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Mostra storica “Linea gotica aprile 1945” al Teatro Guglielmi




79° anniversario della strage di Montemaggio: la commemorazione

Domenica 26 marzo si è commemorata la strage di Montemaggio (Comune di Monteriggioni, Provincia di Siena), avvenuta il 28 marzo 1944, nella quale 19 giovani partigiani persero la vita per mano dei fascisti.
Le vittime appartengono ufficialmente al distaccamento della “Spartaco Lavagnini” e a Montemaggio hanno base a “Casa Giubileo”. Attaccati dai fascisti, dopo solo un’ora il combattimento è concluso: un partigiano rimane ucciso nello scontro armato, un secondo è ferito mentre tenta di fuggire e viene finito subito dopo. Gli altri 17 si arrendono con la promessa di aver salva la vita ma i fascisti prima si sfogano iniziando a picchiare i prigionieri, poi, privati alcuni delle scarpe, li fanno salire su di un camion. Arrivati nello spiazzo della strada detto “La Porcareccia”, i partigiani vengono fucilati con l’ausilio di una mitragliatrice.
Tutti i responsabili della strage sono stati liberati perché amnistiati a metà degli anni ’50.

La prima parte della commemorazione si svolge accanto al cippo che reca i nomi delle 19 vittime, di fronte ad una statua realizzata nel 1979 dallo scultore Nelson Salvestrini. Essa rappresenta un uomo che dorme e che pare uscito dal blocco di travertino in cui è scolpito. L’artista spiega che nelle sue intenzioni quel giovane partigiano non è morto ma dice “io morirò quel giorno in cui voi smetterete di lottare per tutto ciò per cui io ho lottato e per cui sono morto”.
Poi la commemorazione di sposta in un prato limitrofo.

Salgono sul palco il Sindaco di Colle Val D’Elsa, Alessandro Donati, una rappresentante dell’ANPI in sostituzione della vicepresidente nazionale Albertina Soliani, e il Professor Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.
Il Sindaco esordisce citando il Discorso agli studenti milanesi di Piero Calamandrei nel 1955: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, oh giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.” Cita poi un estratto della circolare ai suoi studenti della Preside fiorentina Annalisa Savino, in seguito al pestaggio fascista avvenuto davanti al Liceo Michelangelo: “Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. ‘Odio gli indifferenti’”. E il sindaco così proclama “Noi che siamo qui, non siamo indifferenti. Gramsci non ce l’avrebbe con noi”.
E’ poi il turno della delegata ANPI: “i partigiani non sono stati uccisi in quanto italiani (e qui è chiaro il riferimento alle parole di Meloni alla commemorazione di qualche giorno fa alle Fosse Ardeatine) ma come combattenti contro il fascismo, e non sono stati uccisi da un nemico esterno, ma da altri italiani, fascisti”. E, in modo commovente, aggiunge: “Il sorbo che è stato falciato dalle mitragliate fasciste contro i partigiani di Montemaggio è stato ripiantato davanti a Casa Giubileo”.
È poi il turno di Pezzino che ricorda che “l’eccidio di Montemaggio è la più grave strage di partigiani in provincia di Siena e la seconda in Toscana dopo quella di Figline di Prato”. E asserisce: “attraverso il sacrificio dei giovani di Montemaggio la Resistenza è riuscita a riorganizzarsi, a progredire e avviarsi verso la Liberazione del paese. In Toscana alcune città sono liberate totalmente da parte dei partigiani: Arezzo, Firenze, altre da partigiani e alleati insieme, Siena e Livorno. La Resistenza non è stato solo un insieme di martiri ma un insieme di atti militari e civili, di impegni che hanno ottenuto la vittoria”. Poi legge la data di nascita dei partigiani uccisi a Montemaggio, tutti giovanissimi e tuona: “Sono questi i ragazzi che vogliamo ricordare e celebrare, oggi e tutti i giorni, come fondatori della nostra patria, non i ragazzi di Salò. E lo faremo con le commemorazioni e con lo studio della verità storica contro gli oblii e le false notizie che sempre più spesso ci vengono propinate”.
Alla fine dei discorsi ufficiali, la banda di Colle val d’Elsa suona Bella Ciao e Fischia il vento.
La commemorazione poi si sposta più in alto, di fronte a “Casa Giubileo”, dove viene posta la corona di alloro.
La celebrazione è allegra: c’è gente di ogni età, da un anziano partigiano ai giovani, e tanti bambini.
E, parafrando Benigni, “dopo il cuRturale principia il ricreativo”: in Casa Giubileo dall’ANPI è preparata una merenda con panini e vino. Offerta libera.
Preservare la memoria è anche questo: la gioia di persone di ogni età che si ritrovano a discutere, a cantare, a bere e a non dimenticare.




