1

Gino Bartali e i Giusti toscani che salvarono gli ebrei

Tenere la memoria viva. A questo serve principalmente l’istituzione dell’onorificenza di “Giusto tra le nazioni” voluta dallo stato d’Israele che ad oggi riconosce questo status a quasi 25.000 persone. Il termine “Giusto tra le nazioni” è utilizzato per indicare i non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare quella anche di un solo ebreo dal genocidio nazista conosciuto come Shoah.

Nel mio lavoro ho voluto parlare soprattutto di quattro toscani che sono stati insigniti del riconoscimento da Yad Vashem, il museo-archivio con sede a Gerusalemme che oltre ad essere il memoriale ufficiale delle vittime ebree dell’Olocausto, è l’unica istituzione a riconoscere il titolo di “Giusto tra le nazioni”: presso il museo si trova, infatti, il Giardino dei Giusti, dove vengono onorati coloro che a rischio della propria vita salvarono degli ebrei dallo sterminio. In totale sono 107 i toscani riconosciuti, su un totale di 563 italiani.

Tra i più importanti, perché conosciuto, ma anche perché la storia del suo impegno nella salvezza di molti ebrei rivela il rischio per la sua carriera e per la sua stessa vita, è Gino Bartali. Su sollecitazione dell’arcivescovo fiorentino Elia Dalla Costa, che fu molto attivo durante la fine della Seconda Guerra Mondiale nell’aiutare profughi ebrei, il campione di ciclismo diventò una delle staffette in bicicletta che portavano ordini, documenti falsi, informazioni per permettere di spostare o nascondere gli ebrei in difficoltà. Nel 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la medaglia d’oro al merito civile per aver salvato «circa 800 cittadini ebrei».

Un altro toscano che si distinse per evitare violenze fu l’avvocato livornese Giovanni Gelati che si ritrovò podestà del piccolo comune vicino Lucca dove era sfollato con la famiglia, Coreglia Antelminelli. Con il “vero” podestà rapito dai partigiani e i tedeschi che incalzavano, nell’estate del ’44, l’antifascista Gelati fu costretto ad accettare la realtà: il paese era allo sbando, e lui era l’unico che poteva prendere in mano la situazione. Con saggezza e umiltà si assunse il compito difficilissimo di mediare tra le varie forze in campo, e tra mille peripezie e pericoli riuscì a tenere a bada gli animi, a riempire i granai, evitare la sorte atroce e sempre in agguato, a portare in salvo il paese oltre la liberazione, per poi tornarsene infine alla vita privata.

Don Arturo Paoli, invece, è un prete lucchese, responsabile della casa degli Oblati del Volto Santo, che usò quell’edificio come luogo per nascondere poco meno di un migliaio di ebrei. Dopo partì per il Sudamerica, dove è stato per oltre 45 anni missionario in Brasile e si è interessato alla teologia della liberazione. Oggi vive sulle colline a pochi chilometri da Lucca. E’ una figura molto importante tra i Giusti toscani per la sua alta dignità etica e la sua sincera testimonianza religiosa. Oltre ad essere celebrato nel 1999 Giusto tra le nazioni è stato insignito dell’onorificenza al valore civile da Carlo Azeglio Ciampi, nel 2006.

Tra i Giusti toscani c’è inoltre anche Vittoria Valacchi, una signora fiorentina, che insieme alla zia Elena Cecchini, salvò alcune famiglie di ebrei nascondendole in un podere nella campagna intorno a Firenze. E’ l’ultima toscana insignita dell’onorificenza di Giusta tra le nazioni, e vive oggi a Firenze a poche decine di metri da una delle figlie della famiglia che salvò, i Salmon.

Questo lavoro di ricerca offre poi una lunga serie di schede su tutti i toscani insigniti dell’onorificenza di “Giusto tra le nazioni” che corrisponde al detto del Talmud: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”.

