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L’on. Barontini eletto Presidente onorario ISRPT

Si è tenuta sabato 12 settembre, all’aperto, presso la Casa del popolo di Spazzavento, l’Assemblea annuale dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Pistoia.

In un clima di emozioni, l’on. Renzo Innocenti ha ricordato ai numerosi soci intervenuti gli ultimi venti anni dell’Istituto, ai quali il dr. Roberto Barontini ha dedicato gran parte del suo tempo, dividendosi fra la professione di medico di famiglia, coltivata con solerzia, l’attività politica (è stato consigliere comunale, deputato, vicepresidente della Provincia di Pistoia) e la direzione dell’Istituto, le attività storiche, la presenza assidua e capillare nel territorio, l’attenzione a far crescere un importante nucleo di giovani storici. Barontini stesso ha sottolineato il contributo importantissimo dei direttori dell’Istituto: Fabio Giannelli, Michela Innocenti, fino all’attuale direttore Matteo Grasso. Numerose e importanti le attività nelle scuole, primo fra tutti il progetto Scenari del XX secolo, iniziato insieme alla Provincia e all’assessore Giovanna Roccella nell’anno scolastico 2019-2020, che tuttora continua a portare nelle scuole superiori strumenti di lettura critica della società. Si ricorda anche il recupero e la valorizzazione dell’archivio Devoto sulla deportazione, i corsi di aggiornamento riconosciuti dal Miur per docenti, l’ampliamento della biblioteca, i tirocini con le università.

Roberto Barontini ha ricordato anche le attività della casa editrice, fra cui la pubblicazione della rivista Quaderni di Farestoria e di numerosi libri di successo, da “La Libellula” all’ultimo e prestigioso “L’influenza spagnola del 1918-1919”.

Come detto il Vicepresidente Filippo Mazzoni: «Venti anni in cui abbiamo lasciato il segno nella storia culturale della nostra città», grazie anche alla stretta sinergia con le istituzioni cittadine, la Provincia, i Comuni, la Fondazione Cassa di Risparmio e tutte le associazioni. L’assessore del Comune di Pistoia, Alessandro Sabella, ha portato i saluti dell’amministrazione comunale, riconoscendo il valore del lavoro svolto.

Al termine degli interventi, l’assemblea ha eletto all’unanimità Roberto Barontini Presidente Onorario dell’Istituto, suggellato da un lungo, intenso applauso, quasi un abbraccio collettivo.




Bando di selezione di tre ricercatori – Progetto “Riconoscere il passato degli altri”

Bando Riconoscere passato_20-09-04




Online sul sito della Regione la prima lezione del corso “In viaggio verso Auschwitz” con Gad Lerner

Sono passati venti anni dall’istituzione del “Giorno della Memoria”. Il Novecento, i totalitarismi, le persecuzioni, le deportazioni, i campi di concentramento e di sterminio, la Shoah, sono elementi che interrogano costantemente il nostro presente e che aprono a riflessioni ed attività multidisciplinari fondamentali per coloro che svolgono professioni educative e legate al mondo della formazione. Tematiche che, negli anni, hanno acquisito notorietà e rilevanza mediatica ma non sono facilmente fruibili da parte del mondo della scuola.

Fin dalla prima edizione della Summer School, Regione Toscana si è sempre interrogata sul tema centrale che riguarda tutti coloro che si confrontano con la Shoah e che non hanno direttamente vissuto le tragedie del Novecento. Come riuscire ad affrontare una didattica efficace per far sopravvivere la memoria nelle nuove generazioni? Come riuscire a costruire una cultura del rispetto, dell’inclusione, della pacifica convivenza tra i popoli?

Temi complessi, lo sappiamo, per affrontare i quali servono strumenti di approfondimento che consentano di cogliere la complessità della materia favorendo l’acquisizione di quel senso critico che dovrebbe essere la missione prioritaria della scuola.

Solo con lo studio e la conoscenza, si può combattere l’intolleranza, l’ingiustizia e la mistificazione.

Le giovani generazioni devono potersi confrontare in maniera critica e viva con il tema della memoria europea per comprendere i valori della pace e della tolleranza e per opporsi ai nuovi razzismi.

Bisogna superare, andare oltre il pur significativo momento celebrativo.

