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La Scuola del Popolo a Prato con il contributo del CDSE

Storia e territorio, quello che a scuola non si studia; Quelle donne in marcia per la pace nel 1917; Migrazioni stagionali e definitive dal nostro territorio; La fine della mezzadria e l’industrializzazione; La scuola come speranza di emancipazione e crescita sociale: sono i titoli degli incontri in programma alla “Scuola del popolo”, il progetto di studio, conoscenza, discussione, socialità, lanciato anche a Prato a settembre dello scorso anno da Flc Cgil (Federazione lavoratori della conoscenza) e Spi Cgil («con 50 iscritti e una partecipazione media, in presenza, di 30 persone, ha reso evidente il bisogno di misurarsi su temi di attualità, basandosi sulla conoscenza e lo studio dei fatti», nelle parole di Maria Grazia Tempesti segretaria Spi Cgil Prato), che da gennaio ad aprile realizza il suo terzo modulo formativo, in collaborazione con la Fondazione CDSE (Centro di documentazione storica etnografica) e il Cidi (Centro iniziativa democratica insegnanti), sezione pratese.
Gli incontri, gratuiti come i precedenti, che avrebbero dovuto tenersi nella sala “Bruno Fattori” della Camera del Lavoro, si svolgono, quantomeno i prossimi due, in modalità on line, a causa della perdurante situazione pandemica.
Per partecipare basta inviare, entro venerdì 21 gennaio, una mail a gtempesti@prato.tosc.cgil.it, con nome e cognome e numero di cellulare.
Nei giorni che precedono l’evento agli iscritti sarà inoltrato, sempre per mail, il link per accedere al seminario sulla piattaforna Webex Meet.
Il terzo modulo formativo, mutuato sul modello e la metodologia del Centro di documentazione storica etnografica, nel quale il sindacato è stato diretto protagonista, sintetizzato dalla direttrice Alessia Cecconi in «centralità della scuola, educazione permanente, educazione alla complessità, ricerca di base e ricerca delle fonti», sarà inaugurato martedì 25 gennaio dalla professoressa Annalisa Marchi, docente di Lettere, che come ricercatrice di storia locale e della storia del Novecento, con l’uso di fonti dirette, iconografiche e orali, ha dato origine 40 anni orsono all’esperienza del Cdse. «Lezioni – spiega la prof.ssa Marchi – non cattedratiche, con la partecipazione di più soggetti, per scoprire i segni della storia più vicina e da qui partire per cogliere le trasformazioni più grandi». Tutto il programma, dal primo seminario di impianto più prettamente metodologico all’ultima conferenza, è concepito come un viaggio che dalle radici locali si estende sul proscenio della storia del Novecento.
Filosofia che incarna lo spirito della “Scuola del popolo”: «Il progetto di Flc e Spi Cgil Prato – dichiara Filomena Di Santo segretaria generale Flc Cgil Prato – intende regalare momenti di conoscenza a quanti desiderano approfondire argomenti e temi del dibattito pubblico, svolti spesso in forme oscure o approssimative».
«La “Scuola del popolo”, così come è stata concepita, offre l’opportunità – nelle conclusioni di Di Santo e Tempesti – di condividere esperienze per arricchire la propria vita personale e dare valore al proprio tempo libero, con scambi per accrescere il proprio bagaglio culturale».

Il programma

martedì 25 gennaio – ore 16,30-18,30

Storia e territorio, quello che a scuola non si studia. Per seminare dal basso una comunità educante: le fonti della storia in dialogo fra loro, per cogliere lezioni e contraddizioni della storia del Novecento.

martedì 8 febbraio – ore 16,30-18,30

Quelle donne in marcia per la pace nel 1917, attraverso la graphic novel della Fondazione CDSE

martedì 22 febbraio e 1 marzo – ore 16,30-18,30

Migrazioni stagionali e definitive dal nostro territorio: quando, dove e perché. Arrivi e partenze nella storia del Novecento: dal passato al presente.

martedì 22 marzo – ore 16,30-18,30

La fine della mezzadria e l’industrializzazione: il tempo del boom economico nell’area pratese negli anni Cinquanta e Sessanta.

martedì 12 aprile – ore 16,30-18,30

La scuola come speranza di emancipazione e crescita sociale: la lezione di don Milani e le esperienze delle 150 ore.

