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Mostra permanente della Linea Gotica in Val Bisenzio

Sedi e contatti
Indirizzo: Piazza del Comune 20, San Quirico di Vernio (Prato)
Telefono: 3921579581
E-mail: info@lineagoticavernio.it
Sito web: http://www.lineagoticavernio.it/
Orari di apertura: Domenica 10-12, 15-18 (la mostra è visitabile su prenotazione)

Organi direttivi
La mostra è curata dell’Associazione “Linea Gotica Alta Val Bisenzio”.

Breve storia e finalità
Il passaggio della guerra ha segnato non poco il territorio della Val Bisenzio, sia in modo fisico ma anche nell’animo delle persone che l’hanno vissuta. Molteplici sono stati i bombardamenti e le distruzioni, anche di interi paesi, le deportazioni e molti i civili caduti.
La mostra permanente, è stata sin dagli albori, il principale filo conduttore che ha riunito gli appassionati del luogo e l’amministrazione comunale a far sì che si gettassero le basi per far nascere l’Associazione nel Marzo 2012. All’interno le vetrine sono divise per settori a seconda della nazionalità. Un’ala dell’esposizione è dedicata ai ritrovamenti di scavo sulla Linea gotica della nostra zona e un’altra dedicata ai resti del bombardiere B25 che fu abbattuto sulle nostre montagne.
Si può osservare una ricostruzione di una parte di trincea tedesca, foto varie e documenti del periodo bellico.




Archivio storico diocesano di Prato

Sede e contatti
Via del Seminario, 28, 59100 Prato
Tel. 0574/433494
Fax 0574/445077
E-mail: beni.culturali@diocesiprato.it
Sito web: http://www.diocesiprato.it/archivio-diocesano/
Orario: Martedì, Giovedì, Venerdì 8.30-13,00, e a richiesta anche su appuntamento

Breve storia, finalità e patrimonio
L’Archivio storico diocesano, costituito con decreto del vescovo di Prato del 1° luglio 1981, ha per scopo la cura, tutela, la conservazione e la valorizzazione degli archivi storici della Diocesi di Prato.
L’Archivio storico della Curia diocesana è formato da 317 pergamene (1270-1916), 133 piante acquarellate (XVII-XIX secolo) e da 1852 fra registri, buste e filze (XIII-XX secolo). L’archivio è dotato di inventario a stampa, ed è anche consultabile in formato elettronico CDS/ASDP.
L’Archivio del Capitolo della Cattedrale è costituito da 165 pergamene (1119-1954), da 2481 pezzi e da 34 codici corali liturgici di notevole valore storico e artistico; è dotato di inventario a stampa.
L’Archivio della Cappella musicale del Duomo è costituito da 81 buste di manoscritti autografi di compositori e organisti toscani del XVIII-XX secolo.
Gli Archivi parrocchiali di 61 fra pievi e chiese con cura d’anime, oltre ai registri parrocchiali (battesimi, cresime, matrimoni, morti e stati d’anime dal XVI secolo), accolgono corali liturgici (secolo XIV-XIX), codici statutari di compagnie (secolo XVI-XVIII), pergamene, manoscritti di musica sacra, lettere e memorie di parroci, piante e, a stampa, periodici parrocchiali, lettere pastorali, bandi e circolari (secolo XVII-XX).
Nell’Archivio storico diocesano sono inoltre confluiti l’Archivio del Seminario vescovile (buste n. 81,1839-1954); l’Archivio del Rifugio Maria Assunta in Cielo (buste n. 9,1934-1962); l’Archivio del Pio Istituto Marianna Nistri (buste n. 234, XIX-XX secolo); l’Archivio Castagnoli, del compositore pratese Giovanni Castagnoli (1867-1944), formato da 1621 pezzi (secolo XVIII-XX); l’Archivio Guasti, dell’organista pratese Guido Guasti (+ 1947), con circa 270 fascicoli (secolo XVIII-XX).




Archivio Fotografico Toscano

Sede e contatti
Via Santa Caterina 17 – 59100 Prato
Tel. 0574 1835149 – 50- 51
Fax. 0574 1837310
E-mail: info@aft.it
Sito web: www.aft.it
Orari: su appuntamento

Breve storia e finalità
L’Archivio Fotografico Toscano, aperto al pubblico dal 1985, si è costituito alla fine degli anni settanta per iniziativa del Comune di Prato. Un gruppo di esperti, poi comitato scientifico, ha contribuito alla realizzazione del progetto e ne ha seguito l’impostazione e il funzionamento.
Gli scopi e le finalità che l’archivio si propone sono quelli di costituire una propria raccolta permanente, promuovere studi e ricerche, favorire il coordinamento e la realizzazione di iniziative, al fine di diffondere la conoscenza della fotografia, storica e contemporanea.

