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L’Assemblea dei soci ISRT approva i Bilanci 2020 e 2021 all’unanimità.

Giovedì 29 aprile, in modalità online, l’Assemblea dei soci, dopo aver ascoltato le Relazioni del Presidente Giuseppe Matulli, del Direttore Matteo Mazzoni, del Presidente del Collegio dei Sindaci revisori rag. Alessandro Basegni ha approvato all’unanimità il Bilancio Consuntivo 2020 e preventivo 2021.

Diversi soci ha espresso viva gratitudine al direttore Mazzoni per il lavoro svolto e generale è la soddisfazione per come l’Istituto ha affrontato la pandemia e le sue difficili conseguenze nel corso del 2020 e dei primi del 2021. Il Direttore Mazzoni ha ricordato le criticità attuali dovute alle conseguenze economiche della crisi sanitaria sul Bilancio della Regione. L’Istituto presenta una situazione patrimoniale solida ma è fondamentale per l’esercizio in corso che sia completata l’erogazione del contributo ordinario previsto dalla regione Toscana. Il direttore ha anche evidenziato gli aspetti strategici essenziali per l’attività dell’Istituto: tutela e promozione del patrimonio, sviluppo di attività di ricerca, didattica e promozione della conoscenza storica sia in modalità online che, auspicabilmente, in presenza, sviluppo di politiche di collaborazione e rete con le diverse realtà culturali e istituzionali del territorio, proseguendo quanto fatto in questi anni. Il Presidente Matulli concludendo i lavori ha sottolineato la necessità che l’Istituo affronti il nodo del potenziamento della propria struttura organizzativa per far fronte ai crescenti impegni e alle sfide in atto.




UNA PER TUTTI. Le donne di ieri, la comunità di oggi: si parte con tre grandi donne della Resistenza

Una per tutti è il progetto dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, realizzato grazie al contributo di Fondazione CR Firenze nell’ambito di “Partecipazione culturale”, il Bando tematico che la Fondazione dedica al sostegno di programmazioni culturali finalizzate a potenziare la partecipazione attiva della comunità locale e l’inclusione sociale delle periferie.

Due cicli da tre incontri ciascuno a partire da una donna che ha contribuito attivamente alla costruzione della democrazia e della cultura del nostro Paese: Tosca Bucarelli, Teresa Mattei, Anna Maria Enriques Agnoletti, Daisy Lumini, Laura Orvieto e Margherita Hack.

Le racconteremo attraverso gli interventi di espert*, le performance artistiche della cantautrice Letizia Fuochi e attraverso le voci della memoria, cittadin* volontar* che si trasformeranno in Messaggeri di Memoria, consegnandoci le loro storie e tratteggiando – attraverso la loro partecipazione attiva – un momento storico e culturale di grande importanza.

Il primo ciclo, sulla Resistenza, comincia il 22 maggio: sono alcune delle figure più note della Resistenza fiorentina le protagoniste del primo ciclo di incontri di Una per tutti. I tre appuntamenti vedranno l’intreccio fra una conferenza e momenti affidati a quelle/quei cittadine/i (di qualunque fascia d’età) che hanno accolto il nostro appello a diventare Messaggeri di Memoria, consegnandoci le loro storie e tratteggiando – attraverso la loro partecipazione attiva – un momento storico e culturale di grande importanza. Saranno coordinate/i e guidate/i dalle performance artistiche della cantautrice Letizia Fuochi.

Di seguito il calendario degli incontri e la mail per iscriversi (prenotazione obbligatoria):

Una per tutti_calendario




Il Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza riapre al pubblico domenica 2 maggio

Il Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza riapre al pubblico domenica 2 maggio.

In conformità con le disposizioni del nuovo DPCM del 22/04/2021 il Museo riapre al pubblico – anche nel fine settimana ma solo su prenotazione – con il seguente orario ed ingresso gratuito:

durante la settimana: dal lunedì al venerdì ore 9.30-12.30 e lunedì e giovedì ore 15.00-18.00

il fine settimana: sabato ore 16.00-19.00 – domenica 9.30-12.30 e 16.00-19.00

L’ingresso durante il fine settimana è consentito solo su prenotazione telefonando al numero 0574 461655 ; dal lunedì al venerdì mattina ore 9-13, oppure scrivendo a info@museodelladeportazione.it.

Saranno prese in considerazione le richieste che arriveranno entro le ore 13 del venerdì.

 

In occasione della riapertura offriamo anche due visite guidate gratuite su prenotazione: giovedì 6 e giovedì 20 maggio alle ore 15.30.

Mercoledì 2 giugno  – FESTA DELLA REPUBBLICA – apertura straordinaria anche il pomeriggio (9.30-12.30 e 15.00-18.00) con visita guidata gratuita su prenotazione alle ore 15.30.