Presentazione del libro “Piombo con piombo. Il 1921 e la guerra civile italiana”, a cura di Giorgio Sacchetti

Sabato 24 marzo, dalle ore 16.30 alle 19, presso la Sala della Cultura -che un tempo fu Casa del Fascio- Palomar di San Giovanni Valdarno si è tenuta la presentazione del libro Piombo con piombo. Il 1921 e la guerra civile italiana, a cura di Giorgio Sacchetti, Carocci editore, uscito a febbraio di questo anno.
Sono presenti il curatore, docente di Storia culturale e sociale dell’età contemporanea all’Università degli Studi di Firenze, e gli autori di alcuni contributi: Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, e Giovanna Procacci, Professoressa di storia sociale contemporanea e storia contemporanea presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.

Il volume mette insieme due convegni sul 1921, un anno parecchio significativo e cruciale per la storia del nostro paese: anno dello squadrismo fascista, dell’attentato anarchico al teatro Diana di Milano, delle insorgenze operaie e contadine, degli Arditi del popolo. Non a caso, una sezione del volume -la terza- è intitolata “Rappresentare il 1921”.

Procacci elogia l’immensa quantità documentaria presente in questo volume. Di grande importanza la parte sull’Anarchismo, che rientra nella prima sezione del volume, intitolata temi/questioni di metodo. A tale proposito sottolinea che gli anarchici usavano la violenza per conquistare la libertà, mentre la violenza fascista era per acquisire il potere. La Professoressa sottolinea anche che nell’immediato dopoguerra si è trattato di violenza popolare, poi è diventata di difesa, una volta avvenuto l’attacco alla democrazia.

Sull’anarchismo da remoto è intervenuto anche Enrico Acciai, attualmente visiting researcher alla Columbia University di New York. Nel suo intervento si sofferma sulla scelta volontaria delle armi legata a Garibaldi, in una sorta di guerra di guerriglia.

La seconda parte del volume, non a caso intitolata “Territori/Casi di studio”, ha il pregio di fornire uno spaccato dei fatti del ‘21 nell’intera nazione: Milano, Bologna, Parma e Imola, Empoli, Arezzo e Valdarno, Roma.

Pezzino sottolinea che la locuzione “guerra civile” è impropria per il ’21 perché i due contendenti non hanno la stessa forza. Il termine è dunque usato lato sensu per indicare un conflitto sociale acceso.
Riprendendo Claudio Pavone, sostiene che nel caso del ’21 sarebbe più opportuno parlare di conflitto di classe.

“Sarebbe più corretto, parlare di una guerra civile asimmetrica”, dice Salvatore Mannino nel suo breve intervento.

Questi gli autori del volume: Enrico Acciai, Francesco Bellacci, Paola Bertoncini, Lorenzo Bertucelli, Marco Betti, Giulio Bigozzi, Laura Bottai, Roberto Carocci, Mirco Carrattieri, Paul Corner, Fabio Degli Esposti, Pietro Di Paola, Fabio Fabbri, John Foot, Andrea Giaconi, Ivano Granata, Salvatore Mannino, Pietro Masiello, Iara Meloni, Luigi Nepi, Guido Panvini, Elena Papadia, Paolo Pezzino, Andrea Rapini, Giorgio Sacchetti, Antonio Senta, Emanuele Upini, Andrea Ventura, Rodolfo Vittori.