Posted in News & Eventi Fondazione CDSE




Scomparso Enrico Pieri, una vita per la conoscenza della strage di Sant’Anna di Stazzema

(ANSA) – SANT’ANNA STAZZEMA (LUCCA), 10 DIC – E’ morto, dopo una malattia, Enrico Pieri superstite dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema (Lucca) del 12 agosto 1944, era nato il 19 aprile 1934.

Era presidente dell’Associazione Martiri Sant’Anna Stazzema, ha dedicato tutta la vita a far conoscere la strage ed ha perfino donato all’associazione la sua casa d’infanzia, la stessa in cui fu sterminata la sua famiglia (i genitori, due sorelle, nonni, zii, cugini), luogo dove favorire incontri e dare spazio alle delegazioni di studenti e ricercatori che si recano a Sant’Anna per informarsi e approfondire la conoscenza storica di quegli eventi.

Enrico Pieri aveva 10 anni quando riuscì a salvarsi dallo sterminio. Era commendatore dell’ordine al merito della Repubblica Italiana conferito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La Repubblica Federale Tedesca lo ha insignito del cavalierato insieme ad Ennio Mancini altro superstite della strage. La sua vita lo ha visto impegnato in prima linea anche nelle scuole, per divulgare quanto accaduto a Sant’Anna il 12 agosto 1944 ed anche se le sue condizioni di salute erano ormai precarie fino all’ultimo ha voluto essere in prima linea e farsi testimone di quella barbarie a cui era sopravvissuto.

Estratto da articolo redazione ANSA 10 dicembre 2021.




L’Ambiente al centro della nuova edizione di “Scenari del Novecento” promossa dall’Istituto della Resistenza di Pistoia

L’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Pistoia in collaborazione con la provincia di Pistoia e la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia son lieti di invitarvi alla  nuova edizione di “Scenari del XX secolo” dedicato al tema “Democrazia e ambiente”.

La storia ambientale, un filone storiografico relativamente recente che indaga sul rapporto fra uomo e ambiente e la loro vicendevole influenza.

L’Antropocene è la nuova epoca in cui l’uomo si propone come agente geologico; il termine attribuito a Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica, risale al 2000 e definisce un insieme di fenomeni prodottidall’uomo che modificano l’ambiente, aria, acqua, suolo e vita animata, creando inoltre una nuova matrice ambientale, la tecnosfera, caratterizzata dai prodotti artificiali e dai rifiuti che ne conseguono dopo il loro utilizzo, auto, computer, elettrodomestici, fino alle discariche. L’indicatore dell’Antropocene è il cambiamento climatico, da qui la necessità di un’inversione dirotta consapevole delle azioni umane.

L’argomento ci consente di rapportarsi al presente e alla didattica trasversale dell’Educazione civica, in particolare l’asse dello sviluppo sostenibile (l’Agenda 2030), oltre a Costituzione e Cittadinanza. Come sostiene Edgar Morin è necessario un superamento della spartizione delle discipline, scienze naturali e scienze umane, per “insegnare la condizione umana”; missione dell’Istituto e dei partner di questo progetto è la conoscenza storica e critica e la promozione di una cittadinanza attiva.

Il percorso  inizierà con un corso di formazione per i docenti  che si terrà nel mese di novembre strutturato in tre giornate con due relatori e un laboratorio didattico, al fine di analizzare il tema in modo approfondito, riservando sempre uno spazio per metodologie e pratiche per la didattica. Il corso è gratuito e valido per l’espletamento della formazione docente.