Una sede per l’Isgrec – Campagna di crowdfunding

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25 aprile: confronto “virtuale” a Pisa sulla Resistenza.

Virtualmente a Pisa si è svolto il dibattito sul 25 aprile che ha visto coinvolti il sindaco di Sant’Anna di Stazzema, Maurizio Verona, la Professoressa Anna Loretoni, docente ordinaria di filosofia politica presso la  Scuola universitaria superiore Sant’Anna di Pisa, Preside della Classe Accademica di Scienze Sociali, coordinatrice del Phd in “Politics, Human Rights and Sustainability”, il Professore Paolo Pezzino, professore emerito di storia contemporanea all’Università di Pisa e Presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri.

Dapprima è intervenuto il sindaco di Sant’Anna di Stazzema sulla proposta di legge di iniziativa popolare -di cui si è fatto promotore-  contro la propaganda fascista e nazista “Norme contro la propaganda e diffusione di messaggi inneggianti a fascismo e nazismo e la vendita e produzione di oggetti con simboli fascisti e nazisti”.

La nostra proposta è andata ben oltre le aspettative che erano quelle di raccogliere 50.000 firme. E’ straordinario essere riusciti a raccoglierne già 240 mila, oltretutto in una circostanza anomala come quella della pandemia e senza l’aiuto dei media ma solo con quello di tante associazione e di qualche sindacato. Le firme verranno consegnate il 29 aprile al Parlamento, sperando che non facciano la fine delle carte chiuse nell’armadio della vergogna, che hanno procrastinato di 60 anni il processo per la strage di Sant’Anna di Stazzema”.

Il sindaco sottolinea poi che la creazione della anagrafe antifascista è una iniziativa non politica ma del popolo come fu il movimento partigiano.

Prende poi la parola il Professor Pezzino dicendo che la Resistenza è un fenomeno così complesso che è meglio parlare di resistenze al plurale, perché non ci sono solo i partigiani combattenti la “guerra di guerriglia” ma ci sono state anche resistenze civili, le resistenze senza armi, come quella dei 600.000 IMI, come quella delle donne che Anna Bravo ha chiamato “manutentrici della vita”, gli antifascisti politici, i sacerdoti (basti pensare al parroco di Sant’Anna di Stazzema o ai monaci della Certosa di Farneta) i deportati razziali, i partecipanti agli scioperi del ‘44.

Sul ruolo delle donne nella Resistenza interviene anche la Professoressa Loretoni dicendo “nella resistenza sono diventate cittadine ancora prima di acquisire diritto di voto !”. Poi afferma che le partigiane hanno iniziato tardi a raccontare la loro esperienza, ad esempio che il loro ruolo di combattenti non sempre era ben visto, perché rompeva lo stereotipo della donna come “angelo del focolare”, quindi erano spesso relegate al ruolo di staffetta, o attive nella “cura della vita”, ma anche nella vita,  ad esempio lavorando nelle fabbriche.

Riprende poi la parola Pezzino dicendo che il merito della Resistenza è anche quello di aver mostrato che vi erano degli italiani disposti a rischiare la vita per la liberazione del proprio paese. Basti pensare al fatto che molte città furono liberate prima dei partigiani che dagli alleati.

Quanto ai nemici della Resistenza, sono stato in primis i fascisti repubblicani e poi coloro che si sono rinchiusi nella sfera privata rinchiusi nella “indifferenza” di cui tanto parla anche la senatrice Liliana Segre.

Abbiamo avuto tanti indifferenti anche nel ’38 di fronte alle leggi razziali, firmate proprio qui a Pisa, a San Rossore. Anche le autorità accademiche pisane di fronte alle leggi razziali, che espellevano studenti e docenti ebrei, hanno spesso avuto un comportamento indifferente se non deplorevole , e non solo non hanno solidarizzato con i colleghi ebrei espulsi, ma si sono spartite le loro cattedre e dopo la guerra non hanno agevolato rientro dei loro colleghi. Per fortuna a Pisa fra Scuola Normale Superiore e Università vi sono stati docenti come Calogero e Capitini, che hanno cercato comunque di influire sulle coscienze degli studenti. “E poi dobbiamo ricordare Cesare Salvestroni, che nel ‘27 è stato cacciato dall’Università di Pisa perché si era rifiutato di prendere la tessera del PNF. Avrebbe contribuito inseguito alla fondazione del Partito d’Azione in quella città e fatto parte del CLN. Venne arrestato l’11 marzo ’44 e rinchiuso nel carcere di Firenze dove sostenne numerosi interrogatori e torture, senza rivelare notizie compromettenti per la Resistenza. Fu perciò inviato prima nel lager di Mauthausen e successivamente in quello di Ebensee dove morì il 2 marzo ’45 a seguito dei maltrattamenti subiti”.

