1

Il Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza riapre al pubblico domenica 2 maggio

Il Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza riapre al pubblico domenica 2 maggio.

In conformità con le disposizioni del nuovo DPCM del 22/04/2021 il Museo riapre al pubblico – anche nel fine settimana ma solo su prenotazione – con il seguente orario ed ingresso gratuito:

durante la settimana: dal lunedì al venerdì ore 9.30-12.30 e lunedì e giovedì ore 15.00-18.00

il fine settimana: sabato ore 16.00-19.00 – domenica 9.30-12.30 e 16.00-19.00

L’ingresso durante il fine settimana è consentito solo su prenotazione telefonando al numero 0574 461655 ; dal lunedì al venerdì mattina ore 9-13, oppure scrivendo a info@museodelladeportazione.it.

Saranno prese in considerazione le richieste che arriveranno entro le ore 13 del venerdì.

 

In occasione della riapertura offriamo anche due visite guidate gratuite su prenotazione: giovedì 6 e giovedì 20 maggio alle ore 15.30.

Mercoledì 2 giugno  – FESTA DELLA REPUBBLICA – apertura straordinaria anche il pomeriggio (9.30-12.30 e 15.00-18.00) con visita guidata gratuita su prenotazione alle ore 15.30.




“Come si diventa nazisti” Una nuova proposta didattica.

In un periodo dell’anno scolastico in cui gli studenti delle classi quinte affrontano i temi storici inerenti i regimi totalitari, l’iniziativa promossa da A.P.I.S.) (Amore per il sapere) e l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (Rete degli Istituti della Resistenza e dell’età Contemporanea) offre un importante momento di riflessione per tentare di spiegare perché in tanti si sono riconosciuti in ideologie nazionaliste, razziste, antidemocratiche e si propone di fornire a studenti e docenti interpretazioni aggiornate sui regimi fascisti, per comprendere le cause del loro affermarsi nell’Europa del dopoguerra.

Il 12 Aprile 2021, dalle 11:00-12:00, si è tenuto un evento didattico in diretta streaming per le classi quinte delle Scuole Superiori dal titolo “Come si diventa nazisti?” a cui hanno aderito oltre 120 docenti, (dati toscani), per un totale di 3.000 studenti. Sono intervenuti gli storici Paolo Pezzino (docente emerito di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa, già membro della Commissione storica italo-tedesca istituita nel 2008) e Daniel Lee (Docente di storia contemporanea presso la Queen Mary University of London).

La parte più ampia dell’incontro è stata costituita dalla lezione del Prof. Pezzino “Il primo dopoguerra in Europa e l’affermarsi dei regimi fascisti”.

Riassumiamo qui la relazione del Prof-Pezzino.

 La prima immagine del Novecento che balza agli occhi di chi lo osservi alla sua conclusione è quella di un secolo di enormi distruzioni, di grandi eccidi.

Il 1914, anno nel quale scoppiò il primo conflitto che fu poi definito ‘mondiale’, rappresenta indubbiamente una cesura.

La prima guerra mondiale fu dunque uno spartiacque non soltanto per il numero enormemente accresciuto dei morti e feriti, ma perché rappresentò il primo esempio di “guerra totale” in cui anche i civili diventano oggetto delle mire distruttive delle potenze avversarie.

La guerra del 1914-18 si concluse con circa 8,5-10 milioni di morti.

Ma non sono solo le guerre a caratterizzare il secolo come violento: al Novecento appartengono anche le stragi per motivi razziali, etnici e di classe, nonché lo sradicamento di intere popolazioni dalla loro terra per spostamenti di confini nazionali. Non è un caso che in questo secolo sia stato coniato il termine “genocidio”, per indicare lo sterminio programmatico di un gruppo etnico da parte di un potere statale.

Il primo genocidio “moderno” è rappresentato dalla strage di armeni compiuta dai turchi nel 1915-1916. Furono uccisi circa due terzi della minoranza armena vivente nel territorio dell’Impero ottomano: da un milione a un milione e mezzo di persone.

Indubbiamente il genocidio più “esemplare” è rappresentato dallo sterminio degli ebrei attuato dalla Germania nazista fra il 1941 e il 1945: oltre cinque milioni di ebrei assassinati, cioè circa i due terzi degli ebrei d’Europa. Ma non solo gli ebrei furono vittime della barbarie nazista, e non solo il nazismo attuò stermini di massa.

Sistemi politici fondati sull’uso generalizzato della violenza nei confronti di particolari gruppi etnici o di particolari gruppi sociali sono una caratteristica del ventesimo secolo. Ad esempio, in Unione Sovietica vennero deportati e sterminati interi gruppi sociali. per esempio, milioni di contadini a partire dal 1930, nel corso del processo di collettivizzazione forzata.

Ma massacri si sono ripetuti anche nella seconda metà del secolo: in Cambogia il regime comunista di Pol Pot ha sterminato, tra il 1975 e il 1979, da uno a due milioni di Cambogiani, su una popolazione stimata in 6-7 milioni.

In altri paesi sono stati i comunisti ad essere massacrati: così in Indonesia furono circa 500.000 i comunisti uccisi nel 1965 nel corso del colpo di Stato che portò al potere il generale Suharto.

I massacri a carattere etnico non sono un ricordo del passato: in Ruanda nel 1994 sono stati sterminate centinaia di migliaia di cittadini di etnia tutsi da parte dello stato controllato dall’etnia hutu, e nei territori dell’ex Jugoslavia, nel corso del processo di definizione dei confini dei nuovi stati sorti dalla disgregazione della Jugoslavia, sono state messe in atto, a partire dal 1992, operazioni di “pulizia etnica”, basti pensare al genocidio di Srebrenica.