 

Alfredo De Girolamo manager pubblico, presidente di Confservizi Cispel Toscana; pubblicista e scrittore, collaboratore delle principali testate giornalistiche nazionali e regionali, nella sua attività divulgativa ha pubblicato i libri Gerusalemme, ultimo viaggio (Ets, 2009), Kibbutz 3000 (Ets, 2011), Acqua in mente (Ets, 2012), Israele 2013 (Ets, 2013), Servizi Pubblici Locali (Donzelli, 2013), Gino Bartali e i Giusti toscani (Ets, 2014), Francesco in Terra Santa (Ets, 2014).




Teresa Mattei, la “ragazza di Montecitorio”

2 giugno 1946, le cronache del voto descrivono lunghe file di donne in attesa alle urne per votare. E’ la prima volta che sono chiamate ad esercitare il proprio diritto di voto. Si chiede loro un atto di grande responsabilità, poiché con quelle elezioni si edifica la Repubblica italiana che deve dotarsi di uno degli strumenti atti a preservare la democrazia, la Costituzione. Ma è anche la prima volta che le donne hanno la possibilità di essere elette. Sono 21 le madri costituenti che il 25 giugno 1946 entrano per la prima volta alla Camera dei deputati insieme agli altri politici (556 in totale). Generi e generazioni a confronto, impegnati nella costruzione della democrazia italiana. Tra loro anche la giovane toscana Teresa Mattei.

teresa mattei a vent'anniNata a Quarto (Genova) il 1 febbraio 1921 da Ugo Mattei, industriale, attivo in Giustizia e Libertà, e da Clara Friedmann, Teresa cresce in una famiglia di ispirazione antifascista. Dopo l’infanzia passata a Milano, dove la famiglia si era stabilita per il lavoro del padre, i Mattei si spostano a Bagno a Ripoli nel 1933, dove la casa è frequentata da intellettuali e da quelle che sarebbero divenute personalità di spicco dell’antifascismo prima, della resistenza poi e infine della vita politica italiana del dopoguerra, come per esempio Piero Calamandrei, Giorgio La Pira, Natalia Ginzburg, Carlo Levi. L’apprendistato alla politica avviene quindi per Teresa in famiglia, partecipando ai dibattiti e anche ad alcune azioni concrete che il padre le affida. Appena sedicenne, nel 1937, accetta per esempio di portare a Nizza una colletta raccolta da alcuni compagni in sostegno dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. Al ritorno da questa prima azione incontra don Primo Mazzolari a Mantova per portargli alcuni messaggi, ma in questa circostanza incorre nel fermo da parte della polizia fascista. Scagionata dall’intervento del padre e tornata a Firenze, manifesta in più occasioni apertamente le proprie convinzioni, soprattutto a scuola, discutendo e disobbedendo ad alcuni regolamenti, fino a che nel 1938, interrompendo un professore che sta esaltando in classe le leggi razziali, viene espulsa da tutte le scuole del Regno.

Nel 1942 si iscrive, insieme al fratello Gianfranco, al Partito comunista italiano e successivamente, in seguito alla destituzione di Mussolini, alla firma dell’armistizio e all’occupazione tedesca, fa parte della resistenza col nome di battaglia Chicchi. All’interno dei Gruppi di difesa della donna e dei GAP si occupa di tenere i collegamenti tra i diversi gruppi e i componenti delle brigate partigiane, ma è protagonista anche di azioni più impegnative. È questo il periodo in cui incontra Bruno Sanguinetti, poi suo futuro marito, del quale diventa stretta collaboratrice. Nel febbraio 1944 la famiglia Mattei è segnata da un tragico avvenimento. Il fratello Gianfranco, trasferitosi a Roma, dove fa parte dei GAP, viene catturato dai tedeschi, imprigionato e torturato in via Tasso. Per non rischiare di tradire i suoi compagni e rivelare informazioni sul movimento partigiano, si suicida in cella con la cintura dei pantaloni. Teresa parte subito per Roma, anche per dare conforto ai genitori, e porta con sé le matrici dell’Unità. Durante il tragitto è anche lei fermata da soldati tedeschi, interrogata, percossa e, come ha rivelato solo cinquant’anni dopo in un’intervista a Gianni Minà, stuprata.