La professoressa Loretoni sottolinea come nel partecipare alla Resistenza ci sia stata una scelta soggettiva e personale, e cita il discorso di Aldo Moro a Bari nel 1975, in occasione del trentennale della Resistenza, da cui emerge la consapevolezza che la resistenza fu lo scatto di un popolo ribelle che volle riprendersi la sua libertà.

Purtroppo oggi la democrazia, ancora più di 10 – 20 anni fa, è sottoposta a tante sfide che ne minano le stesse radici, così come espresse dalla Costituente, perché la democrazia non è solo una forma di governo.

Prendiamo ad esempio il populismo che sfida l’istituzione del Parlamento e il concetto della democrazia rappresentativa”. Si nota una regressione nella valorizzazione delle differenze e del pluralismo; e questo non solo in Italia ma anche in Europa, basti pensare alla Ungheria di Orban e alla sua teorizzazione di una “democrazia autoritaria” e a molti paesi del gruppo di Visegrad. Adesso ls democrazia è in pericolo in molti paesi, apparentemente democratici, del mondo: la Russia, la Cina, la Turchia, l’India.

E ciò che più preoccupa è che i modelli che sfidano la democrazia fanno molta presa suoi giovani, che preferiscono  governi autoritari che non garantiscono diritti politici e ritengono ormai desueto andare a votare e mettere con una matita una croce su una scheda di carta”.

Pezzino aggiunge che oggi i nemici della Resistenza sono tutti coloro che si oppongono  al 25 aprile, considerandolo una data divisiva. Ma non è così. “La Resistenza è la festa di tutti, tanto che ha dato la possibilità di parola anche a coloro che ora denigrano il 25 aprile o non la riconoscono e non la vogliono celebrare”.

Ma proprio su questa conclusione si collega Bruno Possenti, Presidente provinciale della ANPI di Pisa, a dare una grave notizia che arriva come un cazzotto al ventre della democrazia e uno sputo in faccia alla libertà.

Come già nel 2017, lo stesso giorno , cioè il 23 di aprile, è stato divelto il primo dei pannelli di  “vialibera”, un percorso di 27 pannelli, creato a Pisa, nella memoria dell’antifascismo, della Resistenza, della liberazione e della ricostruzione.

Uno sfregio mirato ad orologeria”, lo definisce Possenti.

E capiamo ancora di più dopo questo gesto quanto bisogno ci sia ancora del 25 aprile.




“Come si diventa nazisti” Una nuova proposta didattica.

In un periodo dell’anno scolastico in cui gli studenti delle classi quinte affrontano i temi storici inerenti i regimi totalitari, l’iniziativa promossa da A.P.I.S.) (Amore per il sapere) e l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (Rete degli Istituti della Resistenza e dell’età Contemporanea) offre un importante momento di riflessione per tentare di spiegare perché in tanti si sono riconosciuti in ideologie nazionaliste, razziste, antidemocratiche e si propone di fornire a studenti e docenti interpretazioni aggiornate sui regimi fascisti, per comprendere le cause del loro affermarsi nell’Europa del dopoguerra.

Il 12 Aprile 2021, dalle 11:00-12:00, si è tenuto un evento didattico in diretta streaming per le classi quinte delle Scuole Superiori dal titolo “Come si diventa nazisti?” a cui hanno aderito oltre 120 docenti, (dati toscani), per un totale di 3.000 studenti. Sono intervenuti gli storici Paolo Pezzino (docente emerito di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa, già membro della Commissione storica italo-tedesca istituita nel 2008) e Daniel Lee (Docente di storia contemporanea presso la Queen Mary University of London).

La parte più ampia dell’incontro è stata costituita dalla lezione del Prof. Pezzino “Il primo dopoguerra in Europa e l’affermarsi dei regimi fascisti”.

Riassumiamo qui la relazione del Prof-Pezzino.

 La prima immagine del Novecento che balza agli occhi di chi lo osservi alla sua conclusione è quella di un secolo di enormi distruzioni, di grandi eccidi.

Il 1914, anno nel quale scoppiò il primo conflitto che fu poi definito ‘mondiale’, rappresenta indubbiamente una cesura.

La prima guerra mondiale fu dunque uno spartiacque non soltanto per il numero enormemente accresciuto dei morti e feriti, ma perché rappresentò il primo esempio di “guerra totale” in cui anche i civili diventano oggetto delle mire distruttive delle potenze avversarie.

La guerra del 1914-18 si concluse con circa 8,5-10 milioni di morti.

Ma non sono solo le guerre a caratterizzare il secolo come violento: al Novecento appartengono anche le stragi per motivi razziali, etnici e di classe, nonché lo sradicamento di intere popolazioni dalla loro terra per spostamenti di confini nazionali. Non è un caso che in questo secolo sia stato coniato il termine “genocidio”, per indicare lo sterminio programmatico di un gruppo etnico da parte di un potere statale.