Oggi ci sorprende che gli Stati nazionali abbiano potuto convincere milioni di persone a prestare servizio negli eserciti, e la guerra abbia trovato, almeno inizialmente, vasti consensi in quasi tutti i paesi. Il fatto è che ottenere la fedeltà alla nazione da parte di tutti i cittadini aveva rappresentato nel corso della seconda metà dell’Ottocento uno dei maggiori obiettivi degli Stati nazionali. L’aggressiva propaganda nazionalista che accompagnava le politiche imperialistiche delle grandi potenze era penetrata a livello di massa.

Un altro punto è l’identità: l’identità nazionale può fondare sentimenti di solidarietà nei confronti dei propri concittadini ma può essere concepita in maniera esclusiva, dando origine a gravi conflitti: in generale, più le identità sono percepite come forti ed integrali più sostengono comportamenti individuali e collettivi in cui alla solidarietà subentra l’esclusione di chi non condivide quell’identità, sia essa nazionale, ideologica, religiosa, etnica, e la capacità razionale dell’individuo viene offuscata dall’esaltazione di chi si sente protagonista di grandi processi storici: alla nazione subentra allora il nazionalismo, alla passione politica il fanatismo ideologico, alla fede l’integralismo religioso.

L’identità nazionale agli inizi del secolo era considerata in modo totalizzante ed esclusivo, non era sottoposta a considerazioni umanitarie. L’identità di un popolo si opponeva a quella degli altri. L’“altro” popolo diventava il nemico, da annientare in quanto tale. L’indifferenza per la vita delle popolazioni civili dei paesi avversari, quando non l’aperto disprezzo nei loro confronti, rappresentò perciò una costante nelle guerre del secolo.

Si fece strada l’idea che nella lotta politica si potesse usare contro l’avversario la stessa brutalità che in guerra era stata sperimentata contro il nemico. Il fanatismo della nazionalità sarebbe stato ben presto affiancato dal fanatismo dell’ideologia.

L’esperienza della guerra di massa causò, direttamente o indirettamente, l’emergere di sistemi politici fondati su ideologie che si definiscono totalitarie.

Il termine compare a partire dagli anni Venti, per individuare le caratteristiche dello stato fascista in Italia. Tuttavia viene utilizzato soprattutto per definire i caratteri della Germania nazista e dell’URSS staliniana.

Per totalitarismo si intende un regime politico caratterizzato dalla dittatura di un unico partito e dall’uso generalizzato del terrore. Nei regimi totalitari poi prevale la volontà di un capo assoluto, che controlla non solo il partito unico ma anche l’apparato statale, che perde ogni autonomia, e quello terroristico, rappresentato da una polizia segreta onnipotente.

I regimi totalitari sono guidati da un leader carismatico, e promuovono un’ideologia ufficiale, che riguarda tutti gli aspetti della società alla quale viene imposta, e pretende di costruire una società “nuova”. Essi si differenziano dalle dittature del passato perché puntano ad una mobilitazione continua delle masse, dalle quali vogliono ottenere un consenso forzato, compatto e monolitico, e presuppongono dei moderni mezzi di comunicazione di massa: infatti tutti gli strumenti di propaganda e comunicazione, dalla stampa alla radio e al cinema, sono controllati dal regime, e viene colpita qualsiasi forma di libertà di espressione.

I regimi totalitari tendono a controllare anche l’attività economica del paese, tramite la statizzazione di tutti i mezzi di produzione, come nel caso dell’URSS, o l’obbligo a partecipare agli obiettivi economici fissati autoritariamente dallo stato, come in Germania

Il totalitarismo può essere quindi considerato una forma di dominio politico basato su un’ideologia ufficiale imposta alla società, su un partito unico, sul potere assoluto di un capo, sul terrore poliziesco e sul controllo dell’economia e dei mezzi di comunicazione di massa.

Attorno a questo concetto i popoli d’Europa si dilaniarono. Nonostante l’ostilità manifestata nei confronti di una nuova guerra dalle popolazioni ancora memori degli orrori della prima, gli stati liberali e democratici si convinsero a scendere in campo contro la Germania nazista e i suoi alleati quando apparve evidente qual era la posta in gioco: lottare contro il fanatismo della nazionalità, dell’ideologia della razza che volevano imporre nell’intero spazio europeo.

Gli ultimi 10 minuti dell’incontro sono stati dedicati alla presentazione del libroLa poltrona della SS – La vicenda di Robert Griesinger”, di Daniel Lee storico esperto della seconda guerra mondiale in Francia e Nordafrica. Il libro sembra insieme un romanzo, un giallo, un manuale di buon uso di metodo storico.

La vicenda parte dal ritrovamento fortuito dell’imbottitura di una poltrona di documenti appartenenti ad un membro delle S.S., Robert Griesinger.  Lee trova a casa di una signora olandese una poltrona riempita di documenti con svastiche; la proprietaria della poltrona era di Praga ma si era trasferita negli anni ‘70 in Olanda e lì aveva comprato mobilio usato, fra cui la poltrona ed era del tutto ignara del contenuto della imbottitura. Tutti i documenti appartenevano a un funzionario nazista che lavorava a Praga ma era di Stoccarda da parte di madre e americano da parte di padre.