Patrimonio
L’archivio dispone di una collezione di immagini, una biblioteca ed emeroteca specializzata di fotografia e una raccolta di oggetti fotografici d’interesse storico – museale.
La collezione di fotografie dell’AFT è composto da circa sessantamila immagini, di argomento vario, databili tra la fine dell’ottocento e gli anni ottanta del novecento e in continuo incremento.
Inoltre, accanto alla collezione storica, l’Archivio si sta ampliando attraverso una collezione di fotografia contemporanea.




Archivio di Stato di Prato

Sede e contatti
Palazzo Datini, via Ser Lapo Mazzei, 41- 59100 Prato
Tel. 0574.26064
Fax: 0574.445175
E-mail: as-po@beniculturali.it
Sito web: www.archiviodistato.prato.it
Orario: lunedì e mercoledì dalle 8.30 alle 17.20 – martedì, giovedì e venerdì dalle 8.30 alle 13.55

Organi direttivi
Direttore: Diana Marta Toccafondi

Breve storia
La Sezione di Archivio di Stato di Prato fu istituita con d.m. 10 gen. 1957, era indicata secondo la legislazione allora vigente, con il nome di Sottosezione di Archivio di Stato. Divenne Sezione in base all’art. 57 della 1. 30 sett. 1963, n. 1409, il quale prevedeva, entro due anni, la soppressione totale delle sottosezioni.
In seguito all’istituzione della provincia di Prato con decreto legislativo n.254 del 6 marzo 1992, la Sezione è diventata Archivio di Stato con decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali del 24 maggio 1997, Gazzetta Ufficiale nr.197 del 25 agosto 1997.
Fin dalla sua istituzione ebbe sede nel palazzo trecentesco di Francesco di Marco Datini, che venne restaurato appositamente per la nuova destinazione.
Guido Pampaloni tra il 1957 e il 1958, si occupò dell’istituzione della sottosezione dell’Archivio di Stato di Prato e ne divenne il primo direttore e, in occasione dell’apertura ufficiale dell’istituto, realizzò una guida-inventario sommaria di tutti i fondi conservati salvo: l’archivio comunale di Vernio, i fondi della pretura e del commissariato di pubblica sicurezza di Prato e l’archivio della famiglia Vai Guicciardini. Nel 1969 divenne direttore dell’Archivio di Stato di Firenze e dal 1973, ottenuta la libera docenza, si dedicò all’insegnamento, prima di storia medievale poi di paleografia e diplomatica, fino al 1984.

Patrimonio
L’Archivio di Stato di Prato è formato, in termini quantitativi, da una consistenza totale di 25.094 filze, buste, pacchi, volumi, fascicoli e registri, e 314 pergamene; inoltre è possibile usufruire di una biblioteca contenete 465 volumi e 181 opuscoli.
Carte di provenienza pratese, inoltre, vanno ricercate nell’Archivio di Stato di Firenze, in particolar modo negli archivi notarili, nelle corporazioni religiose e nel Diplomatico, oltre al fondo della Propositura di S. Stefano di Prato.