Gli incontri di approfondimento previsti sono sei, quattro destinati alle giornate del calendario civile (Giorno della Memoria, Giorno del Ricordo, Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo, Festa di Liberazione), due al tema scelto, “Democrazia e ambiente”.




Tempo di scuola 2022 – La proposta dell’ISGREC per insegnanti e studenti

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La proposta dell’Isgrec per insegnanti e studenti.
Tutti i corsi per insegnanti, come di consueto, sono aperti anche ai non insegnanti.

>>> Scarica il pdf

Versione sfogliabile on line:




Grande perdita per la storiografia: è morto Enzo Collotti

Ci ha lascito oggi all’età di 92 anni Enzo Collotti, tra i più autorevoli storici del secondo conflitto mondiale, dei crimini del nazifascismo e della Resistenza, accademico italiano che ha insegnato Storia contemporanea alle Università di Firenze, Bologna e Trieste,, maestro per diverse generazioni di studiose e studiosi. Fra i più importanti storici italiani ed europei nello studio della Germania nazista e della Resistenza italiana, innumerevoli le sue pubblicazioni, essenziali i suoi studi per comprendere dinamiche e protagonisti dell’occupazione nazista in Italia, quindi delle persecuzioni antisemite, delle deportazioni contro ogni stereotipo. Maestro di rigore e di critica, attento al valore civile della conoscenza storica.
Era nato a Messina nel 1929, si era laureato in Giurisprudenza con una tesi sul tema del lavoro nella Costituzione italiana e aveva insegnato anche presso gli atenei di Bologna e Trieste, oltre che a Firenze dove aveva concluso la sua carriera e dove è rimasto punto di riferimento per docenti e studiosi fino alla fine.




Si è spento il prof. Klaus Voigt membro del Comitato scientifico della Fondazione Museo della deportazione e della Resistenza

Martedì 21 settembre vinto da un breve e terribile male, si è spento in ospedale a Berlino il Prof. Klaus Voigtcaro amico e dal 2018 membro del Comitato scientifico della Fondazione Museo della deportazione della Resistenza di Prato.

Partecipò ad una delle prime iniziative del Museo della Deportazione da quando fu fondato nell’aprile del 2002: venne, il 4 dicembre dello stesso anno, a presentare il suo libro appena uscito per i tipi de La Nuova Italia, “Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga, 1940-1945”. E’ da oltre vent’anni che Klaus Voigt era vicino al Museo mettendo a disposizione con generosità e vivo interesse per i nostri obiettivi, le sue conoscenze e i suoi contatti. Persona gentile e profonda, ci mancherà moltissimo.

Storico insigne e pietra miliare per lo studio dell’esilio ebraico in Italia e delle vicende di intellettuali ed esuli oppositori del Reich. Berlinese di nascita (1938), ma cosmopolita per relazioni e docenze, dopo il dottorato di ricerca presso la Libera Università di Berlino, era stato ospite di prestigiosi atenei in Francia (Parigi, Nancy) e negli USA (Cornell University).

Ma il legame più profondo, da sempre coltivato, Klaus Voigt l’ha intrattenuto con l’Italia. Soprattutto con la Toscana e con l’Emilia Romagna. Come docente, presso le Università di Siena e Bologna, e come assistente e borsista presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze.

Assiduo e prezioso interlocutore culturale delle nostre istituzioni (Consiglio Regionale, Provincia, Comune di Firenze, Istituti Storici della Resistenza) – in particolare nel primo decennio di questo secolo e in occasione del 60° anniversario della Resistenza e Liberazione in Toscana – ha proposto e curato mostre e iniziative accompagnate da pubblicazioni e cataloghi di grande interesse. Tra le tante ricordiamo la mostra Klaus Mann – Eduard Bargheer, Due esuli tedeschi nella Firenze liberata 1944-45, ospitata in Palazzo Vecchio nel 2004, e il libro “Un amico a Lucca. Ricordi d’infanzia e d’esilio” con lettere inedite di Don Arturo Paoli all’amico ebreo da lui salvato e divenuto un affermato intellettuale tedesco.