Lee, da detective e storico insieme, si mette sulle tracce di Griesinger e riesce ad entrare in contatto con il ramo americano della sua famiglia. Viene così in possesso anche del diario della madre dal quale si capisce che il figlio nel ‘33 non era ancora nazista ma era interessato a partiti conservatori e odiava il comunismo. Si era poi sposato con una ricca industriale del caffè da cui aveva avuto due figlie: Ida e Barbara. Lee riesce a parlare anche con loro, anzi sono loro che, totalmente all’oscuro del passato del padre, morto nel ’45, fanno domande a lui e cercano di ricostruire chi era il padre una settantina di anni dopo. Si domandano «come mai nostro padre era nazista?», «come mai entrato nelle S..S.?»,  «Come mai era membro della Gestapo?».

Ovviamente Lee non può dare una risposta a queste domande…

Conclude l’intervento il Prof.Pezzino rispondendo ad un’alunna della Professoressa Nencioni, che ha realizzato il collegamento dal Liceo Chini Michelangelo di Lido di Camaiore (LU), che gli chiede «cosa vuol dire fare storia?».

«fondamentalmente per fare storia bisogna partire da documenti, poi si integrano con la storia orale. Bisogna sempre sottoporre la memoria a un vaglio critico e contestualizzare con onestà la propria ricerca e mai fidarsi di ciò che ti raccontano gli altri, soprattutto in epoca web di fake news».




L’ISRT è una tappa del progetto Paesaggi della Memoria Laboratorio didattico tra passato della Resistenza e presente, curato da INDIRE

A partire dal lavoro di ricerca “Archivi e memoria come mezzo per una comunicazione culturale che abbia un impatto sociale”, e in vista del 76° anniversario della Liberazione, INDIRE propone una serie di dialoghi sui Paesaggi della memoria, luoghi simbolo dell’Antifascismo, della Deportazione, della Seconda Guerra Mondiale, della Resistenza e della Liberazione in Italia.

Partito dall’esperienza di Memoranda, laboratorio didattico sui luoghi della Resistenza piemontese, il progetto biennale Paesaggi della Memoria. Laboratorio didattico tra passato della Resistenza e presente, che ha preso il via nel 2020, prevede cicli di laboratori, sperimentazioni didattiche e visite “immersive” finalizzati a coinvolgere in particolare i giovani, nella memoria dei luoghi storici del proprio territorio.

Link al progetto: https://www.raiscuola.rai.it/percorsi/paesaggidellamemoria?fbclid=IwAR1f5y77U6oJ0yviSrUogFgH3zKjuDPfoH-K8Jl7xf3CndM4KQF9cCVAunM

Il progetto, curato dalla dott.sa Pamela Giorgi, ha coinvolto anche la realtà degli Istituti della Resistenza e dell’età contemporanea con l’intervista al direttore dell’ISRT.

L’intervista al direttore dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporaneas: dott. Matteo Mazzoni:

https://www.raiscuola.rai.it/storia/articoli/2021/03/Matteo-Mazzoni-df85edef-ebbb-46c6-aae2-95c912774c9d.html




Paesaggi della memoria: percorsi didattici fra passato della Resistenza e presente

“Paesaggi della memoria: percorsi didattici fra passato della Resistenza e presente” è un piccolo progetto di comunicazione culturale rivolto alla scuola che si colloca nell’ambito della ricerca INDIRE volta a individuare possibili connessioni tra il nostro patrimonio storico, soprattutto quello considerato “minore”, e il mondo della scuola.

Con una serie di brevi interviste a curatori ed esperti di luoghi della memoria della Resistenza italiana la ricercatrice Pamela Giorgi percorre alcune tappe che si dipanano fra paesaggi della memoria, case museo di protagonisti dell’antifascismo, con il proposito di rafforzare nella scuola di base l’uso didattico di una tipologia particolare di patrimonio culturale, nel caso specifico, quello che in varie forme si riferisce ai luoghi simbolo della Resistenza italiana.

I Paesaggi della Memoria è una rete di luoghi della memoria italiana creata nel 2017 e che coinvolge 31 luoghi in 9 diverse regioni del paese. La finalità della rete è quella di dare un’identità propria al concetto di memoria, legata alla conoscenza della storia di questi luoghi.

In ognuno di essi infatti durante la seconda guerra mondiale sono avvenuti episodi importanti legati alla nostra Resistenza: rappresaglie, stragi, detenzioni. Alcuni sono più noti, altri lo sono solo a livello locale, ma per tutti, in questi anni, le associazioni che li custodiscono, hanno creato specifici percorsi didattici che consentono ai docenti di ricostruire – anche visivamente – i fatti che in quei luoghi sono accaduti, conservandone la memoria, passandola alle nuove generazioni.

Il progetto, a breve, coinvolgerà direttamente la regione Toscana!




Dopo una partecipata Assemblea sociale, eletto il nuovo Consiglio direttivo dell’ISRT

L’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea ha un nuovo consiglio. Eletti lunedì 15 febbraio da un’assemblea dei soci per la prima volta convocata in modalità online, i 18 nuovi titolari delle cariche sociali sono in prevalenza storici, con una presenza molto qualificata e variegata della società fiorentina e toscana.

Ecco anzitutto i consiglieri eletti in rigoroso ordine alfabetico: Franca Maria Alacevich, Pier Luigi Ballini, Leonardo Bianchi, Roberto Bianchi, Luca Brogioni, Camilla Brunelli, Pietro Causarano, Francesca Cavarocchi, Paul Corner, Valeria Galimi, Stefano Grassi, Gianluca Lacoppola, Giuseppe Matulli, Andrea Morandi, Mario Rossi, Irene Stolzi, Diana Toccafondi e Luigi Tomassini. Al voto sei sono presentati 25 candidati, come prevede lo Statuto, 12 consiglieri uscenti e 13 nuovi all’esperienza operativa nell’Istituto.