La violenza subita non la fa desistere dal suo impegno e, tornata in Toscana, organizza e prende parte agli scioperi del marzo 1944 a Firenze e a Empoli, e più tardi è in prima fila, guidando una squadra di una cinquantina di partigiani, nella battaglia per la liberazione della città nel settembre del 1944.

Dopo la fine della guerra l’impegno attivo politico e sociale di Teresa continua: lavora nella Federazione fiorentina del PCI, soprattutto nell’ambito femminile e nell’UDI. E’ infatti proprio durante il primo congresso nazionale dell’UDI, tenutosi a Firenze tra il 20 e il 23 ottobre 1945, che Palmiro Togliatti rimane colpito dalla personalità della Mattei, che viene quindi chiamata a lavorare a Roma, alla direzione del partito.

In vista delle elezioni per la Costituente viene candidata per la circoscrizione Firenze-Pistoia. Ottiene 5299 preferenze, poche in confronto alle 15384 dell’altra candidata fiorentina, la socialista Bianca Bianchi, ma quante bastano per essere una delle 21 donne che entrano a far parte dell’Assemblea.

19471222-presentazione-costituzione-al-presidente-de-nicola-4In seno ai lavori della Costituente sono da ricordare in particolare la battaglia di Teresa Mattei affinché al comma secondo dell’art. 3, relativo alla “completa uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge”, venisse aggiunta l’espressione “di fatto”; l’impegno, disatteso, per ottenere che il testo costituzionale riconoscesse esplicita­mente il diritto delle donne ad entrare in magistratura; la discussione  per l’articolo 37, laddove, con riferimento al lavoro femminile, si fissava l’obiettivo di assicurare “alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione” (articolo che ha destato aspre polemiche, per quella espressione, che identificava “l’essenziale” funzione di madre delle donne).

Il 27 dicembre 1947 viene conferito a Teresa l’incarico, in qualità di costituente più giovane, di consegnare nelle mani del presidente Enrico De Nicola il testo costitutivo della neonata Repubblica Italiana.

In seguito Teresa Mattei ha alcune divergenze con Togliatti, già avviate in seno alla discussione per l’art. 7, in quanto sostenitrice della laicità dello Stato, proseguite per la sua gravidanza, frutto della relazione extraconiugale con Sanguinetti, e culminate nel 1955 quando, per la sua opposizione alla linea antidemocratica del partito, viene espulsa.

Negli anni seguenti l’impegno di Teresa Mattei, dopo la fase pisana di partecipazione al fermento della fine degli anni ’60 e inizio degli anni ’70, si rivolge prevalentemente alle tematiche dell’ educazione e dei diritti dell’infanzia e nella fase finale della sua vita, si  dedica alla testimonianza e all’impegno civile nell’ANPI, sul terreno dei diritti e della difesa della Costituzione, mostrando fino alla più tarda età la fierezza, la determinazione e il coraggio delle proprie idee.




Oriano Niccolai, il creativo rosso

Racconta Oriano Niccolai, classe 1930, di essersi fatto tutta la Sardegna a dorso di mulo per girare documentari, in 16 mm, per la propaganda politica del Partito comunista. Era il 1968 e grazie al benestare di Enrico Berlinguer, conosciuto negli anni Cinquanta a Livorno, Niccolai organizzò quello che fu probabilmente l’esordio di una campagna elettorale multimediale nella storia del Pci. Con Berlinguer, allora non ancora segretario nazionale, passò una nottata girovagando tra le strade di Cagliari per esporgli la sua idea innovativa di comunicazione politica. E quell’anno, per le elezioni regionali sull’isola, non furono solo comizi e manifesti: per la prima volta vennero utilizzati musica, report e documentari.