In questi anni, Regione Toscana ha lavorato in questa direzione, cercando di costruire politiche culturali organiche e fornendo occasioni di formazione attiva durante tutto l’anno, nella convinzione che tali percorsi e metodi costituiscano parte integrante del processo democratico e di crescita culturale dei cittadini.

Per tutti questi motivi, pur nelle attuali difficoltà, Regione Toscana ha promosso questo per percorso di formazione on line: In viaggio verso Auschwitz.

Sarà un percorso formativo diverso dal solito, ma non per questo meno significativo.

Del resto la pandemia ha costretto la Regione ad abbandonare la progettazione del Treno della Memoria, per la prima volta dalla sua istituzione. Il “Treno della Memoria” nasce nel 2002 e, fino al 2005, ogni anno, la Regione Toscana lo ha organizzato per permettere a studenti e insegnanti delle scuole superiori toscane, appositamente formati nella Summer School di fine agosto, di vivere per cinque giorni un’esperienza formativa unica che, accanto alla visita di Auschwitz e di Birkenau, ha consentito ai ragazzi di incontrare i testimoni della deportazione razziale, politica e dell’internamento militare e di impegnarsi, allo stesso tempo, in una serie laboratori tematici.

Dal 2005 il Treno è diventato un progetto biennale in alternanza al grande Meeting Regionale degli studenti organizzato per il “Giorno della Memoria” al Mandela Forum di Firenze.

In quest’ultima legislatura, la regione ha organizzato ben tre edizioni del Meeting, nel 2016, nel 2018 e nel 2020 e tre sono state anche le edizioni del Treno della Memoria, nel 2015, 2017 e 2019.

Il prossimo gennaio gli studenti toscani non saranno fisicamente sul “Treno” ma saranno “diversamente” accompagnati, con i loro insegnanti,  attraverso un percorso nella storia e nella memoria. Un percorso che parte, appunto, con la Summer.

La Summer inizia con ospiti prestigiosi: oltre a Gad Lerner sempre sensibile e disponibile verso queste tematiche e verso le iniziative della Regione,  Ugo Caffaz, instancabile animatore di tutte le iniziative curate, in questi anni, dalla Regione Toscana per il “Giorno della Memoria” e Luca Bravi.

Anche per questa edizione del corso, la Regione si è avvalsa di importanti partner scientifici quali la Fondazione Museo della Deportazione e Resistenza di Prato e l’Istituto toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea.

La didattica, ed in particolare la didattica della storia, è una delle principali attività su cui, infatti, lavora la rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età Contemporanea che la Regione Toscana, grazie alla legge regionale n. 38/2002, sostiene finanziariamente con un contributo annuale che viene erogato anche alla Federazione delle Associazioni Antifasciste e della Resistenza e all’Istituzione Parco Nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema. Un altro importante strumento divulgativo per le scuole in termini di didattica della storia, è costituito proprio da questo nostro portale, rivista on line di storia del Novecento, finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito delle attività degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età Contemporanea.

Il percorso di formazione si concluderà con il Meeting, sempre online, del prossimo 27 gennaio 2021 che sarà trasmesso in streaming alla presenza dei testimoni della Shoah e della deportazione. Insegnanti e studenti delle scuole toscane potranno seguirlo con punti di ascolto a cura di ogni Istituto.

Da oggi la prima lezione del corso, con l’intervento di Gad Lerner, è disponibile sul sito della Regione che, proprio in questi mesi nei quali la comunicazione digitale è ditata così cruciale ha avviato un processo di potenziamento delle proprie pagine dedicate alla promozione dell’offerta culturale e all’importante impegno svolto sui temi della memoria e della conoscenza storica, oggi sempre più a disposizione di tutt* con facilità ed immediatezza. In particolare si segnalano le pagine “Storia e Memoria del 900” e “Cultura è rete“:

https://www.regione.toscana.it/storiaememoriedel900

https://www.regione.toscana.it/-/cultura-e-rete-introduzione

La prima lezione del corso:

https://www.regione.toscana.it/-/corso-di-aggiornamento-online-in-viaggio-verso-auschwitz

La lezione è disponibile anche sul Canale YouTube https://www.youtube.com/watch?v=OT0Hy_H1qwE

 

 




Nuovo orario del Museo della Deportazione e apertura per la Liberazione di Prato

Il Museo informa i propri visitatori che il Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza riprende il normale orario di apertura con una NOVITÀ: sarà possibile visitare il Museo anche la domenica mattina!