“I neoconsiglieri dovranno misurarsi con i nuovi scenari del XXI secolo. Non solo pandemia sanitaria, ma pandemia “populista”, nuove culture e nuovi sistemi di valore – sottolinea il presidente dell’IRST Giuseppe Matulli nel suo messaggio all’assemblea – L’Istituto deve diventare più flessibile ma tenere saldamente la barra di una politica della storia che contrasti il rischio di impoverimento culturale in un mondo caratterizzato dal progresso tecnologico”.

Il direttore Matteo Mazzoni ricorda i risultati ottenuti nell’ultimo difficile anno di pandemia, nonostante le criticità legate alle chiusure e alla riduzione dei finanziamenti. “La prospettiva strategica dell’Istituto, che riunisce ambiti ed attività spesso suddivisi fra enti diversi (dalla tutela del patrimonio, alla ricerca storica, dalla didattica alla divulgazione), parte dal lavoro di coordinamento degli istituti provinciali realizzato in questi anni e dalla competenza e passione di tutti coloro che vi lavorano e vi collaborano”.

Matulli e Mazzoni hanno poi sottolineato il ruolo importantissimo di Simone Neri Serneri e della sua lunga gestione prima come direttore e poi come presidente ed evidenziato la particolarità dello stretto rapporto tra ISRT e Regione Toscana nel contesto della politica della memoria sempre fondata su un rigoroso approccio storico. Entrambi confidano che la Regione, pur nell’eccezionalità della situazione, confermi i contributi previsti così da poter mantenere tutte le attività culturali a servizio del territorio.

L’assemblea ha visto una larga partecipazione dei soci, più di 65 gli intervenuti che hanno animato un confronto di grande qualità insieme all’assessora regionale alle Politiche della memoria Alessandra Nardini, che ha ringraziato l’ISRT e la rete degli istituti provinciali della Resistenza e dell’età contemporanea per il loro fondamentale ruolo di “presidio” culturale in un periodo di revisionismi e sovranismi, confermando anche l’impegno finanziario della Regione.

Il confronto in assemblea ha messo in evidenza la necessità per l’ISRT di lavorare ancor più decisamente, in rapporto con le istituzioni, per “storicizzare la memoria” e per incidere sulla cultura del territorio. Grande attenzione è stata dedicata anche alla questione dell’educazione alla cittadinanza, nuova materia per le scuole italiane, e del ruolo dell’Istituto come punto di riferimento per il mondo della scuola e per l’educazione permanente degli adulti.




Giorno della Memoria 2021: grazie a Regione Toscana, il treno “virtuale” della memoria è partito da Firenze.

Questo sarebbe stato il ventesimo anno dall’istituzione del Treno della Memoria, iniziativa (poi molto “imitata”) creata dalla Regione Toscana, prima in Italia. Ma a causa della pandemia, il treno questo anno non è potuto partire. E gli alunni non si sono potuti neppure riunione per ascoltare storici e testimoni al Nelson Mandela Forum, come si faceva ad anni alterni.

Ma, nonostante le difficoltà, la Regione Toscana, coadiuvata dal Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato, ha comunque celebrato la Giornata della Memoria insieme agli studenti, che si sono collegati on line in 11.000, attraverso un viaggio ‘virtuale‘ di quattro ore nella storia, nei campi di sterminio e nei ricordi di vite vissute.

Manca anche la presenza fisica dei testimoni, pure loro collegati da casa, mentre sul palco del Cinema La Compagnia di Firenze è presente Ugo Caffaz, anima fin dall’inizio del Treno della Memoria toscano, che termina così il suo breve discorso “Si dice che senza memoria non c’è futuro, no, non c’è presente, altrimenti non pensiamo a ciò che ci sta intorno, non lo guardiamo e facciamo quello che ci pare”.

Intervengono anche i rappresentanti istituzionali come Alessandra Nardini, assessora regionale all’istruzione, che invita a raccogliere l’eredità dei testimoni e a non abbassare la guardia di fronte ai rigurgiti nazisti e fascisti e ai negazionismo; Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale, che auspica che il Treno della Memoria possa partire non ad anni alterni ma tutti gli anni, e Eugenio Giani, presidente della Regione, che, con una metafora attuale, dice che il miglior vaccino contro il virus del razzismo è la memoria.

Ad animare il palco, e attraverso internet, i numerosissimi studenti collegati con i loro insegnanti dalle aule scolastiche, è l’Orchestra multietnica di Arezzo, nata nel 2007 da un percorso formativo, aperto alla partecipazione di musicisti italiani e stranieri e finalizzato alla conoscenza e all’approfondimento delle musiche tradizionali delle aree del Mediterraneo, per predisporre un repertorio basato sulla contaminazione.

Attraverso le parole e le note di Enrico Fink, ebreo, e di Alexian Santino Spinelli, rom, viene lanciato il messaggio che la cultura è fatta di incontri tra diversità e che cultura e musica significano pluralità, confronto e mescolanza. L’Orchestra apre e chiude l’evento e fa da intermezzo fra un intervento e l’altro. Questa celebrazione della Giornata della Memoria è anche l’occasione per lanciare l’ultimo disco, dal titolo Romanò Simchà, una crasi linguistica traducibile come “festa ebraica rom”. Così spiega Fink “lo scopo di questo disco è di raccontare in musica il fatto che la cultura italiana non è un blocco con dei confini a rischio di invasione, ma è sincretica, frutto anche delle minoranze. Il nostro mondo è fatto e arricchito dalla diversità”. Poi Spinelli “all’epoca dei miei genitori nascere Rom era un reato. Mio padre è stato internato da bambino in un campo per zingari vicino Potenza e ha subito la fame per la deportazione fascista”. E’ dunque giusto ricordare che ebrei e sinti e rom sono stati vittima dello stesso progetto genocidario nazifascista. Continua Spinelli “musica klezmer e rom si sono sempre mescolate, come i nostri popoli, anche quando si sono incontrati nelle segrete della Santa Inquisizione o nei lager“.