Il primo genocidio “moderno” è rappresentato dalla strage di armeni compiuta dai turchi nel 1915-1916. Furono uccisi circa due terzi della minoranza armena vivente nel territorio dell’Impero ottomano: da un milione a un milione e mezzo di persone.

Indubbiamente il genocidio più “esemplare” è rappresentato dallo sterminio degli ebrei attuato dalla Germania nazista fra il 1941 e il 1945: oltre cinque milioni di ebrei assassinati, cioè circa i due terzi degli ebrei d’Europa. Ma non solo gli ebrei furono vittime della barbarie nazista, e non solo il nazismo attuò stermini di massa.

Sistemi politici fondati sull’uso generalizzato della violenza nei confronti di particolari gruppi etnici o di particolari gruppi sociali sono una caratteristica del ventesimo secolo. Ad esempio, in Unione Sovietica vennero deportati e sterminati interi gruppi sociali. per esempio, milioni di contadini a partire dal 1930, nel corso del processo di collettivizzazione forzata.

Ma massacri si sono ripetuti anche nella seconda metà del secolo: in Cambogia il regime comunista di Pol Pot ha sterminato, tra il 1975 e il 1979, da uno a due milioni di Cambogiani, su una popolazione stimata in 6-7 milioni.

In altri paesi sono stati i comunisti ad essere massacrati: così in Indonesia furono circa 500.000 i comunisti uccisi nel 1965 nel corso del colpo di Stato che portò al potere il generale Suharto.

I massacri a carattere etnico non sono un ricordo del passato: in Ruanda nel 1994 sono stati sterminate centinaia di migliaia di cittadini di etnia tutsi da parte dello stato controllato dall’etnia hutu, e nei territori dell’ex Jugoslavia, nel corso del processo di definizione dei confini dei nuovi stati sorti dalla disgregazione della Jugoslavia, sono state messe in atto, a partire dal 1992, operazioni di “pulizia etnica”, basti pensare al genocidio di Srebrenica.

Oggi ci sorprende che gli Stati nazionali abbiano potuto convincere milioni di persone a prestare servizio negli eserciti, e la guerra abbia trovato, almeno inizialmente, vasti consensi in quasi tutti i paesi. Il fatto è che ottenere la fedeltà alla nazione da parte di tutti i cittadini aveva rappresentato nel corso della seconda metà dell’Ottocento uno dei maggiori obiettivi degli Stati nazionali. L’aggressiva propaganda nazionalista che accompagnava le politiche imperialistiche delle grandi potenze era penetrata a livello di massa.

Un altro punto è l’identità: l’identità nazionale può fondare sentimenti di solidarietà nei confronti dei propri concittadini ma può essere concepita in maniera esclusiva, dando origine a gravi conflitti: in generale, più le identità sono percepite come forti ed integrali più sostengono comportamenti individuali e collettivi in cui alla solidarietà subentra l’esclusione di chi non condivide quell’identità, sia essa nazionale, ideologica, religiosa, etnica, e la capacità razionale dell’individuo viene offuscata dall’esaltazione di chi si sente protagonista di grandi processi storici: alla nazione subentra allora il nazionalismo, alla passione politica il fanatismo ideologico, alla fede l’integralismo religioso.

L’identità nazionale agli inizi del secolo era considerata in modo totalizzante ed esclusivo, non era sottoposta a considerazioni umanitarie. L’identità di un popolo si opponeva a quella degli altri. L’“altro” popolo diventava il nemico, da annientare in quanto tale. L’indifferenza per la vita delle popolazioni civili dei paesi avversari, quando non l’aperto disprezzo nei loro confronti, rappresentò perciò una costante nelle guerre del secolo.

Si fece strada l’idea che nella lotta politica si potesse usare contro l’avversario la stessa brutalità che in guerra era stata sperimentata contro il nemico. Il fanatismo della nazionalità sarebbe stato ben presto affiancato dal fanatismo dell’ideologia.

L’esperienza della guerra di massa causò, direttamente o indirettamente, l’emergere di sistemi politici fondati su ideologie che si definiscono totalitarie.

Il termine compare a partire dagli anni Venti, per individuare le caratteristiche dello stato fascista in Italia. Tuttavia viene utilizzato soprattutto per definire i caratteri della Germania nazista e dell’URSS staliniana.

Per totalitarismo si intende un regime politico caratterizzato dalla dittatura di un unico partito e dall’uso generalizzato del terrore. Nei regimi totalitari poi prevale la volontà di un capo assoluto, che controlla non solo il partito unico ma anche l’apparato statale, che perde ogni autonomia, e quello terroristico, rappresentato da una polizia segreta onnipotente.