Svoltosi a Firenze il Forum Internazionale di Liberation Route Europe (LRE)

Si apre oggi, mercoledì 1° marzo, a Firenze, presso l’Auditorium del Duomo, il Forum Internazionale di Liberation Route Europe (LRE), che vedrà impegnati fino al 3 marzo gli studiosi e le associazioni membri del Network LRE.

Che cosa è Liberation Route Europe? È un memoriale internazionale, è un tracciato di 3500 km che connette attraverso sei paesi i luoghi della Seconda Guerra Mondiale e le loro storie. Si tratta di un percorso da farsi in treno, a piedi e in bicicletta, seguendo i diversi sentieri già esistenti. È un itinerario culturale e turistico della memoria ed una mirabile forma di costruzione di cittadinanza attraverso la public history.

L’associazione Liberation Route Europe nasce nel 2008 nel Brabante, in Olanda, dall’accordo di tre musei locali tra Arnhem e Nimega, per far conoscere la storia della Seconda Guerra Mondiale attraverso la valorizzazione dei luoghi percorsi dagli eserciti alleati. Negli anni successivi si rafforza e si allarga. Costituitasi in fondazione nel 2011, dal 2013 è sostenuta dalle istituzioni europee. Grazie proprio ad un finanziamento europeo, la rete si estende alla Normandia e il 6 giugno 2014, in occasione della celebrazione dello sbarco, viene inaugurato ufficialmente l’itinerario. Oggi la fondazione mette in rete 11 Paesi del continente e oltre 400 partner, , legati da un approccio internazionale e multiprospettico, dal riferimento al patrimonio materiale e immateriale, da intenti di conservazione, approfondimento e promozione, dall’ambizione di incentivare un turismo memoriale stabile e sostenibile per valorizzare la Memoria della Liberazione d’Europa dal nazifascismo con il passaggio delle forze alleate e dei movimenti partigiani.

In occasione del 75° anniversario della fine della guerra, è stato lanciato il programma Europe remembers“, che prevede una nuova interfaccia digitale e un tour promozionale che tocca i vari luoghi coinvolti. Il principale obiettivo è “rendere questa storia importante e accessibile, soprattutto per le giovani generazioni come sottolinea il Presidente per l’Italia, Mirco Carrattieri.

Liberation route Italia è nata nel maggio 2019 come ezione italiana della Fondazione Liberation Route Europe. Ne fanno parte 14 soggetti. Ha sede a Lucca e i suoi membri fondatori sono i comuni di Lucca, Capannori e Borgo a Mozzano, il Parco nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema e il consorzio di guide turistiche Turislucca. Nel febbraio scorso ha aderito la Regione Toscana, seguita dalla Regione Emilia-Romagna. Ne fanno parte anche i Comuni di Milano, Monsummano Terme, Porcari, Viareggio e poi la Rete Parri, l’associazione Linea Gotica, l’associazione per la Pace di Cassino

Liberation Route Italia ha ampliato la visuale di LRE all’intero percorso degli alleati nel nostro Paese e, più in generale, alla Seconda guerra mondiale, sviluppando quindi itinerari e iniziative su Milano, la Linea Gustav, Roma, la Sicilia e la Linea Gotica.

Per lo storico Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri -Rete degli Istituti della Resistenza e dell’Italia contemporanea in Italia-, questo lavoro è particolarmente importante per rappresentare «in un quadro unitario» la memoria della Linea Gotica, «troppo sfuggente per le sue caratteristiche di luogo di incontro di soldati di varie nazionalità, di movimenti di partigiani, nonché teatro di stragi, territori dall’alto valore naturalistico e che attraversano più Regioni».