Sul palco, nella veste di conduttori, anche Camilla Brunelli e Luca Bravi, rispettivamente direttrice e collaboratore del Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato.

Il primo testimone a parlare non è sopravvissuto all’olocausto, ma alla strage di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944. E’ Enrico Pieri e proprio questo mese è stato insignito da Mattarella “Commendatore al merito della Repubblica”.

Pieri si presenta e racconta con semplicità e senza patetismo la sua vicenda: aveva 10 anni quando i nazisti -guidati dagli Italiani, sottolinea- hanno massacrato la popolazione e gli sfollati di Sant’Anna. Lui è sopravvissuto all’eccidio nascosto in un sottoscala, dove lo aveva tirato a sé un’altra bambina, Grazia Pierotti, e ha visto massacrare davanti a sé i suoi familiari ed incendiare la casa. E’ rimasto completamente solo: uccisi genitori, due sorelle, nonni, zii e cugini. Anche della famiglia Pierotti si sono salvate solo Grazia e la sorella minore. Le necessità economiche lo spingono, da adulto, ad andare a cercare lavoro in Svizzera e, sfruttando la sua esperienza di emigrato, Pieri parla dell’importanza della Europa unita e non ha parole di odio (all’inizio ammette di essere stato diffidente) verso i Tedeschi. “Quando emigrai in Svizzera capii che non si doveva e non si poteva più odiare e che mai bisogna generalizzare”. Conclude così: “facciamo dei futuri europei affinché non ci sia un’altra Sant’Anna di Stazzema”, e le sue parole ci ricordano come l’Europa nasca negli eccidi di civili, nei campi di concentramento ed in ogni altro luogo dove guerra, odio e violenza hanno creato devastazione.

Viene poi proiettato Un treno per Auschwitz: memorie di un viaggio che dura 20 anni, un video a cura della Regione Toscana con la regia Tobia Pesci. Di fronte ai nostri occhi scorrono immagini del treno in partenza dalla stazione di Santa Maria Novella, intermezzate da brevissime testimonianze di Antonio Ceseri, IMI, Tatiana Bucci e Vera Michelin Salomon, ebree, che raccontano il momento della loro cattura. Andra Bucci, invece, parla della difficoltà di rifare il viaggio verso Auschwitz, perché si rivede ogni volta in quel vagone piombato che la portò ad Auschwitz la notte del 4 aprile 1944. Del viaggio anche Marcello Martini dice: “nel viaggio verso Mauthausen ho provato la prima paura vera della mia vita”. Poi Andra racconta il momento della “selezione” all’apertura del portellone, mentre di quel momento Maria Rudolf, deportata politica, ricorda le urla in una lingua incomprensibile. La sorella Tatiana ci fa accapponare la pelle quando dice che il ricordo più intenso che ha di Birkenau è la fuliggine anche quando era estate, e l’odore acre “che poi ho capito che era di carne bruciata”. L’immagine successiva è quella di Andra che mostra il tatuaggio, di cui è orgogliosa “perché non sono riusciti a distruggermi, ad annientarmi come volevano, ma sono qui per testimoniare. I bambini ebrei dovevano morire tutti e quando si distruggono mamme e bambini si distrugge un popolo intero”.  Il video prosegue con estratti dalla “cerimonia dei nomi”, cioè la lettura da parte degli studenti, davanti al Memoriale di Birkenau, di circa 600 nomi di deportati e dell’età in cui sono morti, cui seguono una preghiera cristiana e una ebraica. Poi le interviste ai ragazzi: “il mio sistema emotivo è rimasto come congelato” afferma una studentessa, “dovrebbe essere obbligatorio da parte dei governi far fare agli studenti questa esperienza”, dice uno studente mentre un altro, attonito, confessa “nemmeno essendo qui riesco a capire”.  Infine, in uno degli incontri nel cinema Krylov a Cracovia, si parla del momento della liberazione e Marcello ricorda il crollo psicofisico subito quando si sono aperti i cancelli di Mauthausen, mentre Andrà si rammenta di un soldato con una divisa diversa da quella dei suoi aguzzini che le dà una fetta di salame.

Dopo il video, prende la parola Camilla Brunelli che introduce i testimoni e ricorda le leggi razziali e le sofferenze che esse e la persecuzione politica hanno causato in coloro che sono dovuti fuggire o emigrare.

E così appare, in collegamento da Buenos Aires, Vera Vigevani Jarach: “Io ho due dittature sulle spalle, quella fascista, perché nella Shoah ho perso mio nonno a Auschwitz, e quella di Videla in Argentina, perché mia figlia, come tanti studenti e giovani, sono state vittime del suo regime”. Nonostante tutte le persecuzioni e i lutti subiti, Vera si dichiara “una ottimista incorreggibile” e aggiunge, riferendosi al presente “Anche la pandemia ci ha insegnato qualcosa: a usare le piattaforme virtuali. Dopo il covid dovremo rivedere tutto e occuparci della fame, della miseria, delle violenze. Non sono utopie, possono e devono diventare realtà perché siamo noi a dover costruire un mondo migliore, ed io ho fiducia nei giovani, per me sono importanti i giovani”.