 

Dal 1 settembre sarà in vigore il seguente orario di apertura:

 

Museo

 

Mattina dalla domenica al venerdì ore 9:30 – 12.30

Pomeriggio lunedì e giovedì ore 15:00 – 18:00

sabato e domenica ore 16:00 – 19:00

 

Per l’accesso e la permanenza all’interno dei locali della Fondazione saranno adottate adeguate misure di sicurezza e prevenzione secondo le normative vigenti riguardanti l’emergenza Covid-19.

 

Su richiesta possiamo effettuare brevi visite guidate per piccoli gruppi di massimo 8 persone. Per qualsiasi richiesta ed informazione vi preghiamo di scrivere a: info@museodelladeportazione.it

 

Ufficio della Fondazione (Lunedì-venerdì ore 9 – 13)

Biblioteca (Lunedì e giovedì ore 15 -18)

entrambi aperti al pubblico solo su prenotazione (0574 461655 – info@museodelladeportazione.it)

 

DOMENICA 6 SETTEMBRE nel pomeriggio, in occasione delle celebrazioni per la Liberazione della Città di Prato, saranno effettuate visite guidate gratuite dalle 16 alle 19 su prenotazione (tel. 0574 461655).




Pubblicata online la nuova offerta formativa ISRT per le scuole!

L’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea, grazie alle proprie docenti distaccate e al lavoro di direzione e collaboratori, offre una rinnovata offerta formativa per insegnanti e scuole. Conoscenza della storia del ‘900 e educazione alla cittadinanza ne sono gli ambiti essenziali sia per la formazione docenti che per i progetti per le classi, realizzabili sia in presenza che a distanza.

Alla vigilia del nuovo anno scolastico, così complesso e difficile, un supporto per confermare e accrescere vicinanza e attenzione al mondo della scuola.

In allegato la brochure con i progetti.




Non solo una statua. Il caso Montanelli come “autobiografia della nazione”

Fosdinovo, “fra i castagni dell’Appennino”, domenica 2 agosto 2020. Solita atmosfera allegra che caratterizza il Festival “fino al cuore della rivolta”. Ma l’inizio oggi è più serioso infatti  apre la parte culturale, alle 17:30 circa, Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Si tratterà del caso Montanelli.

Il titolo è un po’ roboante “non solo una statua. Il caso Montanelli come “autobiografia della nazione”: si tratta della parafrasi della famosa frase di Gobetti sul fascismo, definito appunto “autobiografia di una nazione”.

Ora, il fascismo è una cosa molto più seria e importante di Montanelli ma in qualche misura il caso Montanelli è paradigmatico per il processo di mitizzazione e elevazione a simbolo (ma di che cosa?) di una figura come lui.

Cosa certa è la sua attitudine alla menzogna anche se egli dichiara “ho spesso inventato ma mai mentito, è semplicemente che ho usato la narrativa per raccontare la storia”. Per qualcuno, ad esempio il suo sodale Michele Brambilla, come ha scritto su Quotidiano.net, questa sarebbe “l’impareggiabile grandezza di Montanelli: innocenti bugie”.

In realtà Montanelli è stato un “manipolatore della propria autobiografia” come lo definisce Enrico Arosio, recensendo il libro di Renata Broggini Passaggio in Svizzera, Feltrinelli, 2007.

Menzogna è tutta la sua vicenda della presunta condanna a morte, della fuga in Svizzera, della collaborazione con la Resistenza, dell’aiuto dell’ agente doppiogiochista Luca Ostéria con l’avvallo del capo della Gestapo a Milano, lasciando la moglie austriaca Margarete in ostaggio rinchiusa nel campo di Gries, presso Bolzano

Altra bugia è quella di aver assistito all’esibizione  dei corpi di Mussolini e di Claretta Petacci a Milano il 29 aprile quando in realtà lui è rientrato in Italia solo il 22 di maggio.

Altra menzogna riguarda Pinelli: Montanelli scrisse che l’anarchico era stato un informatore di Calabresi ma dovette ammettere di essersi inventato tutto davanti ai giudici di Catanzaro.