Oltre 2000 manifesti
Non è da molto che la storiografia ha cominciato ad occuparsi delle forme della comunicazione politica dei partiti di massa del dopoguerra. Un contributo originale e significativo è arrivato di recente proprio dalla riscoperta dell’opera di Niccolai, grazie al progetto che gli ha dedicato l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nella provincia di Livorno (Istoreco). Selezionando tra gli oltre 2mila manifesti presenti nel suo archivio (di cui quasi due terzi realizzati da Niccolai dagli anni Cinquanta ad oggi), l’Istoreco ha allestito una mostra a lui dedicata Rosso creativo. Oriano Niccolai 50 anni di manifesti, da cui è scaturito poi un catalogo curato da Margherita Paoletti e Valentina Sorbi (vedi a fianco).

Il creativo rosso
Difficile definire con categorie standard il profilo biografico di Niccolai: non certo un intellettuale, né un semplice creatore di manifesti. La penna del giornalista del “Tirreno” Luciano De Majo, in occasione dei suoi ottant’anni, gli trovò una definizione originale: «il creativo rosso». Creativo perché non solo funzionario addetto allo stampa e propaganda, non solo grafico e impaginatore, ma anche disegnatore, autore, giornalista. Un creativo a tutto tondo, che è stato in grado di anticipare i tempi ideando per la Federazione di Livorno, e poi in diverse parti d’Italia, delle moderne campagne di comunicazione, capaci di utilizzare strumenti nuovi e diversi registri per veicolare il messaggio politico.

Manifesto per la Festa dell’Unità di Livorno (1965) (Archivio Istoreco Livorno)

Manifesto per la Festa dell’Unità di Livorno (1965) (Archivio Istoreco Livorno)

Spicca il volo dal “Nido delle Aquile”
D’altra parte la formazione di Niccolai è imbevuta di pittura e cinema. A Livorno, sua città natale, giovanissimo frequenta gli ambienti di pittura cittadini, per poi grazie a Nelusko Giachini e, soprattutto, Silvano Filippelli, appassionarsi al cinema francese e all’arte del far manifesti. Alla fine degli anni ’40 comincia dunque a frequentare “il Nido delle Aquile”, cioè l’Ufficio propaganda della Federazione comunista livornese, un gruppo effervescente composto da intellettuali, giornalisti, disegnatori e critici d’arte. In questa fucina Niccolai impara ad andare oltre l’idea del grafico tout court, diviene un comunicatore: testo e immagine cooperano in pari grado alla comunicazione del messaggio. Da qui la grande attenzione alle tecniche giornalistiche di impaginazione e la sperimentazione di nuove forme di comunicazione, come la striscia luminosa lunga più di 350 metri, costruita per la Festa dell’Unità di Livorno del 1979.

L’uomo delle isole
Di lui si accorgono i vertici nazionali, che da Livorno lo inviano in giro per l’Italia a mettere la sua esperienza nella comunicazione al servizio delle Federazioni più deboli. Nel 1968 in Sardegna, poi nel 1971, a seguito di un gemellaggio delle Federazioni di Livorno e Pisa con quella di Caltanissetta, cominciano i suoi pellegrinaggi in Sicilia. Fino al 1984 saranno undici i suoi viaggi in terra siciliana (in particolare per le elezioni regionali del 1976). E poi la Calabria nel 1978 per tenere corsi sulla propaganda e le tecniche di comunicazione. Privilegiato poi il rapporto con l’Isola d’Elba in cui lavora moltissimo fino alla fine degli anni Ottanta.

Da Rodari a Steiner, passando per Zancanaro
Quello con Berlinguer non è il solo incontro importante nella vita di Niccolai, tutto il suo percorso è costellato di incontri e amicizie di rilievo: con Gianni Rodari, nel 1949 a Reggio Emilia (con cui lavorò poi fianco a fianco nella campagna elettorale nazionale del 1958), con Albe Steiner negli anni Sessanta a Bologna, con Tono Zancanaro con cui lavorò negli anni siciliani. Niccolai è curioso e innovativo, gli incontri ne forgiano l’estro e la personalità, ma è capace di rielaborare un suo percorso autonomo, lontano dalle esagerazioni retoriche della lotta politica tra blocchi. Nei manifesti di Oriano, scrive Sergio Staino nel catalogo della mostra, «tutto si muove nella ricerca di un giusto equilibrio tra l’informazione del messaggio e la sottolineatura espressiva dello stesso».