Poggio alla Malva

L’11 giugno 1944, un gruppo di partigiani guidati da Bogardo Buricchi fece esplodere 8 vagoni carichi di esplosivo che si trovavano in sosta su un binario morto fra il paese di Poggio alla Malva e la piccola stazione ferroviaria di Carmignano.
L’esplosivo proveniva dallo stabilimento Nobel, situato appena al di là della stazione.Nel 1944 lo stabilimento Nobel produceva materiale bellico al servizio dei tedeschi nel loro estremo tentativo di bloccare l’avanzata degli alleati e di distruggere le realtà produttive dell’Italia. Il materiale esplosivo, in procinto di essere inviato a destinazione, avrebbe potuto servire, secondo alcune ipotesi, alla distruzione dei macchinari delle fabbriche di Prato, oppure ad obiettivi sulla costa toscana, facilmente raggiungibili per ferrovia.L’azione partigiana, a lungo meditata dal gruppo che faceva capo a Bogardo Buricchi, aveva l’obbiettivo di eliminare l’esplosivo e sventare i disegni distruttivi delle forze d’occupazione tedesche, favorendo, con questa ed altre precedenti azioni di sabotaggio (taglio di fili elettrici e telefonici, danneggiamenti alla ferrovia) l’avanzata degli alleati che, dopo la conquista di Roma (4 giugno 1944) si trovavano ormai ai confini della Toscana.L’azione riuscì, maquattro partigiani persero la vita: il capo del gruppo Bogardo Buricchi, il fratello Alighiero, Ariodante Naldi, tutti fra i 20 ed i 25 anni ed il più anziano del gruppo, Bruno Spinelli, 43 anni, morti per le conseguenze della violentissima esplosione.La SAP (squadra di azione partigiana) “Fratelli Buricchi”” si era formata nell’ottobre 1943 per iniziativa di Bogardo Buricchi; operò nella zona del Comune di Carmignano compresa fra il Montalbano e la valle dell’ Arno, ebbe contatti con i partiti politici del C.L.N. di Prato e di Firenze attraverso Loris Cantini, commissario politico di zona.Non ebbe contatti diretti con il Comando Italiano e con il Comando degli Alleati, agiva in conformità delle direttive impartite da Loris Cantini.Bogardo Buricchi ne fu il primo Comandante dal 1 ottobre 1943, data di costituzione, fino all’11 giugno 1944, giorno della sua morte.Dall’11 giugno 1944 al 3 settembre 1944 , data della Liberazione, ne fu Comandante Umberto Moretti.Ne fecero parte: Bogardo e Alighiero Buricchi, Lido Sardi, Bruno Spinelli e Mario Banci, abitanti alla Serra, Ariodante Naldi, Ruffo del Guerra, Enzo Faraoni, abitanti a Poggio alla Malva, e poi Giuseppe Cardini, Umberto Pinferi, Attilio Bellini, Umberto Moretti, Daniele Gori, Bruno Castagnoli, Rizzieri Buricchi, Emilio Mainardi, Silvano Borchi, Gualtiero Giovannelli,Giuseppe Cardini, tutti ad esclusione di Gori, di Carmignano.La squadra non aveva alcun equipaggiamento militare se non le armi (1 mitra, 11 moschetti, varie rivoltelle e bombe a mano) che furono in parte acquistate con un finanziamento del C.L.N.La squadra si specializzò in azioni di sabotaggio delle linee di comunicazione nemiche, nella stampa e diffusione di manifesti di propaganda antifascista. Nel marzo 1944 organizzò lo sciopero dei contadini che si rifiutarono di portare all’ammasso una rata supplementare di grano e per impedire le verifiche annonarie da parte delle autorità nazifasciste, incendiò l’ufficio accertamenti agricoli del Comune.La notte del 30 aprile 1944 Bogardo Buricchi, con il fratello Alighiero e Lido Sardi, issò la bandiera rossa sulla torre del Campano di Carmignano, divellendo nella discesa i pioli della scala, così la bandiera sventolò nella giornata del I° maggio come una sfida visibile a tutta la pianura.Dopo la liberazione di Roma (inizi di giugno 1944) i partigiani intensificarono le azioni di disturbo ed i sabotaggi in modo da favorire l’avanzata degli alleati.I tedeschi stavano invece attuando un piano di distruzioni. Alla distruzione delle fabbriche di Prato, o ad azioni consimili in qualche città della costa toscana, era destinato sicuramente anche il tritolo contenuto nei vagoni che uscivano dal polverificio Nobel, uno dei più importanti d’Italia.Gli Alleati, consapevoli del suo valore strategico cercarono più volte di colpirlo senza riuscirvi, anche le formazioni partigiane avevano pensato di farlo saltare, desistendo poi dall’intento per le conseguenze catastrofiche che tale azione avrebbe avuto per le popolazioni dei dintorni.Restava la possibilità di sabotare il materiale esplosivo portato fuori dal deposito e lasciato in sosta su un binario apposito prima di essere convogliato a destinazione.Nei primi giorni del giugno 1944 otto vagoni (Umberto Moretti, nella sua relazione datata 16 maggio 1945, parla di 13 vagoni di cui 8 pieni di casse di tritolo pressato per circa 140 tonnellate) sostavano