I regimi totalitari sono guidati da un leader carismatico, e promuovono un’ideologia ufficiale, che riguarda tutti gli aspetti della società alla quale viene imposta, e pretende di costruire una società “nuova”. Essi si differenziano dalle dittature del passato perché puntano ad una mobilitazione continua delle masse, dalle quali vogliono ottenere un consenso forzato, compatto e monolitico, e presuppongono dei moderni mezzi di comunicazione di massa: infatti tutti gli strumenti di propaganda e comunicazione, dalla stampa alla radio e al cinema, sono controllati dal regime, e viene colpita qualsiasi forma di libertà di espressione.

I regimi totalitari tendono a controllare anche l’attività economica del paese, tramite la statizzazione di tutti i mezzi di produzione, come nel caso dell’URSS, o l’obbligo a partecipare agli obiettivi economici fissati autoritariamente dallo stato, come in Germania

Il totalitarismo può essere quindi considerato una forma di dominio politico basato su un’ideologia ufficiale imposta alla società, su un partito unico, sul potere assoluto di un capo, sul terrore poliziesco e sul controllo dell’economia e dei mezzi di comunicazione di massa.

Attorno a questo concetto i popoli d’Europa si dilaniarono. Nonostante l’ostilità manifestata nei confronti di una nuova guerra dalle popolazioni ancora memori degli orrori della prima, gli stati liberali e democratici si convinsero a scendere in campo contro la Germania nazista e i suoi alleati quando apparve evidente qual era la posta in gioco: lottare contro il fanatismo della nazionalità, dell’ideologia della razza che volevano imporre nell’intero spazio europeo.

Gli ultimi 10 minuti dell’incontro sono stati dedicati alla presentazione del libroLa poltrona della SS – La vicenda di Robert Griesinger”, di Daniel Lee storico esperto della seconda guerra mondiale in Francia e Nordafrica. Il libro sembra insieme un romanzo, un giallo, un manuale di buon uso di metodo storico.

La vicenda parte dal ritrovamento fortuito dell’imbottitura di una poltrona di documenti appartenenti ad un membro delle S.S., Robert Griesinger.  Lee trova a casa di una signora olandese una poltrona riempita di documenti con svastiche; la proprietaria della poltrona era di Praga ma si era trasferita negli anni ‘70 in Olanda e lì aveva comprato mobilio usato, fra cui la poltrona ed era del tutto ignara del contenuto della imbottitura. Tutti i documenti appartenevano a un funzionario nazista che lavorava a Praga ma era di Stoccarda da parte di madre e americano da parte di padre.

Lee, da detective e storico insieme, si mette sulle tracce di Griesinger e riesce ad entrare in contatto con il ramo americano della sua famiglia. Viene così in possesso anche del diario della madre dal quale si capisce che il figlio nel ‘33 non era ancora nazista ma era interessato a partiti conservatori e odiava il comunismo. Si era poi sposato con una ricca industriale del caffè da cui aveva avuto due figlie: Ida e Barbara. Lee riesce a parlare anche con loro, anzi sono loro che, totalmente all’oscuro del passato del padre, morto nel ’45, fanno domande a lui e cercano di ricostruire chi era il padre una settantina di anni dopo. Si domandano «come mai nostro padre era nazista?», «come mai entrato nelle S..S.?»,  «Come mai era membro della Gestapo?».

Ovviamente Lee non può dare una risposta a queste domande…

Conclude l’intervento il Prof.Pezzino rispondendo ad un’alunna della Professoressa Nencioni, che ha realizzato il collegamento dal Liceo Chini Michelangelo di Lido di Camaiore (LU), che gli chiede «cosa vuol dire fare storia?».

«fondamentalmente per fare storia bisogna partire da documenti, poi si integrano con la storia orale. Bisogna sempre sottoporre la memoria a un vaglio critico e contestualizzare con onestà la propria ricerca e mai fidarsi di ciò che ti raccontano gli altri, soprattutto in epoca web di fake news».




A scuola di Europa! Un progetto didattico della Domus mazziniana

La Domus Mazziniana è un organismo pubblico di ricerca appartenente alla Rete degli Istituti Storici Nazionali, coordinata dalla Giunta Centrale per gli Studi Storici e svolge la propria attività didattica e formativa, in stretta collaborazione con l’Università di Pisa e il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca. A partire dall’anno scolastico 2018/2019 è operativo un Protocollo d’Intesa specifico tra la Domus Mazziniana e l’Ufficio Scolastico regionale della Toscana per la realizzazione di attività didattiche e formative su tutto il territorio regionale. L’Istituto svolge la propria attività didattica prevalentemente nell’ambito della Storia contemporanea, dell’Educazione Civica e della metodologia e didattica della storia.

 centrale è l’impegno per promuovere una più consapevole conoscenza dell’Europa e del valore del suo processo di unificazione. Gli sviluppi della recente epidemia di coronavirus hanno evidenziato una volta di più quanto l’Europa sia centrale nella vita di tutte e tutti noi. Eppure quanti cittadini conoscono l’effettivo funzionamento dell’Unione Europea e la storia del processo d’integrazione europeo dalla Giovine Europa e dal Manifesto di Ventotene sino alle recenti crisi che sembrano mettere in discussione le fondamenta stessa dell’UE. Il percorso didattico elaborato dalla Domus propone a partire da una riflessione sul concetto di Europa, una introduzione alle principali fasi del processo di integrazione europeo e del funzionamento delle istituzioni comunitarie.