Oltre al fondamentale “Il rifugio precario” edito da La Nuova Italia, 1993-96, in due volumi, sull’esilio ebraico in Italia dal 1933 al 1945, è da ricordare l’approfondito studio della vicenda dei ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola: “Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga 1940 – 1945”, edito da La Nuova Italia, Firenze-Milano 2002; lavoro che gli ha valso la cittadinanza onoraria di quel Comune.

Appassionato di arte, ha collaborato a lungo con la Akademie der Künste e con il Politecnico di Berlino. In questi ultimi mesi stava lavorando a un libro e alla realizzazione di una mostra, in collaborazione con la Galleria degli Uffizi e la nostra Fondazione Museo della Deportazione di Prato, sul pittore ebreo tedesco Rudolf Levy, arrestato a Firenze e ucciso ad Auschwitz.




“La manutenzione della memoria”, conferenza del prof. Pezzino presidente Istituto Parri

Nell’ambito del Festival con_vivere che si è tenuto a Carrara dal 9 al 12 settembre, questo anno dedicato alla Manutenzione della vita, il professor Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Ha tenuto una conferenza dal titolo la manutenzione della memoria.
L’intervento è stato introdotto dalle parole di Nando Sanguinetti, partigiano e presidente ANPI di Carrara, e moderato da Massimo Michelucci, direttore dell’Istituto storico della Resistenza apuana.
Sanguinetti ha avuto parole vementi contro l’equiparazione della memoria: “Quella dei partigiani non è come quella dei saloini. E non è vero che entrambi hanno combattuto e commesso anche nefandezze perché erano giovani idealisti”. Michelucci è d’accordo: “i morti sono tutti uguali ma da vivi furono diversi”.
L’anziano partigiano è sconcertato dalle manifestazioni costanti di neofascismo: steli, come quella su cui è incisa una poesia di Ubaldo Bellugi, potestà di Massa, che è stata inaugurata dalla giunta di destra della città il 21 Marzo 2019, monumenti, nomi delle strade. Viene citata infatti la proposta del leghista Durigon a Latina dell’inizio di agosto di intestare una piazza,che era dedicata a Falcone e Borsellino, ad Arnaldo Mussolini. È preoccupato dalle nuove ronde, come quella chiamata provocatoriamente SSS, acronico per “soccorso sociale sicurezza” come si è data nome a Massa Carrara su proposta del tre di maggio del 2021 del consigliere comunale di Forza Italia Stefano Benedetti. Conclude dicendo: “ora più che mai c’è bisogno di cura della memoria e di antifascismo resistente e attivo”.
Il professor Pezzino dà inizio alla sua conferenza dicendo che il termine memoria è inflazionato e cita tale proposito un recente saggio di Valentina Pisanty, dal quale emerge che le realtà nazionali in cui sono più violente le destre sono quelle nelle quali la politica della memoria è stata più implementata, perché si tratta di una memoria collettiva. “La memoria invece per sua natura è un qualcosa di selettivo”. E a tale proposito Cita Yerushalmi: “E’ comune ritenere che una società non possa esistere senza una memoria di quanto è avvenuto nel passato: la selezione degli elementi da conservare serve a trasmettere da una generazione all’altra un passato dotato di senso ed in quanto tale sostiene quel complesso di riti e di valori che costituisce per un popolo il senso della propria identità e del proprio destino. Diventeranno oggetto di trasmissione solo quei momenti tratti dal passato che vengano sentiti come educativi ed esemplari per la hallakhah (hallakhah è parola ebraica che indica il sentiero su cui si cammina, la Strada, ndr) di un popolo, così come è vissuta in quel momento; il resto della ‘storia’ cade, si può dire quasi letteralmente, fuori dal sentiero”. In altre parole, vi è una memoria che serve a fondare una comunità civile dotandola di unità di passato e di comunità di intenti, ed una memoria che invece si oppone alla stessa operazione, una memoria come “rimedio contro l’odio” ed una usata “per spargere odio” E tuttavia non è, naturalmente, un’operazione indolore: “La memoria e l’oblio – ha scritto Remo Bodei – non rappresentano […] terreni neutrali, ma veri e propri campi di battaglia, in cui si decide, si sagoma e si legittima l’identità, specie quella collettiva”. In questo processo vengono di solito utilizzate rimozioni, invenzioni, falsificazioni, cancellazioni della memoria, più o meno istituzionate”.
Bisogna iniziare a sostituire il termine memoria con quello di storia perché la storia è un antidoto”, sostiene Pezzino.
Lo storico si deve avvalere di un insieme di mezzi di analisi, tra cui le fonti, anche quelle orali, per ricostruire il passato, consapevole che non si possa ricostruire tutto. Lo storico deve essere animato da umiltà, modestia, tolleranza e deve stare ai fatti”.
Questo diceva Salvemini degli storici “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere”.
In conclusione Pezzino ritorna al tema dell’incontro: “Tornando alla domanda iniziale Come si fa la manutenzione della memoria? La si fa studiando la storia! E come si fa la manutenzione della storia? Attraverso la ricerca, con un efficiente sistema archivistico e bibliotecario (che in questo momento in Italia sono pessimi) e attraverso lo studio della storia nella scuola, anch’esso passato in secondo piano”.