E così questa straordinaria 93enne, che non esce da casa da marzo scorso a causa del coronavirus, si dimostra ancora una volta una forza della natura.

Riprende la parola Camilla Brunelli per introdurre la Shoah dei bambini (un milione e mezzo) e invita a riflettere su quale ideologia ha permesso che venissero uccisi: “non è inspiegabile follia, bisogna cercare le cause economiche, ideologiche. Fu un cammino graduale che portò al genocidio di un milione e mezzo di bambini per eliminare il futuro”.

Così inizia il collegamento con Kitty Braun, italiana di origine ebrea, nata a Fiume e deportata con la sua famiglia quando aveva appena 8 anni, prima nel campo di Revensbrück e poi in quello di Bergen-Belsen. Ed è proprio dalla liberazione da questo lager che Kitty inizia a raccontare. “Neppure i soldati inglesi si avvicinarono alla baracca, dal fetore. Io ero bambina ma non camminavo più perché mi si erano atrofizzate le gambe. Così venni presa in braccio dai soldati. Nei loro occhi vedevo l’orrore di ciò che vedevano“. “Non mangiavamo da 2 settimana, ci dettero dei fagioli in scatola (che hanno aggravato la nostra dissenteria), poi ci hanno messi su tavoloni di legno dove siamo stati lavati con il bruschino e con la sistola“. “La sensazione più bella che ricordo è quando poi mi hanno messo a dormire in un letto vero. Ancora ora quando entro nel letto, prima di toccare lenzuola, faccio la doccia, per entrare in un letto voglio sdraiarmi pulita“.  Poi con il pensiero torna indietro e ricorda il momento in cui con la famiglia lascia Fiume, cambia cognome in Ferri, per nascondersi in campagna in Veneto.  “Quello in campagna è stato bel periodo, perché potevamo correte liberi e, avendo una mucca, bevevo latte fresco”. Poi la mattina dell’11 novembre 1944 veniamo presi da due SS che vengono a bussarci con un signore (delatore) e ci portano in prigione a Venezia, dove conosciamo la generosità dei prigionieri comuni che ci danno cibo. Da lì a San Sabba, dove abbiamo saputo che saremmo stati deportati in Germania. Mia madre, che era modista, ricordo che cucì un paio di mutande calde, rosa a fiori. Me li ricordo ancora questi mutandoni, che ballavano alla finestra della baracca per cercare di tappare il freddo che entrava“. Il momento drammatico che, invece, le è rimasto più impresso è quando sua zia, dopo la morte del suo bambino, Silvio, che soffriva da giorni per motivi respiratori e aveva pianto tutta la notte, ha detto “finalmente”. “A che dolore si deve arrivare per indurre una madre a dire così alla morte del figlio?”. La dottoressa Brunelli la esorta poi a ricordare il suo ritorno a casa dopo la liberazione, perché Kitty, di nuovo a Fiume, subisce ulteriori traumi. I Braun trovano la loro casa occupata dalla loro domestica Danica, che li aveva denunciati durante la clandestinità per appropriarsene. Racconta Kitty: “Chi ci apre la porta, dice “speravo che foste morti”. Ma i genitori decidono di non denunciarla. Ma non finisce qui. Nel 1947 la famiglia Braun è costretta a un nuovo esodo e da profughi istriani si trasferiscono a Firenze dove Kitty vive ancora oggi.

Il successivo collegamento è con Tatiana Bucci da Bruxelles. E’ strano vederla per la prima volta senza la sorella Andra (sono state deportate insieme a Birkenau quando avevano rispettivamente 6 e 4 anni), che, per il fuso orario di 9 ore, non può esserci, perché adesso vive in California, ma manda un messaggio registrato.
Camilla Brunelli chiede anche a lei di parlare di ciò che è successo dopo la liberazione. Tatiana inizia molto emozionata, triste, piange e ci spiega il perché “stamattina a radio 3 ho sentito parlare dei campi profughi oggi in Bosnia. ll mio pensiero va a loro“.  Poi Tatiana comincia a raccontare dell’orfanotrofio a Praga, in cui lei e Andra hanno vissuto dal gennaio ‘45 “dove abbiamo dimenticato la nostra lingua e dove ci hanno mandate per la prima volta a scuola”. Poi ricorda “un giorno fanno un appello e ci chiedono “chi di voi è ebreo?”. Rispondiamo in 5; allora ci caricano su un aereo militare e ci portano in Inghilterra, in un paesino del Surrey. Era notte al nostro arrivo, ma vediamo davanti a noi un meraviglioso cottage ricoperto di edera. Là ci accolgono a braccia aperte e ci portano in un grande stanzone: la sala giochi! Sembrava il paese dei balocchi!” “Il periodo in Inghilterra è stato il migliore della nostra vita, perché lì siano rinate“.  Andra e Tatiana alle istitutrici, dirette da Anna Freud, raccontano che mamma e papà erano morti. Infatti così credevano, non avendoli più visti da anni. Ma un giorno viene mostrata loro una foto, in cui riconoscono i genitori. Iniziano così le pratiche per il rimpatrio, che le due bambine vivono però come un nuovo sradicamento. Tatiana racconta della partenza da Victoria Station, del viaggio in treno attraverso la Francia e dell’arrivo a Roma, che definisce “traumatico”. “Al binario ad aspettarci c’era tutta la comunità ebraica che ci mostrava decine di foto di bambini per chiedere se li avevamo visti. Ma non potevamo riconoscere nessuno; solo da adulte abbiamo realizzato che erano i bambini razziati dal ghetto il 16 ottobre 1944 e gasati all’arrivo al lager”.