Su libera e pregevole iniziativa dei rappresentanti degli studenti il liceo Chini-Michelangelo di Lido di Camaiore, coordinati dalla Professoressa Nencioni dalle ore 12 alle ore 13.45 si è tenuta la conferenza del Professore Pietro Finelli, a cui hanno partecipato in webinar 186 studenti, socraticamente consapevoli della loro ignoranza sull’Unione Europea, istituzione tanto fondamentale quanto biasimata e comunque troppo sconosciuta.

 La Prof.ssa Nencioni ha introdotto l’importante relatore: Pietro Finelli. Docente di materie letterarie alle superiori. Direttore della Domus Mazziniana. Ha studiato all’Università di Pisa, alla Scuola Normale Superiore, al Sant’Anna e all’ Ècole des hautes études en sciences sociales a Parigi.   E’membro del comitato scientifico cesue.eu spin off del sant’Anna che si occupa di politiche europee e global governace. Ha svolto attività di ricerca presso il centro studi sul federalismo di Torino. Si occupa di educazione alla cittadinanza europea.

 Il relatore, a dimostrazione dello scarsissimo interesse per l’UE, ha citato un dato del 2013: la famosa trasmissione televisiva Porta a Porta ha dedicato all’UE l’1,3% dei servizi andati in onda, mentre ben il 5,4 % al Mago Otelma!

Ad ulteriore dimostrazione della ignoranza dei giovani (e non solo) nessuno dei 158 studenti connessi nessuno ha saputo riconoscere le foto Charles Michel, Christine Lagarde, Ursula von Der Leyen, Davide Sassoli, cioè le più importanti cariche dell’UE: rispettivamente presente del Consiglio europeo, presidentessa della Banca Centrale Europea, presidentessa della Commissione europea e Presidente del Parlamento europeo.

 Eppure l’Europa è ben viva in mezzo a noi: il 30% delle leggi italiane sono norme approvate dall’UE e quasi i due terzi dei DCPM riguarda direttive o decisioni UE su Giustizia e Affari interni.

 Ma che cosa è l’Europa? Sono state tentate varie definizioni…. Geografia: ma se la continuità fra Europa e Asia è praticamente assoluta? Ma anche la definizione culturale per distinguere l’Europa è valida? NO! E neppure la definizione religiosa, basta sull’ unità cristiana, perché in Europa ci sono popolazioni musulmane, come gli Albanesi, e molti immigrati di varie fedi. Allora definiamo l’Europa la culla dei diritti umani? Ma essi sono universali! Come già sancito dalla della costituzione francese del 1799.

Insomma, qualsiasi definizione è inadeguata per l’Europa! “Une sorte d’ object politique non identifiè” è questa è la risposta del presidente della Commissione europea Jacques Delors nel 1985 che tradotto vuol dire “un oggetto politico non identificato” cioè un UFO.

 Allora, seriamente, possiamo definire l’UE un’istituzione sovrannazionale sui generis. Ha elementi statuali e parastatuali (ed. es. la rappresentanza, la moneta, la rappresentanza)

 L’UE per il PIL è la più grande area economica del mondo; al secondo posto ci sono gli Stati Uniti ma con grandissimi divari economici al suo interno.

 E’ dopo la Seconda Guerra Mondiale che l’idea di Europa diventa un progetto concreto, nato dalla consapevolezza dei precedenti ma recenti fallimenti: quello della Società delle Nazioni, ma pure la sconfitta del Nazismo e Fascismo (ma possiamo anche la precoce fine di Giustizia e Libertà già meno di due anni dopo la Resistenza: perché per combattere contro il fascismo ci vuole unione).

Ed è da queste considerazioni che è nato il Manifesto di Ventotene, di cui adesso ricorrono gli 80 anni. Elaborato e scritto nell’isola di confino a Ventotene da intellettuali dal libero pensiero e per questo invisi al Regime: Spinelli, Colorni, Rossi e anche il futuro Presidente della Repubblica Pertini, che però non lo firmò.

L’idea di fondo è la realizzazione degli “Stati Uniti di Europa”, un’unione politica. Il suo obiettivo “la pace mondiale”.

