Forcella e Alberto Monticone dal titolo “Plotone di esecuzione’ pubblicato nel 1972 da Laterza. In esso sono riportati gli oltre 300.000 processi, da cui emergono dati agghiaccianti sulla attività repressiva dei tribunali militari: condanne alla fucilazione per autolesionismo e per fuga dinanzi al nemico; lunghi anni di carcere per ‘propaganda sovversiva’, per ‘disfattismo’, per banali espressioni di insofferenza. Una raccolta, questa, che ha dato l’avvio a nuove strade di ricerca e aperto a una corretta e completa memoria nella cultura civile e di storia sociale.

Infine, Luciani ha segnalato come la maggior parte degli intellettuali europei fosse a favore della guerra, sebbene per motivazioni diverse alcune di carattere irredentistico.

Perfino una persona schiva e pacata come Saba, scrive una poesia bellicista come Congedo.

Solo Trilussa è una voce fuori dal coro con la sua poesia filastrocca scritta e 1914 titolata “La ninna nanna della guerra”.




Il ruolo della memoria: ricerca e disseminazione della Shoah

Il 29-30 Novembre si è tenuto presso la Scuola di Alti Studi di Lucca, un convegno di due giorni, organizzato dall’IMT in collaborazione con il MIUR dal titolo “Il ruolo della memoria: ricerca e disseminazione della Shoah”, in occasione dell’ottantesimo anniversario delle leggi razziali. Le lezioni sono state tenute dai proff. Paolo Coen, dell’università di Teramo, e Ilaria Pavan, della Scuola Superiore Normale di Pisa, fra i massimi esperti a livello nazionale e internazionale sul tema.

La lezione del Prof. Coen ha avuto un taglio innovativo e perciò interessantissimo. Egli, infatti, è docente di Storia dell’Arte Moderna e insegna Storia e teoria del Museo. La sua relazione, dunque, ha coniugato la Memoria della Shoah e la museologia.

Il desiderio di commemorare la Shoah è nato mentre essa era in corso. Infatti gli Ebrei iniziarono a pensare all’arte come strumento di testimonianza, per trasmettere la memoria di ciò che stava accadendo. Finita la guerra, il ruolo di guida sul piano della museologia fu ricoperto dal neonato stato di Israele (anche quando era ancora protettorato britannico) fra il 1947 e il 1949 attraverso la fondazione del museo dell’Olocausto nella cosiddetta Ghetto Fighters’ House e ancor di più tramite la creazione dello Yad Vashem, che ancora resta il più grande complesso museale e centro di documentazione sulla Shoah al mondo. Vengono poi ripercorsi vari Musei dell’Olocausto nel mondo, passando per Parigi, Berlino, Washington (i musei fuori da Israele iniziano ad essere costruiti dagli anni ’60) ed arrivando in Italia. A tale proposito è stato citato Primo Levi (Coen arriva a dire che la sua più grande opera d’arte non sono gli scritti ma l’allestimento del blocco 21 di Auschwitz), che insieme a Belgioso e Samonà ha progettato il memoriale italiano all’interno di Auschwitz1. Tale memoriale ha avuto una storia travagliata: smontato e rimosso dal luogo per il quale era stato ideato, per volere del direttore del Museo, con la pretestuosa motivazione di non essere in linea con le normative che prevedevano “un allestimento di taglio pedagogico-illustrativo”, alla fine è approdato a Firenze, dove però verrà montato in una sorta di hangar nello spazio ex Ex3 del quartiere Gavinana, in una zona commerciale, fuori città. Sempre per l’Italia Coen tratta in tono di encomio del Museo del Deportato di Carpi e si auspica la fine della realizzazione del Muse a Villa Torlonia e Roma e del MEIS a Ferrara.

La conferenza di Ilaria Pavan, corredata di documenti e strumenti biografici e critici, è iniziata trattando dell’emanazione dei primi decreti antiebraici fascisti nel settembre del 1938, visti come punto di approdo di un processo politico e ideologico, elaborato dal regime nel corso dei mesi e degli anni precedenti. Infatti a partire dall’epopea imperialista nel Corno d’Africa, il regime aveva iniziato a redigere leggi e normative di stampo razziale e coloniale, come quella del 5 agosto 1936 che di fatto introduce l’apartheid o il decreto dell’aprile ’37 “sanzione per i rapporti di indole coniugale fra cittadini e sudditi” (per contrastare il madamato). L’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 e l’istituzione della Repubblica Sociale di Salò nel tardo autunno del 1943 rappresentano poi altrettanti momenti di svolta e di ulteriore radicalizzazione di una legislazione antiebraica che si era dipanata e svolta nell’arco di sette anni.




Una conferenza sulla Bandiera nazionale ha chiuso il ciclo di conferenze sulla Grande Guerra presso la Biblioteca di Carrara

Giovedì 15 novembre, alle 17,30, presso la sala Gestri della Biblioteca Civica di Carrara, si è tenuto il quarto ed ultimo incontro pubblico per ricordare la fine della Prima Guerra Mondiale.