Ma forse la balla più clamorosa che ricorda un po’ Sturmtruppen è quella della vicenda della presunta intervista a Hitler: Montanelli era presente il giorno dell’invasione della Polonia esattamente nel momento, immortalato da una celebre fotografia, nel quale soldati tedeschi aprono la sbarra che segnava il confine con quel paese. Ad un gendarme che gli chiede di che nazionalità fosse e perché fosse lì, lui spiega di essere un giornalista italiano e questo sarebbe bastato una condanna a morte immediata, se non si fosse aperta la torretta di un Panzer e non fosse uscito da esso un simpatico ometto con i baffetti, che era niente meno che Adolf Hitler, che gli concesse un’intervista per spiegargli i motivi per cui entrava in guerra. La pubblicazione di tale straordinaria intervista sul Corriere sarebbe poi stata bloccata da Mussolini in persona.

Ma una vicenda senz’altro autentica c’è e riguarda la corrispondenza del 1954 con la ambasciatrice statunitense a Roma Clare Boothe Luce. In essa Montanelli, preoccupato per l’avanzata delle sinistre nelle elezioni del 1953, si faceva sostenitore della costruzione di una organizzazione “terroristica e segreta” composta da “100.000 bastonatori”, preferibilmente fascisti e monarchici, graditi ai carabinieri e armata dagli Stati Uniti, che avrebbe dovuto entrare in azione in caso di vittoria elettorale dei comunisti, aiutando un colpo di stato “allo scopo di inchiodare l’Italia nell’alleanza atlantica”. Nel dilemma “difendere la democrazia fino ad accettare la morte dell’Italia o difendere l’Italia fino ad accettare, o anche affrettare, la morte della democrazia” la sua scelta andava decisamente per la seconda ipotesi.

Pezzino passa poi ad analizzare la vicenda per la quale la figura di Montanelli è tornata in discussione: la sua statua in un parco di Milano per la seconda volta imbrattata di vernice rosa. Ricordo della bambina eritrea di 12 anni che Montanelli ha comprato dal padre, nel 1936 durante il suo servizio come ufficiale in Etiopia, facendone la sua sposa bambina. Ma anche su questo episodio Montanelli è stato o labile di memoria o abile nel cambiare le carte: a volte la bimba si chiama Destà, altre Fatima, a volte ha 14 anni, altre 12. Ciò che non cambia è la sua assoluta convinzione di essere nel giusto; le espressioni disgustose che adotta per descrivere i rapporti sessuali con una bambina infibulata, facendosi aiutare dalla madre per “demolirla”, il razzismo manifesto secondo il quale in quelle zone a 12 anni sei una donna e a 20 si è già una vecchia. E allora, perché ancora oggi Montanelli viene difeso come maestro di giornalismo e di campione della liberaldemocrazia? È qui, nella risposta, che Pezzino  torna al titolo “anatomia di una nazione”, perché l’ elevazione di Montanelli a mito denota una serie di caratteristiche di fondo della società italiana: il peso delle corporazioni (nella fattispecie quella dei giornalisti); il rimosso del colonialismo italiano; il machismo e la misoginia (come ha rilevato Ida Dominijanni su Internazionale il 23 giugno 2020); il prevalere di una ottusa dimensione partitica per cui Montanelli è stato celebrato a destra come campione di anticomunismo, e a sinistra dopo il suo rifiuto di scendere in campo accanto a Berlusconi. Ma soprattutto è evidente in Italia la mancanza di una etica pubblica che esalti le competenze e penalizzi in maniera decisiva la menzogna e il pressapochismo. A allora, tornando alla statua, Pezzino propone che venga rimossa dal parco pubblico di Milano e che posta in un museo, lasciandola imbrattata di vernice rosa, e corredata di una serie di materiali che spieghino la storia di quel monumento controverso  e di colui che esso ritrae Montanelli.

Le statue sono sempre cadute, la damnatio memoriae è sempre esistita ma è decisamente meglio, anziché tentare di cancellare la storia, contestualizzarla, spiegarla e cercare di inserirla negli eventi della nazione che l’hanno prodotta.