Lectio di Paolo Pezzino per la chiusura del Festival Fino al cuore della Rivolta 2021

“Questa domenica in Settembre” direbbe Guccini, il 5, “Fra i castagni dell’Appennino” (in realtà della Lunigiana) si è concluso il Festival Fino al cuore della Rivolta, presso il Museo audiovisivo della Resistenza a Fosdinovo.

Il gran finale ha coniugato cultura e musica, come è nell’anima del Festival. Sono stati celebrati i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta con Maria Antonietta che ha magistralmente interpretato il Canto XXVII dell’Inferno con uno spettacolo dal titolo L’inferno di Guido. La musica è stata quella hard rock dei Little Pieces of Marmelade, conosciuti anche come LPOM, che sono stati capaci di attirare un pubblico giovanile.

Nella giornata conclusiva non poteva mancare Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, che ha un rapporto privilegiato con il Museo audiovisivo della Resistenza, di cui è il Direttore scientifico.

Il Professore ha tenuto una lectio brevis dal titolo Creare un museo nazionale della Resistenza in Italia: un’impresa impossibile? Questa domanda sembra apparentemente stupida, sostiene Pezzino.

A pensarci non c’è neppure un museo nazionale del Risorgimento. Anche se la Resistenza non è il secondo Risorgimento, come ancora qualcuno sostiene.

Gli elementi che ostano sono tre.

Il primo è che la Resistenza non è stato un momento di unità delle forze antifasciste dopo il ’45, non conservando la sua natura interpartitica. Questo perché dopo, nel clima di guerra fredda, alcuni partiti non hanno più rivendicato a partecipazione alla Resistenza ed essa è diventata un momento divisivo, come osservò Norberto Bobbio: “l’anticomunismo si è sostituito all’antifascismo”. Inizia addirittura una rivalutazione del fascismo e viene fondato l’MSI esplicitamente ispirato all’ultimo momento del fascismo. Poi l’antifascismo è passato di moda e ora c’è chi dice che Mussolini ha fatto anche cose buone. Berlusconi non ha mai celebrato il 25 Aprile tranne l’ultimo anno del suo governo. I 5 stelle sull’antifascismo non hanno mai detto una parola chiara, perché al loro interno convivono una anima di destra e una di sinistra, quindi non si indentificano con l’antifascismo. E ora ci sono forze politiche (Lega, Fratelli di Italia) che si richiamano, implicitamente o esplicitamente, all’esperienza fascista per rivalutarla.