La conferenza, promossa da Apuamater e dal Comitato per la Valorizzazione dei Valori Risorgimentali, con il patrocinio del comune di Carrara, intitolata “La bandiera d’Italia” è stata dedicata alla nostra bandiera nazionale, il simbolo più alto della Patria che ha accompagnato i nostri nonni sui campi di battaglia di quell’immane conflitto.

Relatore dell’incontro l’Ammiraglio Enzo Menconi, che ha tracciato la storia della nostra bandiera da quella Cisalpina del 1794 all’articolo 12 della Costituzione: “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”. La storia della bandiera si è, dunque, snodata dalle vicende napoleoniche ai primi moti Risorgimentali, attraversando tante guerre e battaglie combattute per ottenere l’Unificazione della Nazione e giungere fino alla sua definitiva Liberazione.

Sotto il vessillo italiano, che ha cambiato più volte aspetto, s’è svolta la nostra storia nazionale per oltre duecento anni; per esso hanno combattuto e sono morti patrioti, volontari e soldati che hanno creduto nell’Italia come Patria comune. Conoscere la storia della nostra bandiera è un dovere di noi cittadini per imparare ad amarla e a difenderla.

Menconi ha sottolineato che la bandiera è il simbolo dell’unità e della concordia nazionale e non può e non deve essere considerata un simbolo di parte.




A Carrara presentato un libro per ricordare tutti i caduti nella Grande Guerra

Giovedì 8 Novembre si è svolta, presso la sala di rappresentanza del comune di Carrara, la presentazione del libro Mille non sono tornati di Ezio Della Mea e Enzo Menconi, organizzata dal comitato per la promozione dei Valori Risorgimentali di Massa-Carrara e dall’associazione Apua Mater.

Il volume ricorda tutti i caduti carraresi durante la Grande Guerra, 960 uomini ed una donna, Argentina Dell’Amico.

La ricerca è iniziata con la ricognizione delle lapidi nei 13 cimiteri carraresi, dopo lo spoglio al Ministero della difesa dell’albo d’oro dei caduti del ’15-’18.

Nel volume, a cui è allegato un CD con un data base, i caduti sono suddivisi per frazione di nascita e/o domicilio e se ne raccontano le vicessitudini militari, l’eventuale prigionia, le circostanze del ferimento e della morte e della inumazione.

Questo libro è un monumento cartaceo ai caduti di una guerra di cui questo anno si celebra la fine, da alcuni vista come la quarta guerra di indipendenza e comunque l’ultima di unificazione nazionale.

Biggi Ettore (1898 – 1917)

Biggi Vittorio (1897 – 1916)

Un esempio emblematico; due fratelli nati ad un anno di distanza e morti ad un anno di distanza: il primo dichiarato disperso in combattimento sull’altopiano di Asiago, il secondo morto di broncopolmonite a Novale. Nel cimitero di Marcognago li ricorda una lapide posta dalla famiglia.




La Chiesa fiorentina e il soccorso agli ebrei: una storia speciale ricostruita dall’ISRT

Firenze, 6 novembre 2018 – C’è una storia speciale di solidarietà che attraversa le pagine dolorose delle persecuzioni ebraiche del 1943-1944 in Italia. È quella che viene scritta a Firenze dove, grazie alla scelta coraggiosa del cardinale Elia Dalla Costa e di un gruppo di esponenti del laicato cattolico, nasce una vera e propria rete di soccorso nei confronti di uomini, donne e bambini diventati preda di una persecuzione belluina.

Questa storia viene approfondita nel volume La Chiesa fiorentina e il soccorso agli ebrei (Luoghi, istituzioni, percorsi 1943-1944), curato da Francesca Cavarocchi ed Elena Mazzini e voluto dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea.

Il libro è stato presentato alla stampa questa mattina nella sede dell’istituto dal direttore Matteo Mazzoni, da Elena Mazzini e dalla storica Marta Baiardi, collaboratrice dell’istituto. Con loro due preziosi testimoni, Umberto Di Gioacchino e Guidobaldo Passigli, bambini che furono messi in salvo grazie all’alleanza tra la Chiesa cattolica e le organizzazioni ebraiche.

Questa ricerca risponde alla necessità di restituire verità alla storia, anche a fronte di certe attuali tendenze negazioniste – ha sottolineato Mazzoni – Fu una questione di scelta, ci furono italiani che scelsero di proteggere e difendere, senza curarsi di identità, religione, costumi. Altri invece denunciarono amici e conoscenti. E i fascisti furono soggetti attivi nella deportazione e nel progetto di morte che perseguiva”.

Decisivo e singolare è il patto di collaborazione tra la diocesi e la Delasem (Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei), l’organizzazione ebraica attiva anche nel resto d’Italia che entra in clandestinità dopo l’8 settembre – ha spiegato la curatrice Mazzini – A Firenze, come a Genova, diversamente dalle altre città italiane, si forma un comitato misto di cattolici ed ebrei che organizza la protezione, gestisce i nascondigli, provvede alla sussistenza”. La rete era collegata anche all’attività partigiana del Partito d’Azione e alla Chiesa Valdese.