Quel 25 luglio: il crollo del fascismo e la pastasciutta dei fratelli Cervi a Fosdinovo

Fosdinovo, 25 luglio. Sotto gli antichi castagni “Fino al cuore della Rivolta” straordinariamente inizia, nonostante la pandemia. La Resistenza resiste anche al Covid 19. Naturalmente sono state prese tutte le misure precauzionali ma la pastasciutta antifascista, in memoria di quella dei fratelli Cervi, comunque viene servita e non manca neppure il momento culturale, in cui il Professor Paolo Pezzino, Presidente dell Istituto nazionale Ferruccio Parri, ricorda quel 25 luglio 1943, quando cadde il fascismo.

“Era l’estate del 1943; la guerra aveva prodotto un generale peggioramento delle condizioni di vita degli Italiani. Fenomeno inevitabile in situazioni eccezionali e che certo investiva tutti i paesi belligeranti, ma che in Italia era accentuato dalla incapacità del regime di organizzare l’emergenza e di creare attorno allo sforzo bellico quel consenso che in altri paesi rinsaldava la solidarietà di fondo fra governanti e popolazioni civili, nonostante l’aggravarsi delle condizioni di vita di queste ultime. In Italia, viceversa, si era accentuata l’estraneità della popolazione al regime.

Insomma, le conseguenze della guerra si facevano sentire in misura sempre crescente: a partire dal giugno 1940 con il razionamento dei principali generi di prima necessità -a dispetto della roboante propaganda fascista sugli eccellenti risultati raggiunti dall’autarchia-, il mercato nero –a cui comunque i ceti popolari non potevano ricorrere per i prezzi alti-, la forte inflazione che colpiva salari e stipendi.

Così progressivamente si distaccavano dal regime non solo le classi popolari ma anche quella piccola borghesia impiegatizia che aveva rappresentato una delle basi del suo consenso. Dall’autunno 1942 la situazione si era aggravata per i massicci bombardamenti ai quali cominciarono ad essere sottoposte le città italiane -i civili italiani morti nei bombardamenti sono stati circa 60.000- a partire dai principali centri industriali. Conseguenza: lo sfollamento di ingenti masse di persone, mentre la mancanza di carbone per riscaldamento rendeva particolarmente dura la stagione invernale.

L’indifferenza degli Italiani si trasforma prima in una sorda ostilità alla guerra, manifestandosi poi in aperte manifestazioni di dissenso. Clamoroso lo sciopero -di chiara rilevanza politica- degli operai delle fabbriche del Nord che nel marzo 1943, partendo dalla FIAT, si era esteso al Piemonte e poi a Milano e alla Lombardia. Grande il risultato: un generale aumento salariale, il colpo alla credibilità del regime. Gli scioperi del marzo rappresentano per gli industriali e per le stesse forze moderate che avevano sostenuto il fascismo la dimostrazione che era necessario per l’Italia porre fine ad una guerra che rischiava di tradursi in una disfatta per il regime, con gravi pericoli per  quello stesso ordine sociale in nome del quale il fascismo aveva goduto fino ad allora dell’appoggio della borghesia italiana. Del resto anche la Chiesa aveva assunto, a partire dallo scoppio delle ostilità, un atteggiamento di prudente distacco dal fascismo: nonostante la proclamata neutralità del Vaticano, le allocuzione natalizie di Pio XII nel 1941 e nel 1942 sembravano echeggiare i principi formulati da Roosevelt e Churchill nella Carta Atlantica del 14 agosto.

A causa della debolezza dei partiti e delle forze antifasciste, l’iniziativa passa alle forze più moderate del fascismo, alla Corona e alle gerarchie militari, che pensavano di contrattare l’uscita dalla guerra dell’Italia, con lo sganciamento dall’alleanza tedesca: via tardiva e incerta. Era il tentativo di rigettare sul solo Mussolini e su pochi gerarchi le responsabilità del conflitto, evitando pericolosi sovvertimenti sociali o decise aperture in senso democratico. Ma l’incertezza del re rende più impraticabile una soluzione come quella escogitata. L’11 giugno 1943 cade in poche ore Pantelleria; la notte fra il 9 e il 10 luglio gli Americani e gli Inglesi sbarcano in Sicilia e in poco più di un mese conquistano l’isola, mentre la popolazione si schiera a fianco di coloro che venivano accolti come liberatori e non come invasori. In alcuni reparti dell’esercito si verificano fenomeni di sbandamento e di diserzione di massa, anche di ufficiali e sottufficiali.