 

 

Dopo le precedenti edizioni a Bruxelles, in Normandia e a Berlino, la scelta del capoluogo della regione come luogo del Forum internazionale questo anno testimonia l’impegno della sezione italiana di LRE e della Regione Toscana.

 

Nella mattina del 1° maro, dopo le parole di benvenuto, sono presentati alcuni dei progetti portati avanti dal team di LRE e partners, ad esempio l’app, già attualmente scaricabile, che fa da guida lungo i sentieri e l’istallazione di 100 segnavia della Memoria, ovvero i «floor vectors of memory» disegnati da Daniel Libeskind.

A seguire la presentazione di buone pratiche con gli interventi di Corentin Rousman, del Memoriale di Mons, in Belgio, Famke Klein, di Barbant Remembers e Jan Szkudlinski del museo di Danzica, in Polonia.

A fine mattina Jordi Guixé, direttore scientifico dell’European Observatory on Memories, ha aperto la sessione intitolata “The Future of the Past: Exploring the Diverse Challenges of World War II Memory in Europe”, esponendo all’uditorio il progetto “Memorial Heritage Mapping”.

 

Nel pomeriggio si sono tenute le conferenze, aperte anche la cittadinanza, sul tema “Resistance: WWII Memory on the Edge”., sotto la moderazione dello scrittore Keith Lowe.

“Scegliere cosa ricordare è un’azione politica. La selezione delle memorie della Seconda Guerra Mondiale può essere pericolosa, perché incrementa il nazionalismo”, esordisce Lowe.

Il discorso di apertura, dal titolo “Doing it Again: How Historical Myth bring War from the Past to Present”, è tenuto Prof. Georgiy Kasianov “tratta della propaganda politica in Russia, con riferimenti all’attualità ucraina, in cui la Seconda guerra mondiale è vantata come una “Great Patriotic War”, facendo leva sul prezzo pagato in tributi umani alla vittoria, sulla resistenza agli invasori, sull’eroismo dei soldati e dipingendo Stalin come un valido e forte leader. Il Prof. Kasianov sottolinea che “quando Putin ora parla di Russia, intende l’USSR” e strumentalizza la guerra passata, vista come un mito, per la militarizzazione presente, utilizzando anche simboli e semantica della retorica anti-occidentale”. D’altro canto sottolinea che “gli storici ucraini hanno scritto la loro storia in contrapposizione ai loro vicini e a coloro del cui stato nel passato facevano parte”.

A seguire una tavola rotonda sul tema “How Does Nationalism Affect Memories of WWII”, cui hanno partecipato Dr. Aron Mathé, storico e vicepresidente del National Remembrance Committee di Budapest, Guri Schwarz, Professore di storia contemporanea presso l’Università di Genova, Dr. Jade McGlynn, ricercatrice presso il Department of War Studies del Kings College di Londra, Kees Ribbens, Professore presso l’Institute for War, Holocaust and Genocide Studies di Amsterdam.

Mathé ha discusso della volontà del suo Paese di tenersi in disparte rispetto al conflitto in Ucraina e ha sottolineato la necessità “non di riscrivere la storia, ma di restaurarla”.

Schwarz ha evidenziato le tendenze di stampo conservatore della memoria pubblica italiana, che celebra, proprio il giorno dopo quello della memoria, gli Alpini scegliendo come data quella della battaglia di aggressione di Nikolajewka, celebra il diviso Giorno del Ricordo il 10 febbraio e celebra anche, unico paese oltre alla Germania, la caduta del Muro di Berlino.

McGlynn ha trattato del nazionalismo britannico alla base della Brexit e

Ribbens ha denunciato l’incremento negli ultimi dieci anni dei partiti di stampo nazionalistico in Olanda.

La seconda tavola rotonda, dedicata al tema “WWII Memory: Dealing with Political Pressure” ha visto intervenire Prof. Pawel Machcewiz, docente presso l’Institute of Political Studies presso la Polish Academy of Science a Varsavia, Dr. Kaja Širok, storica presso la School of Humanities dell’Università di Nuova Gorica, Dr. Gundula Bavendamm, Direttrice del Documentation centre for Displacement, Expulsion and Reconciliation a Berlino.