 Il prof. Finelli mostra un video di circa 3 minuti di Schuman del 9/5/50, data che è divenuta simbolo scelto come Festa dell’Europa. Non a caso siamo nella fase più acuta della guerra fredda. Cosa dice Shumam? Propone di mettere insieme carbone e acciaio, proprio perché sono fonti per l’industria e pesante, quindi una scelta politica (non avere le fonti per fare la guerra) e non economica. Lo dimostra l’adesione del 6 paesi europeo che nel 1953 aderirono alle C.E.C.A., cioè la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio: Benelux, Francia, Germania e l’Italia, non per quantità di queste fonti, perché vuole trasformare un’alleanza franco-tedesca in un progetto europeo.

Per creare la Comunità prima e l’Unione poi Europea c’erano tre vie:

·         la corrente federalista, secondo cui era necessario realizzare una confederazione europea che per essere efficace avesse un carattere federale: ovvero doveva trasferire la politica estera, la difesa, la politica economica e le monete ad istituzioni soprannazionali e quindi a un governo, un parlamento e a una corte di giustizia comuni.

·         La teoria funzionalista dell’integrazione soprannazionale ha in comune con quella federalista l’obiettivo del superamento della sovranità assoluta, ma ritiene che, per superare le resistenze nazionali, occorra scegliere la via dello sviluppo graduale della cooperazione internazionale in settori o funzioni limitati, ma via via più importanti dell’attività statale, in modo da realizzare uno svuotamento progressivo e quasi indolore delle sovranità nazionali.

·         La terza corrente dell’europeismo, nata nel periodo fra il 1914 e il 1948, è rappresentata dal confederalismo. La sua opzione fondamentale è un’Unione Europea fondata su meccanismi di mera cooperazione intergovernativa, che lascino intatta la sovranità statale assoluta, ma permettano ai governi nazionali di raggiungere decisioni concordate in alcune materie riconosciute di comune interesse.

Tra il 1952 e il 2009 abbiamo 7 trattati, di cui 5 fra il 1997 e il 2009. Ciò dimostra che alla fine degli anni ’80 l’UE entra in una fase di fibrillazione. E perché? Perché l’UE si allarga fino a 27 stati, quasi tutti dall’Europa orientale.

 Dal 2007 al 2020 l’UE si è trovata ad attraversare la prima grave crisi economica: quella dei debiti sovrani, per risposta ritardata, per responsabilità non condivisa, per incapacità autoregolativa del mercato, perché la politica comune è stata affrontata in maniera esclusivamente monetaria.

Sintetizzando, quali sono le ragioni della crisi della fiducia nell’Europa?

·         Il complesso della procedura decisionale

·         L’assetto istituzionale composto

·         L’asimmetria economica e sociale




8 aprile: Giornata internazionale dei rom, sinti e camminanti a 50 anni dal primo congresso mondiale del popolo Rom.

8 aprile “primavera brilla nell’aria e per li campi esulta” e in tutto il mondo si celebra il Romano Dives, la Giornata internazionale dei Rom, Sinti e Camminanti. Pensare che fino a quella data cigani, gipsy, Zigueuner erano termini usati in senso strettamente dispregiativo (beh, non è che tuttora, a 50 anni di distanza, le cose siano poi cambiate come vorremmo)

Perché l’otto aprile? Perché questa è la ricorrenza istituita per ricordare il primo congresso mondiale del popolo Rom, che si tenne a Londra nel 1971.

Esattamente 50 anni fa.

Niente obbligava a scegliere l’8 Aprile come data di apertura dell’evento se non, come scrive Grattan Puxon -allora presente all’evento- “the moral imperative and hunger for self-definition“!

In quella occasione la parola “Gipsy” era stata bandita dai tavoli delle conferenze e c’era una reale aspirazione di far valere la causa rom contro la destra riemergente e i neo fascismi che rifiorivano. Anche nell’Occidente, gli “zingari” venivano banditi dalle strade e i loro campi distrutti. Le eccezioni includono la Phralipe (Brotherhood) in Macedonia e the Pan-Hellenic Roma Association ad Atene che sopravvisse alla guerra.

Così nel 1971, carichi di legittimo senso di giustizia e di identità, i rappresentanti Rom si riunirono in una scuola nei sobborghi sud orientali di Londra. Molti di loro non si erano mai conosciuti prima di quel lungo weekend del 1971. Ma da esso erano usciti come i delegati del primo congresso mondiale e avevano dato vita non ad uno stato a nazione ma un percorso politico da seguire. Durante il summit di Chelsfield, vicino Londra, intellettuali e attivisti Rom si confrontano e si interrogano sulle basi della propria cultura e del proprio popolo, definendone i contorni.