Arriva infime il messaggio di Andra: “nel 2004 abbiamo ricevuto una telefonata dalla Toscana per chiederci se volevano partecipare a un Treno della Memoria; non abbiano risposto subito, un po’ ci spaventava l’idea di quel viaggio, ma poi abbiamo accettato e da allora la Toscana non ci ha mai abbandonato”.  Poi si rivolge al pubblico di alunni che, dall’altra parte del mondo, la stanno guardando: “voi giovani siete il futuro, ho fiducia in voi. Dovete pensare con la vostra testa e non con quella di chi magari urla di più, e dovete aiutare gli altri”.

Ora la storia delle sorelle Bucci è conosciuta in tutto il mondo, il loro libro è stato tradotto in tedesco, inglese e croato ed è stato creato anche un cartone animato: “La stella di Andra e Tati”.
Siamo in conclusione. Prende la parola Luca Bravi “per tanto tempo queste storie non sono state raccontate, perché non c’era un contesto di persone che volevano ascoltare”.
Poi vengono mostrati quattro lavori, fra i 14 selezionati, svolti da alcuni studenti dei duecento insegnanti che quest’anno hanno partecipato ai corsi on line di preparazione al Giorno della Memoria. Il primo contributo viene da Porto Ferraio: un video in bianco e nero, in muto, basato sulla gestualità, dal titolo “io sono il mio numero”. Il secondo giunge da San Sepolcro ed è incentrato sul tema dell’indifferenza, dalle leggi razziali a oggi, con immagini di barconi carichi di migranti, di mense dei poveri, degli esclusi di ieri e di adesso. Il terzo contributo, di una scuola di Prato, si intitola “Lettera di Lena” ed è letta da Floriana Pagano. La voce narrante è quella di una solare bambina ebrea di 11 anni che racconta la svolta fra la felicità della sua infanzia, in una famiglia unita, alla tristezza del viaggio senza ritorno in un vagone merci. Il quarto, infine, è del Liceo Chini di Lido di Camaiore. In esso gli studenti, attraverso un disegno animato, approfondendo il tema dell’Aktion T4, hanno narrato la storia di ragazzo jenisch, Ernst Lossa, ucciso nella clinica di Kaufbeuren.

L’evento si conclude con la musica dell’orchestra multietnica di Prato e le parole di Primo Levi

“La storia insegna ma non ha scolari”.




La SISLav e l’Istoreco Livorno aprono la terza edizione del bando Ortaggi destinato alle opere prime inedite di storia del lavoro.

Per sostenere lo sviluppo di nuove ricerche sui temi della storia del lavoro, la Società Italiana di Storia del Lavoro (SISLav) e l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nella provincia di Livorno (Istoreco Livorno) hanno istituito nel 2016 un premio intitolato alla storica Simonetta Ortaggi, scomparsa nel 1999, studiosa e autrice di alcuni tra i più importanti e sistematici studi italiani di storia del lavoro. La terza edizione del premio è aperta alle monografie inedite che rappresentino opere prime per gli autori. Sono ammesse anche tesi di laurea e di dottorato, discusse nel triennio 2018-2020.

Il premio consiste nella pubblicazione dell’opera presso la collana “Lavori in corso” delle edizioni SISLav-NDF. Il volume sarà liberamente disponibile in versione elettronica sul sito dell’editore e acquistabile in quella cartacea.

L’opera può essere redatta (o integrata da una traduzione fedele all’originale) in una delle seguenti lingue: italiano, francese, inglese, portoghese, spagnolo, tedesco. La lingua della pubblicazione finale sarà l’italiano; l’eventuale traduzione sarà a carico dell’autore.

Condizione imprescindibile è che l’opera non sia né edita né in corso di pubblicazione e che il candidato non abbia già pubblicato altri lavori in forma monografica. Non vi è alcun vincolo, né di natura cronologica né territoriale, circa l’argomento oggetto della monografia: possono essere presentate ricerche relative a qualsiasi periodo storico, dall’età antica alla contemporanea, e a qualsiasi area territoriale.

La candidatura deve essere presentata entro il 1 marzo 2021 compilando il facsimile allegato e spedendolo all’indirizzo e-mail storialavoro@gmail.com, allegando copia elettronica della tesi o della monografia, un abstract in italiano di massimo 4.000 caratteri, un breve curriculum vitae utile a contestualizzare la ricerca nell’ambito degli interessi del candidato e una lista delle eventuali pubblicazioni.

Per rendere definitiva la candidatura è necessario inviare una copia cartacea della tesi o della monografia entro la data del 1 aprile 2021 al seguente indirizzo:

Società Italiana di Storia del Lavoro
c/o Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità DiSSGeA
Università degli Studi di Padova
Via del Vescovado, 30, 35141 Padova

Farà fede il timbro dell’ufficio postale di partenza. La copia cartacea della tesi non sarà restituita al termine della selezione ma conservata presso la sede della SISLav. Entro il 30 settembre 2021 un’apposita Commissione valuterà insindacabilmente la tesi vincitrice del premio. La Commissione sarà formata da cinque membri: tre nominati dal Direttivo SISLav e due nominati dall’Istoreco Livorno. La composizione della commissione verrà comunicata sul sito della SISLav (http://storialavoro.it) entro il 15 marzo 2021.