Le curatrici ricostruiscono, con dovizia di particolari umani e storici di valore inestimabile, la mappa dove sono segnalati ben 42 luoghi di rifugio nell’area urbana di Firenze. Luogo per luogo, nome per nome viene recuperata l’intera memoria di quei mesi in cui follia disumana, disperazione, solidarietà e coraggio si intrecciano. L’impegno di protezione riguarda molte famiglie della comunità ebraica fiorentina ma anche diversi profughi arrivati a Firenze dal nord Italia e da Oltralpe, in particolare dalla Francia.

Storie come quella di Guidobaldo Passigli e Umberto di Gioacchino non sarebbero venute alla luce senza il contesto della ricerca documentaria intrecciata con le fonti di memoria”, ha aggiunto Marta Baiardi, che ha curato la raccolta e l’analisi delle oltre 70 memorie di ebrei fiorentini.

Caritas e potestas – È la Chiesa della caritas e non certo quella della potestas, che scrive questa pagina di storia. La solida rete di assistenza e protezione è composta da parrocchie, conventi e monasteri. Parroci, religiose e monache – le donne avranno un ruolo da vere protagoniste – aprono le porte delle loro comunità.

Storie di salvezza – Tra i nomi dei bambini messi in salvo ci sono anche quelli di Umberto Di Gioacchino (1941) e di Guidobaldo Passigli (1939). Umberto Di Gioacchino fu protetto nel Convento delle suore di Santa Marta a Settignano, convitto e orfanatrofio guidato da madre Benedetta Vespignani. Rimase in convento dal 6 novembre 1943 all’aprile 1944, quando un’amica cattolica dei genitori andò a prenderlo per condurlo nel loro nascondiglio presso Colle di Compito in provincia di Lucca.

Per Guidobaldo Passigli, sua nonna Daria Modena Mondolfi, a cui si aggiunse dopo qualche mese la madre Albana Mondolfi Passigli si aprirono le porte dell’Istituto delle suore del patrocinio di Perugia, in via del Guarlone, guidato da suor Rosaide della Madonna di Pompei (Vincenza Orlando). Era stato il parroco di Grassina, don Dino Vezzosi, a indirizzare Albana Mondolfi a quel luogo. Entrambe le donne vestivano l’abito delle suore.

I protagonisti – Il coinvolgimento della Chiesa fiorentina nel soccorso agli ebrei inizia intorno alla metà di settembre 1943, quando il cardinale Elia Dalla Costa viene contattato dagli esponenti della Delasem locale, impegnata nell’assistenza dei profughi giunti nel capoluogo toscano da vari paesi dell’Europa occupata e costretta alla clandestinità all’indomani dell’armistizio. Dalla Costa accetta di collaborare e delega al suo segretario, monsignor Giacomo Meneghello, il ruolo di referente arcivescovile per il comitato di soccorso ebraico-cristiano. La Curia diventa così, tra fine settembre e ottobre, luogo di prima accoglienza specie per gli ebrei profughi dalla zona di occupazione in Francia. Fra gli esponenti ebrei del comitato c’erano Raffaele Cantoni, il rabbino capo Nathan Cassuto, Matilde Cassin, Hans Kahlberg, le sorelle Wanda e Luciana Lascar, Aldo Tedeschi, Giuliano Treves, e Joseph Ziegler, tra i cattolici c’erano don Leto Casini, parroco di Varlungo e padre Cipriano Ricotti, domenicano del convento di San Marco.

Presentazione il 26 novembre – Il volume sarà presentato lunedì 26 novembre 2018, alle ore 16,30 nella sala convegni della Fondazione biblioteche della Cassa di risparmio di Firenze (via Bufalini, 6). L’introduzione è affidata a Donatella Carmi (vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio), Felice Neppi Ventura (presidente dell’Associazione ebraico-cristiana) e Simone Neri Serneri (presidente dell’Istituto storico della Resistenza). Seguono gli interventi di Daniele Menozzi (Scuola superiore Normale di Pisa), Valeria Galimi (Università di Milano), Paolo Zanini (Università di Milano). Il testo, pubblicato da Viella Edizioni con la presentazione di Giulio Conticelli, contiene i contributi di Gilberto Aranci, Marta Baiardi, Bruna Bocchini, Anna Foa, Renato Moro, Liliana Picciotto e Ida Zatelli. La pubblicazione è stata realizzata con il contributo del ministero per i Beni e le Attività culturali, della Fondazione Cassa di risparmio di Firenze e dell’Amicizia ebraico-cristiana di Firenze.

Caterina Fanfani Giornalista | mob 3295833768 | e-mail fanfanicaterina@gmail.com
Moira Pierozzi Giornalista | mob 3295833769 | e-mail moira.pierozzi@gmail.com