Erano gli anni della Guerra Fredda e della Cortina di Ferro e non era affatto facile viaggiare ed incontrarsi per persone che si affermavano come una comune identità etnica, ma di diverse culture, di lingue spesso orali. Tentavi erano stati intrapresi in un congresso pre-guerra a Bucarest, ma un decennio dopo Margareta Matache, Direttore of the Roma Program ad Harvard, decise che i Rom dovevano avere uno stendardo, un simbolo di nazionalità, una bandiera per gli oltre 20 milioni di Rom in diaspora…e anche degli eroi.

Quel giorno si costituì la Romani Union, la prima associazione mondiale dei Rom, che sarà riconosciuta dall’ONU solo nel 1979 ma sarà solamente nel 1990, 11 anni dopo, durante il quarto congresso mondiale della International Romani Union, che verrà stabilita ufficialmente la data dell’8 aprile come la Giornata internazionale dedicata a Rom e Sinti.

La confederazione ha preso il nome di “Rom”, letteralmente “uomo” o “popolo degli uomini”, inclusivo di tutti i gruppi variamente denominati e presenti nel mondo: Sinti, Manouches, Kalderash, Lovara, Romanìchéls, Vlax, Domari, Nawar, Kalé, Ashkal, e tanti altri.

Una bandiera ed un inno si diffusero ovunque, in uno stato senza patria: come bandiera la ruota rossa in campo azzurro e verde (questi colori rappresentano il paradiso e la terra mentre la ruota con 16 raggi simboleggia lo spirito errante dei Rom) e come inno Gelem Gelem o Djelem Djelem di Yarko Jovanovich composto nel 1969 in lingua romanì su un’aria resa tradizionale dopo la Seconda Guerra Mondiale, con riferimenti al Porrajmos.

Per noi, il Romano Dives è non è solo l’occasione per tenere alta l’attenzione sui problemi e le discriminazioni subite, allora come oggi, dal popolo rom. Ad esempio secondo un’inchiesta condotta nel 2014 dal Pew Research Center in Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna, la maggior parte delle persone ha un’idea negativa delle minoranze che vivono nel loro paese: musulmani, ebrei e in particolare Rom. In testa alla classifica c’è, ahinoi, l’Italia.

E’ ovvio che siamo contenti che la futura strategia dell’UE a favore dei Rom per il periodo successivo al 2020 miri a promuovere e proteggere i diritti umani e a combattere l’antiziganismo e la discriminazione e che faccia piacere che il comitato ONU favorisca l’inclusione sociale dei Rom, Sinti e Camminanti (nell’ottica comune visti come NON cittadini,) come se si potesse prescindere dal rispetto dei principi di eguaglianza, di non discriminazione, di l’incitamento all’odio razziale.

Ma soprattutto noi vogliamo che questo cinquantesimo del Romano Dives anniversario serva per far conoscere, e, perché no?, anche per celebrale la nostra cultura rom, anzi il nostro mondo interculturale, con noi e attraverso di noi, non tramite open society, senza padroni ma con lo spirito democratico che ci ha sempre ispirati, quello di stare con la legalità e le pari opportunità

Ed è per questo che in questo mese si sono svolte diverse attività con e sui Rom, per valorizzare la loro multietnica e secolare cultura.

Il 1° marzo è partita la carovana pedagogica web; il 21 marzo è nata l’Accademia Nazionale Romanì, sotto lo slogan “Dalla conoscenza nascono il rispetto e la coesistenza”, in cui si terranno video lezioni gratuite da parte di docenti universitari di antiziganismo, romanologia, e cultura generale; fra il 21 e il 27 marzo, con il sostegno dell’U.N.A.R., è nato il PDF interattivo Antir∂zin∂, frutto di corpo e di menti che lottano con diversi strumenti e trovano nuovi modi di fare comunità, per un futuro libero da oppressioni e discriminazioni. Fra pochissimi giorni inizierà il seminario internazionale interdisciplinare per insegnanti universitari (dal 9 al 23 aprile).

Interessantissima iniziativa per il Romano Dives è quella dell’8 aprile “Razzismo brutta storia” che, in collaborazione con l’U.C.R.I , con il movimento Kethane e l’associazione Upre Roma propone in tutte le librerie Feltrinelli di Italia titoli, risorse multimediali, appuntamenti. E siccome la cultura parte in primis dalle scuole Eva Rizzin, ricercatrice dell’Università di Verona, e Luca Bravi, ricercatore dell’Università di Firenze hanno realizzato schede con risorse per docenti.

L’unico limite è la volontà di NON imparare

La bellezza delle comunità romanès è unione, solidarietà, competenza; la sua bellezza sta nella condivisione e nella crescita comune, nel far capire al mondo che ci sono Rom di fama internazionale e grandi intellettuali, sportivi, artisti. La condivisione della cultura è lo strumento più forte che abbiamo, non l’assimilazione

Forse anche per questo Moni Ovadia il 10.07.2008 ha proposto «IL NOBEL AI ROM: È L’UNICO POPOLO SENZA UNA GUERRA»