Dunque, trattandosi di un museo nazionale, la spinta alla sua istituzione doveva venire dal governo, ma non è mai arrivata. Solo il Ministro Franceschini circa due anni fa ha annunciato a Milano un finanziamento per la creazione del Museo Nazionale della Resistenza.

Il secondo motivo “ostante” è che la Resistenza è stata per lo più un fenomeno locale, con bande che trovavano difficoltà a connettersi e a collegarsi a strutture più ampie, tranne che nell’ultimo periodo della lotta armata. Il ricordo che dunque se ne è voluto dare è localistico. Non si è sentito il bisogno di narrare complessivamente una storia così complessa. Questo spiega perché, sparsi sul territorio nazionale, ci sono decine di musei della Resistenza: uno è questi è quello di Fosdinovo, che pur essendo collegato alla realtà di Massa, Carrara, La Spezia, ha un afflato nazionale. Altri esempi sono casa Cervi, il museo della deportazione di Carpi, quello di Via Tasso, il museo diffuso di Torino… Insomma, la frammentazione rispecchiala realtà italiana.

E veniamo al terzo punto: il museo della Resistenza deve essere storico, non un memoriale dei partigiani e nel costituirlo, bisogna tenere conto della sua estrema complessità. Della Resistenza si è fatto il braccio armato del popolo italiano che dopo il 25 Aprile si era svegliato antifascista. Questa è una celebrazione retorica, non storica. Per allestire un museo storico della Resistenza deve essere affrontata la complessità di essa, quella complessità che ha magistralmente individuato Claudio Pavone parlando di tre guerre: una di liberazione nazionale, una civile, una di classe (quest’ultima in alcune zone di Italia, soprattutto in Emilia Romagna). La Resistenza non è sempre uguale cronologicamente né geograficamente. Molto diverse sono state anche le bande: comuniste, socialiste, del partito di azione, autonome, composte principalmente da militari, cattoliche etc.

Non bisogna dimenticare che alla Resistenza italiana hanno partecipato anche molti non italiani. A questo proposito si veda, ad esempio, il recente libro curato da Mirco Carrattieri e Iara Meloni Partigiani della Wehrmacht. Ma alla Resistenza italiana hanno aderito anche stranieri, ad esempio partigiani russi e cecoslovacchi, così come Italiani hanno partecipato alla Resistenze all’estero. Bisogna pure ricordare che c’è stata una Resistenza armata, una direzione politica che si esprimeva nei comitati di liberazione nazionale, e una resistenza civile.

Insomma, quello sulla Resistenza è un discorso complesso che necessità di una grande sforzo scientifico, e un grave impegno finanziario per costituire un museo storico nazionale che sia degno di tale nome.

Attualmente è in gestazione a Milano un museo nazionale della Resistenza, che dovrà sorgere accanto alla Fondazione Feltrinelli. È stato creato Consiglio di supervisione che comprende due rappresentanti del Comune di Milano, due del segretariato regionale per la Lombardia dei Beni Culturali in rappresentanza del Mibac, dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri che dovrà curare la progettazione scientifica. C’è poi un comitato di esperti nominato dalle varie associazioni, con il quale condividere il progetto museale.

Nonostante la volontà del Ministro Franceschini, per la creazione del museo permangono alcuni problemi organizzativi e finanziari: 25milioni di euro sembrano tanti, ma non lo sono se si considera che bisogna costruire un edificio nuovo. Inoltre bisognerà prevedere, come in tutte le principali realtà europee, un importante centro di documentazione con archivio e biblioteca.

Nonostante tutto, il Museo Nazionale della Resistenza dovrebbe venire alla luce nel 2024-2025.

Speriamo di realizzare una struttura all’altezza dei musei nazionali che troviamo all’estero, in grado di parlare a livello europeo di queste tematiche.