La Commissione comunicherà l’esito a tutti i candidati. A suo insindacabile giudizio, qualora nessuna delle opere concorrenti risulti adeguata sotto il profilo tematico e/o qualitativo, il premio potrà non essere assegnato. La Commissione si riserva inoltre di attribuire una menzione speciale a favore della pubblicazione di opere non vincitrici ma ritenute comunque meritevoli.

Il vincitore è tenuto a inviare all’indirizzo email storialavoro@gmail.com – entro quattro mesi dalla comunicazione dell’esito – una versione rivista della sua opera:

– tenendo conto delle indicazioni editoriali e scientifiche della Commissione;
– redatta secondo le norme editoriali della collana “Lavori in corso” delle edizioni SISLav-NDF;
– in lingua italiana, dunque se necessario tradotta a cura e a spese dell’Autore.

Per la revisione della tesi il vincitore potrà avvalersi di due interlocutori indicati dal Direttivo SISLav.

L’Autore rinuncerà ai diritti sulle vendite e avrà diritto a 20 copie cartacee del volume.
Indietro




Conferita dal Presidente della Repubblica l’onorificenza di commendatore al merito della Repubblica Italiana a Enrico Pieri.

È di ieri, 29 dicembre 2020, la notizia che il Presidente Mattarella ha assegnato 36 onorificenze al merito della Repubblica. Una di esse va ad Enrico Pieri, sopravvissuto e testimone della strage di Sant’Anna di Stazzema.

Il 12 agosto 1944 Enrico aveva 10 anni quando a Sant’Anna di Stazzema furono massacrate, dalla violenza nazifascista, uomini ma soprattutto anziane donne bambini e sfollati. Enrico si salva insieme a due sorelline nascondendosi in un sottoscala mentre la casa va a fuoco. In quel giorno perde i genitori, due sorelle, gli zii, i nonni e i cugini.  Uscendo poi dal suo rifugio e nascondendosi nei boschi e poi ritornando a Sant’Anna, ha modo di vedere in tutta la sua crudezza, in tutto il suo orrore quello che le SS avevano compiuto a Sant’Anna di Stazzema. 10 anni sono veramente pochi, sono traumi dai quali ci si può non riprendere e anche Enrico ha spesso detto che sogna ancora la notte di dover fuggire da un luogo chiuso, perché sono esperienze che ti rimangono assolutamente dentro. Però Pieri è riuscito è rielaborarle, nonostante la vita difficile. Emigrato per 35 anni in Svizzera, è tornato in Italia e da quel momento non si è mai stancato di testimoniare, di mantenere la memoria di quello che era successo ma con alcuni particolari accenti: nelle parole di Enrico Pieri non troverete mai odio, perché riesce sempre a distinguere tra quello che hanno fatto quegli uomini in nome di un’ideologia come quella nazista è quello che fanno oggi la Germania e i Tedeschi.

Oggi Enrico Pieri  è il Presidente dell’Associazione martiri di Sant’Anna di Stazzema. Va instancabilmente nelle scuole, riceve instabilmente le scolaresche che salgono a Sant’Anna di Stazzema e in tutti i suoi discorsi fa sempre riferimento alla pace che l’Europa ha vissuto dopo la fine del secondo conflitto mondiale e al fatto che questa pace è garantita in Italia dei valori della Costituzione e soprattutto è garantita dalla nascita dell’Unione Europea.

Tutti i discorsi di Enrico Pieri sono l’auspicio che l’Unione Europea possa effettivamente essere un’unione di popoli e non solo di stati, che testimoni che quello orrore che si è manifestato a Sant’Anna di Stazzema 12 agosto del ‘44 -così come del resto in tutta Europa- sia effettivamente sorpassato dal processo di unificazione in base ai valori di giustizia e di pace.

Ecco, la giustizia è un altro dei valori di Enrico Pieri che ha seguito con grande attenzione il processo per i fatti di Sant’Anna di Stazzema che si è tenuto alla Spezia molti decenni dopo quei fatti. Enrico ha sempre detto che quel processo era il riconoscimento di quello che era stato, perché, se giustizia non era stata fatta nel senso comune – i responsabili ancora vivi, processati e condannati all’ ergastolo non sono stati estradati in Italia e non hanno neanche scontato la loro pena in Germania- l’importante, anche per le giovani generazioni, era che venisse riconosciuto quello che era avvenuto. Il giudizio finale, dopo il tribunale di La Spezia, l’avrebbe dato la Storia.

Proprio per questo suo costante impegno, il riconoscimento di oggi non è il primo che Enrico Pieri avuto: nel 2011 è stato nominato Cittadino Europeo dell’anno dal Parlamento europeo e questo luglio, insieme a Enio Mancini, un altro superstite e testimone costante di quello che è successo e dei valori di pace di giustizia che da Sant’Anna emanano verso il resto del paese (ma si potrebbe dire verso tutto il mondo) è stato nominato Cavaliere della Repubblica federale tedesca.

Oggi Mattarella motiva  l’onorificenza che ha concesso  a Pieri come punto di riferimento per generazioni,  testimone della memoria, della storia, dei valori di pace e di giustizia.

Ricordiamo infine che Enrico Pieri ha donato la sua casa, la casa dove avvenne l’eccidio e dove lui si salvò, al Comune di Stazzema perché possa diventare uno dei luoghi di raccolta e di riferimento per le comitive sempre più numerose che salgono a Sant’Anna, dove manca ancora, per esempio, una foresteria che consenta di poter passare anche due giorni, la notte, nel Parco della pace. Enrico ha voluto donare la sua casa perché Sant’ Anna diventi sempre più un luogo della memoria non solo toscana, non solo nazionale, ma europea.