Machcewiz racconta le polemiche relative al nuovo museo della Seconda guerra mondiale a Varsavia, accusato “to attent the Polish nation”, per cui il museo è stato chiuso e lui, in qualità di Direttore, è licenziato. La politica “right oriented” e nazionalistica, che ha preso piede negli ultimi otto anni in Polonia, ostacola il pluralismo e tende a conformare la storia all’orientamento del governo.

Anche la Dottoressa Širok nel 2022 ha avuto “political troubles” come Direttrice del Museo Nazionale in Slovenia: è stata screditata sui media e poi rimossa dal suo ruolo per “lack of patriottism”.

A Berlino nel 2017 è stato creato il nuovo Documentation centre: la Direttrice parla delle pressioni politiche subite, che hanno portato al fallimento di alcuni progetti. In ciò ha giocato un ruolo anche l’arrivo dei rifugiati dalla Siria.

Dunque come difendere l’autonomia dei musei, dei centri di ricerca e della stoia più in generale? Širok risponde che in ogni luogo espositivo si deve rappresentare anche “il punto di vista degli altri” e che la narrativa nazionale va costruita “from down to up”.

Alla domanda “quale museo a tuo avviso rappresenta in modo più pluralistico e scientificamente accurato la storia?” Bavendamm risponde il City Museum di Londra, Širok, il Parlament Museum a Manhattan, Machcewiz il Mémorial de la Grande Guerre a Peronne.

Chiude la giornata l’intervista a Katrin Himmler, nipote di Ernst Himmler, fratello minore di Heinrich Himmler, politologa, e autrice del libro The Himmler Brothers: A German Family History. La prima domanda che le viene posta è “saresti capace di metterti nei panni del fratello di tuo nonno?”. La risposta è no, anche se dice che è facile dare oggi questa risposta. Le viene poi chiesto se ha conosciuto suo nonno o il suo prozio, ma risponde che entrambi sono morti nel 1945 e che ha conosciuto solo la nonna, la quale si è sempre rifiutata di parlare del passato. Guardando alla Germania di oggi, afferma che tuttora c’è un grande gap fra la memoria collettiva costruita dallo Stato per decostruire il nazismo e quella familiare riguardo alla seconda guerra mondiale.

Alle 18 si sono conclusi i lavori, ma resta il dubbio che gli storici di professione riescano a sottrarsi alle pressioni e alla censure dei politici di turno.

 




Rivista e volume: le nuove pubblicazioni dell’Istituto storico della Resistenza di Pistoia

ISRPT Editore è lieto di annunciare la pubblicazione del numero 1/2022 della rivista “Farestoria. Società e storia pubblica” intitolato “È in gioco la storia. Giocare il passato nel tempo presente“, a cura di Costanza Bonelli e Francesco Cutolo. I soci possono venire a ritirare una copia in sede. La rivista è ordinabile in tutte le librerie italiane e sulle piattaforme di acquisto online al costo di 8 €.

Inoltre, comunica anche la pubblicazione del libro “Area Bombing. I bombardamenti anglo-americani sull’Italia durante la Seconda guerra mondiale” di Costantino Di Sante. Il libro è ordinabile in tutte le librerie italiane e sulle piattaforme di acquisto online al costo di 15 €.
Mercoledì 22 marzo 2023 alle ore 17 verrà presentato presso la Sala Manzini della Biblioteca San Giorgio.




“CARTE NERE” La nuova mostra documentaria online sul sito ISRT

L’ISRT presenta “Carte nere” la nuova mostra virtuale dedicata all’analisi della propaganda e dell’iconografia messa in atto dal fascismo prima e durante il ventennio. La mostra è stata realizzata dalla dott.sa Maria C. Sechi. Il materiale esposto è conservato presso l’ISRT e schedato nel portale Sguardi politici.
Progetto realizzato grazie al contributo del Ministero della Cultura DGERIC per le attività culturali.