Il precipitare della situazione con lo sbarco alleato costringe ad accelerare i tempi: i gerarchi fascisti dissidenti costringono Mussolini a convocare per il pomeriggio del 24 luglio il Gran Consiglio del fascismo, che non veniva più riunito dal dicembre del 1939, nel quale ha una schiacciante maggioranza (19 voti a favore su 28 partecipanti) un ordine del giorno che suonava di critica a Mussolini, si rivolgeva al Sovrano chiedendogli di assumere le prerogative previste dallo Statuto, cioè l’effettivo comando delle forze armate, e “l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali”.

L’iniziativa decisiva nella caduta di Mussolini è quella del re: d’accordo con le più alte cariche militari e con uomini a lui fedeli, aveva progettato già dalla metà di luglio un colpo di stato militare contro Mussolini; nell’udienza nel pomeriggio del 25 luglio lo fa arrestare (nella mattinata aveva già provveduto a nominare capo del governo il maresciallo Badoglio). Carabinieri, esercito e polizia presidiano le stazioni radio, i ministeri e i principali punti della città, e alle 22:45 la radio trasmette il comunicato relativo all’accettazione da parte del re delle dimissioni di Mussolini e alla nomina di Badoglio a capo del governo. Seguivano due comunicati, il primo a firma del re, che annunziava di assumere il comando generale  delle forze armate e invitava tutti a riprendere il posto di combattimento;  con il secondo lo stesso Badoglio, “per ordine di S.M. il Re e Imperatore” assumeva il governo militare del paese: “La guerra continua. […] Si serrino le file intorno a S.M il Re e Imperatore, immagine vivente della patria, esempio a tutti. La consegna ricevuta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita e chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento o tenti di turbare l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito”.

Evidente la continuità di Badoglio col passato e la stessa composizione del governo -6 generali e 11 funzionari civili- lo dimostra. La caduta di Mussolini del resto era provocata da un colpo di mano interno allo stesso regime, compiuto cioè da quelle stesse forze che avevano condiviso con lui le principali responsabilità fino ai primi rovesci militari. E’ fuori discussione che il fascismo non era caduto per una coerente azione delle forze antifasciste, ancora deboli e incapaci di organizzare e dirigere politicamente il malcontento del paese. Ma la mancata reazione delle organizzazioni fasciste e le dimostrazioni di giubilo nelle città italiane il 25 e il 26 luglio dimostrano a quale livello di corrosione interna fosse arrivato il regime e quanto ormai Mussolini fosse estraneo a quel popolo che fino all’entrata in guerra l’aveva osannato come Duce.

Il 28 luglio un decreto scioglieva il Partito Nazionale Fascista e le sue organizzazioni, abrogava il Gran Consiglio ed il Tribunale Speciale ma in compenso, per frenare le manifestazioni popolari, il generale Roatta, capo di stato maggiore dell’esercito, emana una circolare che ordinava alle forze armate di sparare contro i manifestanti.  Così si dissipano rapidamente le speranze di un immediato ritorno alla libertà: nei primi cinque giorni dopo il 25 luglio, 83 sono i morti, oltre 300 i feriti, 1.554 gli arrestati. Se il fascismo era caduto, i fascisti erano ancora ai posti di comando. Il personaggio chiave della situazione era un Re, vecchio ed indeciso, che aveva indelebilmente legato il nome proprio e di Casa Savoia al regime fascista.

Il vero riscatto morale dell’Italia inizia dopo l’armistizio con la Resistenza”.

 




Call for paper Farestoria 2/2020

Spostarsi: le migrazioni nella storia
Call for Paper per un numero monografico di
Farestoria
Rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia

A partire dagli anni Novanta del secolo scorso i fenomeni migratori sono divenuti sempre più frequentemente oggetto di studio da parte delle scienze umane e sociali. Nei paesi occidentali questa attenzione è stata il frutto dei diversi flussi migratori, soprattutto in entrata, che ne hanno interessato le società. È stata prodotta una mole enorme di ricerche sui vari aspetti delle migrazioni, sui loro motivi, il loro impatto, le loro dinamiche interne e transnazionali ecc. Le ricerche hanno investito prevalentemente le scienze che lavorano “al presente”, ma anche la storiografia progressivamente ha messo a fuoco la tematica, con un’ottica di lungo periodo, contribuendo alla produzione di studi che hanno aumentato la nostra conoscenza delle migrazioni nella storia delle società umane. In questo campo si sono cimentate la demografia storica, la storia del lavoro, la storia orale e la storia economica, con significativi apporti derivati dai postcolonial studies, dai subaltern studies e
dall’antropologia culturale. Disponiamo oggi di studi storici che ricostruiscono le migrazioni in epoche storiche diverse, i loro legami con l’organizzazione economica, sociale e del lavoro delle geografie umane e di potere che le produssero, la loro interazione con le catastrofi (guerre, disastri ambientali, malattie, crisi economiche ecc.), il loro livello di libertà o di coercizione (ad es. la tratta degli schiavi fu un fenomeno plurisecolare di migrazione organizzata a scopo lavorativo di natura coercitiva), il carattere permanente, temporaneo o stagionale di quelli che sono stati individuati come circuiti migratori (ad es. all’interno dell’Italia o dell’Europa), i loro legami con le politiche imperialistiche, coloniali o
persecutorie messe in atto dagli Stati. Al tempo stesso, hanno iniziato ad essere storicizzati i flussi migratori su le direttrici sud-nord ed est-ovest, diretti negli ultimi decenni verso i paesi della cosiddetta Europa occidentale e gli Stati Uniti. Queste migrazioni hanno ormai raggiunto una profondità temporale che ci permette di ricostruirne la storia, con la consapevolezza che si tratta di una storia aperta ed ancora in pieno svolgimento, ma che nondimeno ha accumulato un quantitativo di “passato” alle sue spalle passibile di essere indagato con
i metodi propri della storiografia. Lo stesso discorso vale per i vari tipi di reazioni che i flussi degli ultimi decenni hanno originato, da quelle negative di rigetto, spesso di segno xenofobo e/o razzista ma non sempre riconducibili o riducibili solamente a queste due categorie giocando un ruolo anche le reazioni di tipo economico, a quelle di segno opposto, come lo sviluppo di un movimento antirazzista dalle ambizioni egemoniche nei paesi occidentali, fra cui l’Italia, che si è innestato in vari modi negli alvei politici orientati a sinistra, a quelle politiche e legislative che, ovviamente in maniera mai tecnica e neutrale, hanno governato, o tentato di governare, i fenomeni migratori.

Il numero monografico di Farestoria dedicato alle migrazioni intende focalizzarsi su questi temi per restituire una lettura storica dei fenomeni migratori, tanto del passato più distante da noi che di quelli tutt’ora in corso e delle reazioni ad essi.

Le linee di ricerca suggerite sono:
– Casi di studio di tipo microstorico o comunque legati a particolari circuiti o sistemi più o meno stabili su scale territorialmente definibili (anche transnazionali)
– Le risposte ai flussi di tipo politico e/o legislativo, le reazioni di segno negativo e le reazioni di tipo includente all’interno della scala di indagine prescelta
– Le relazioni di tali migrazioni con l’economia, il lavoro, la politica, le catastrofi (guerre, disastri ambientali, malattie, crisi economiche ecc.)
– La soggettività dei punti di vista degli attori storici, singoli e collettivi, con particolare attenzione alle testimonianze (scritture, diari, memorie, epistolari, fotografie, disegni, oggetti, ecc.) e/o alla storia orale.
Le proposte, di un massimo di 3000 caratteri spazi inclusi più un titolo, dovranno pervenire entro il 5 settembre 2020 insieme a un breve curriculum (2000 caratteri) con l’indicazione se si intende concorrere per la stesura di un “Contributo” (massimo 20mila caratteri spazi inclusi) o di un “Saggio” (massimo 50mila caratteri spazi inclusi).
Sarà data tempestiva comunicazione delle proposte selezionate entro dieci giorni circa dalla scadenza della Call, contestualmente all’invio delle norme redazionali.

Il lavoro finale dovrà essere consegnato entro il 30 novembre 2020.

Le proposte dovranno essere inviate all’indirizzo mail: farestoriaredazione@gmail.com