Per visitare la mostra: https://www.istoresistenzatoscana.it/cartenere/
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Giorno della Memoria: Consiglio regionale solenne al Museo della Deportazione

Venerdì 27 gennaio, nell’ambito delle celebrazioni del GIORNO DELLA MEMORIA si è tenuta la SEDUTA SOLENNE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA presso il Museo della Resistenza e della Deportazione a Figline di Prato, membro dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea.
Ha aperto la seduta Antonio Mazzeo, Presidente dell’assemblea legislativa, dicendo: “Non è una prassi uscire dalle aule del Consiglio regionale, ma da oggi vogliamo prendere l’impegno di celebrare questa ricorrenza in uno dei luoghi simbolo delle violenze nazifasciste e della gloriosa Resistenza in Toscana” e dichiara l’impegno della Regione, anche in futuro, per perpetuare la memoria della Shoah: “La Toscana continuerà a lavorare, soprattutto con i giovani, per fugare le paure espresse, nella presentazione degli eventi di commemorazione a Milano il 24 gennaio, dalla Senatrice a vita Liliana Segre, la quale ha detto: “Il pericolo dell’oblio c’è sempre. Una come me ritiene che tra qualche anno sulla Shoah ci sarà una riga tra i libri di storia e poi più neanche quella”. Mazzeo conclude, metaforicamente, citando il partigiano Silvano Sarti -comandante Pillo- : “noi si va a tirare secchiate d’acqua, qualcuno, tu vedrai, si bagnerà“.
L’attenzione della Regione Toscana verso l’educazione civica dei giovani è ribadita da Alessandra Nardini, assessora alle politiche della memoria, che afferma con soddisfazione: “Questa mattina 400 studenti hanno partecipato al Meeting della Memoria presso il cinema Teatro della Compagnia a Firenze alla presenza di due deportate che ad Auschwitz entrarono da bambine: Tatiana Bucci e Kitty Braun Falaschi“.
Parla poi Matteo Biffoni, sindaco di Prato: “Questo luogo ci consente di dare una risposta al timore della Senatrice Segre, perché qui siamo in un uno straordinario luogo di studio, documentazione e ricerca storica, nel quale ogni giorno passano scolaresche e ricercatori“. Con orgoglio sottolinea anche che la città di Prato è gemellata da 35 anni con Ebensee, sottocampo di Mauthausen, dove è morta la maggior parte dei deportati pratesi.
Poi Aurora Castellani, Presidente del Museo, ripercorre le tappe della nascita e della crescita del museo dalla sua fondazione ad opera di Roberto Castellani insieme ad altri deportati politici toscani. Asserisce poi: “La memoria è un dovere, non è un qualcosa di innato, ma va costruita e coltivata. La memoria è anche un diritto e deve far parte integrante dell’istruzione. La memoria è il nostro bene comune immateriale“.
L’orazione ufficiale è affidata al Professor Paolo Pezzino, già ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa e attualmente Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Riportiamo parte del suo discorso: “Il XX secolo ha visto molti genocidi e massacri di massa di particolari gruppi sociali, ma indubbiamente il genocidio più ‘esemplare’ è rappresentato dallo sterminio degli ebrei attuato dalla Germania nazista e dai suoi alleati fra il 1941 e il 1945:
circa sei milioni di ebrei assassinati, cioè i due terzi degli ebrei d’Europa. Il 27 gennaio del 1945 veniva liberato il campo di Auschwitz: gli orrori dello sterminio nazista degli ebrei venivano così rivelati al mondo intero (anche se in seguito abbiamo appreso che molti, in realtà, già sapevano, anche nel mondo libero, e niente, o poco, fecero per intervenire, bloccare, o almeno denunciare). A distanza di oltre mezzo secolo, nel 2000, il Parlamento italiano ha accolto la proposta dell’assemblea dell’ONU e varato una legge (la n. 211 20 luglio 2000), che istituisce, in quella ricorrenza, la Giornata della memoria”. La legge prevede che ogni anno, in quel giorno, vengano organizzate manifestazioni per ricordare ‘le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati’. Sono passati ormai 23 anni, e ogni anno il numero di iniziative promosse da istituzioni, istituti di cultura, università, associazioni cresce. E allora perché l’allarme della senatrice Liliana Segre? Il punto è che ‘il ricordo per legge’ corre sempre il rischio dell’assuefazione, della ripetitività, della stanchezza. Di trasformarsi in un esercizio rituale. L’eccesso di offerta può avere le stesse conseguenze della scarsità di offerta. Anche per uno studioso specialista è ormai difficile seguire e assimilare le pubblicazioni che ogni anno escono in occasione del giorno della memoria. Poi si è puntato sui testimoni, i sopravvissuti. Giusto e doveroso. Ma se le testimonianze non si accompagnano alla conoscenza della storia, svanito l’indubbio impatto emotivo nei confronti soprattutto dei giovani delle scuole, la capacità di comprendere come sia stato possibile non viene sensibilmente rafforzata. Oltretutto cosa faremo quando inevitabilmente i testimoni non potranno più narrare le loro esperienze? E ancora. Soprattutto in Italia permangono tesi autogiustificatorie: l’antisemitismo sarebbe di importazione dalla Germania, e non un prodotto originario della dittatura fascista. Di questa ultima si tende a dare una visione riduttiva, quasi fosse un regime ‘bonario’, se non fosse stato per quella (in questa ottica inspiegabile) adesione alle teorie razziste. La società italiana non sarebbe stata razzista. Si dimentica così l’antigiudaismo diffuso dalla Chiesa cattolica (certo non su base etnica, perché restava sempre la possibilità della conversione), che predispose all’accettazione di politiche discriminatorie e persecutorie. Va poi sottolineato il nazionalismo acceso, che puntava a identificare la nazione con una presunta razza italiana. Nel discorso del 26 maggio 1927, noto come Discorso dell’Ascensione, Mussolini affermò che voleva ‘curare […] la razza italiana, cioè il popolo italiano nella sua espressione fisica’. Nel codice Rocco, a proposito Dei delitti contro la integrità e sanità della stirpe, leggiamo ‘è interesse che ha la nazione, come unità etnica, difendere la continuità e la integrità della stirpe […] ogni atto diretto a sopprimere o isterilire le fonti della procreazione è un attentato alla vita stessa della razza nella serie delle generazioni presenti e future che la compongono e quindi un’offesa all’esistenza stessa della società etnicamente considerata […] all’integrità e continuità della razza, elemento essenziale della vita della nazione e dello Stato’. E non bisogna dimenticare il razzismo coloniale: prima dell’invasione dell’Etiopia nell’estate del 1935 Mussolini scrisse ‘noi fascisti riconosciamo l’esistenza delle razze, le loro differenze e la loro gerarchia’. Le gambegi contro il madamato miravano proprio ad evitare il formarsi ‘di una generazione di mulatti in Africa orientale’. Il razzismo, nella forma di antisemitismo, si manifesta nel Discorso di Trieste, il 18 settembre 1938, di Mussolini: ‘L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del Fascismo […] Nei riguardi della politica interna, il problema di scottante attualità è quello razziale; anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito ad imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono dei poveri deficienti, ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà […] In relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono con il prestigio, occorre una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze ma delle superiorità nettissime’. Ma torniamo alla legge del 2000. Evidenti i limiti della sua formulazione: si ricorda ovviamente la Shoah, la persecuzione italiana degli ebrei, la deportazione politica, ma si scordano altre categorie: in primo luogo Rom e Sinti, gli unici, oltre agli ebrei, perseguitati su base razziale: 500.000 morti nei campi di sterminio nazisti, ma la persecuzione è stata anche in Italia. Inoltre si ricordano coloro che si opposero al genocidio, ed è giusto, ma dobbiamo sottolineare che la reazione degli italiani fu per lo più l’indifferenza. Ricorda Liliana Segre che quando fu portata da San Vittore al binario 21 della stazione di Milano, il 30 gennaio 1944, da dove fu avviata al campo di Auschwitz-Birkenau, durante il tragitto non vi fu un solo gesto di solidarietà dei milanesi. Commenta Ferruccio De Bortoli sul Corriere della sera del 25 gennaio: ‘I camion dal carcere di san Vittore – con il loro carico di vite, tra cui quella di Liliana Segre – diretti verso la stazione centrale sfilarono in una Milano con le persiane chiuse. Ignara, impaurita’. Per ogni ebreo salvato dall’aiuto di persone ‘giuste’ ve ne fu più di uno arrestato per delazione di chi condivideva la politica razzista o voleva impadronirsi dei suoi beni. Forse poi, per l’Italia, sarebbe stato più opportuno scegliere un’altra data per commemorare la Shoah: il 16 ottobre. Infatti quel giorno nel 1943 alle 5.15 del mattino le SS invadono le strade del Portico d’Ottavia e altre zone di Roma, utilizzando i dati sul censimento degli ebrei che gli Italiani avevano loro fornito; rastrellano 1024 persone, tra cui 207 bambini. Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partono dalla stazione Tiburtina. Dopo sei giorni arrivano al campo di concentramento di Auschwitz, in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna, Settimia Spizzichino, hanno fatto ritorno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato. La maggior parte dei viaggi intrapresi dagli ebrei dall’Italia fu senza ritorno: su poco meno di 7.800 deportati solo 837 sopravvissero. Su 733 bambini solo 121 ritornarono dai campi. Infine ricordiamo che i genocidi non sono solo un ricordo del passato: in Ruanda nel 1994 sono stati sterminate centinaia di migliaia di cittadini di etnia tutsi da parte dello Stato controllato dall’etnia hutu, e nei territori dell’ex Jugoslavia, nel corso del processo di definizione dei confini dei nuovi stati sorti in quell’area, sono state messe in atto, a partire dal 1992, operazioni di ‘pulizia etnica’ ed è stato perpetrato il genocidio dei maschi adulti bosniacchi a Srebrenica nel luglio 1995 da parte dei serbi. Insomma, il ‘mai più’ che ogni 27 gennaio risuona nelle manifestazioni di commemorazione è un auspicio che ad oggi non si è ancora realizzato. E solo la conoscenza critica del passato, unita alla memoria trasmessa dalle vittime, potrà formare dei cittadini attenti a riconoscere, nei nazionalismi accesi che stanno nuovamente diffondendosi nel mondo, i possibili segnali di future tragedie”.
In conclusione della celebrazione, viene citato Primo Levi: “Auschwitz è fuori di noi ma intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia“.
Troviamo un vaccino!




Call for papers – Workshop “Antifascismi, antifasciste e antifascisti Pratiche, ideologie e percorsi biografici”.

L’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in provincia di Lucca, insieme alla rete toscana degli Istituti Storici della Resistenza e la rete territoriale Fascismo e antifascismo nella Toscana nord-occidentale e nella Liguria orientale, promuove l’invio di contrivuti (Call for Papers) per un workshop nazionale – da tenersi a Lucca il 17 e il 18 marzo 2023 – finalizzato a discutere delle ricerche sull’antifascismo, e sulle antifasciste e gli antifascisti.
La Call for Papers è disponibile al seguente link:
https://www.isreclucca.it/wp-content/uploads/2023/01/Call-for-papers-antifascismi.pdf?fbclid=IwAR3LzvLP3H2X38Linak7IJvMhRo9A11UOOQ2DXXsv9ByAN1ddUxX17Lhkjc