sul binario morto a 400 metri dalla stazione di Carmignano.Quando Enzo Faraoni fece sapere a Bogardo che stavano per partire, Bogardo, che da tempo studiava questo sabotaggio, decise di agire.Si recò alla Catena per avvisare il commissario di zona Loris Cantini, forse anche per avere il permesso definitivo all’azione, ma Cantini era assente, Bogardo lo attese tutto il pomeriggio, poi a sera ripartì con la miccia ed una bomba a tempo che si era fatti consegnare, indispensabili per portare a termine l’azione che gli sarebbe costata la vita.La notte del 10 giugno 1944 si erano dati appuntamento a mezzanotte e mezza alla Cavaccia, una vecchia cava di pietraserena in disuso al di sopra del luogo dove erano fermi i vagoni.Là erano arrivati Bogardo Buricchi e il fratello Alighiero, Lido Sardi, Mario Banci e Bruno Spinelli che abitavano alla Serra, Ariodante Naldi, Enzo Faraoni e Ruffo del Guerra da Poggio alla Malva. Riuniti i suoi uomini, Bogardo li fece scendere in due gruppi in modo da controllare l’inizio e la fine del convoglio, per eliminare, nel caso vi fossero state, le sentinelle di guardia. Per fortuna quella sera c’era una festa alla Nobel ed i soldati tedeschi insieme ai fascisti erano andati tutti là a ballare.Raggiunti i vagoni, mentre gli altri stavano di guardia, Enzo Faraoni spiombò un vagone, Bogardo e Ariodante vi salirono per mettere la miccia e la bomba a tempo che doveva innescare l’esplosione, prelevarono anche una cassetta di esplosivo utile per successive azioni che fu consegnata a Bruno Spinelli che si avviò su per il sentiero che porta alla Cavaccia.Si dice che avessero con se’ anche un fascio di balistite e che aprissero alcune casse di tritolo forse per dare fuoco direttamente al materiale che si trovava nel vagone. Potrebbe anche essere stato questo il motivo dell’esplosione che avvenne prima del tempo.Mentre Bogardo dava il segnale luminoso convenuto per allontanarsi, avvenne la prima esplosione che colpì in pieno Bogardo, Alighiero e Ariodante, mentre Bruno Spinelli, che si trovava già nella strada soprastante, fu scaraventato dallo spostamento d’aria contro un masso dove batté violentemente la testa e morì poche ore dopo in ospedale.Dei tre che erano vicini ai vagoni vennero ritrovati solo poveri resti, disintegrati dalle esplosioni che si succedettero a catena comunicandosi da un vagone all’altro.
Invece Ruffo del Guerra, Enzo Faraoni, Lido Sardi e Mario Banci, anche se feriti ed assordati, riuscirono ad allontanarsi e a tornare alle proprie case.Ruffo del Guerra, ferito seriamente, fu trasportato in ospedale confondendosi con i feriti del paese, e benché sospettato e interrogato riuscì a non essere accusato dell’azione.Anche Enzo Faraoni ebbe bisogno di cure e il suo maestro e amico Ottone Rosai mandò un carro funebre a prelevarlo per portarlo a Firenze dove lo nascose in casa sua.Nel paese di Poggio alla Malva ed in una vasta zona intorno, i danni furono notevoli: le case ebbero i tetti scoperchiati e saltarono porte e finestre, l’esplosione fu sentita benissimo da Prato, Firenze e Pistoia.Venne fatta un’indagine che fu lunga e infruttuosa, non ci furono rappresaglie da parte dei tedeschi, probabilmente la morte dei presunti autori, le devastazioni della campagna e dei paesi intorno fu considerata punizione adeguata.
La linea ferroviaria, che tante volte inutilmente gli aerei degli alleati avevano cercato di colpire, fu definitivamente interrotta dalla larga e profonda voragine aperta dall’esplosione ed il polverificio Nobel, pur non avendo riportato danni gravi, venne chiuso per sempre lasciando l’esercito tedesco in questa zona e in questo momento cruciale della guerra, senza esplosivo. Ogni anno l’11 Giugno l’Amministrazione Comunale di Carmignano ricorda questo episodio con una serie di manifestazioni culminanti nel ricordo dei partigiani che morirono nell’azione, al cippo con i loro nomi, alla presenza dei rappresentanti e dei gonfaloni dei Comuni e delle Province di tutta la Toscana, della Regione, dell’ANPI e di altre istituzioni.
Bogardo ed Alighiero Buricchi, Ariodante Naldi e Bruno Spinelli furono insigniti della medaglia d’argento al valor militare alla memoria agli inizi degli anni 70.




Museo Soffici

Sede e contatti
Via Lorenzo Il Magnifico 9, presso ex Scuderie Medicee, Poggio a Caiano (Prato)
Telefono: 055.8701287/0/1
E-mail: info@museoardengosoffici.it
Sito web: http://www.museoardengosoffici.it/index.php
Orari di apertura: 1 aprile-30 settembre: dal giovedì alla domenica 10-13 e 14.30-19; 1 ottobre-31 marzo: sabato, domenica e festivi 10-13 e 14.30-17.30
Biglietto d’ingresso: adulti 3,00 euro.

Organi direttivi
Ufficio Cultura: Luigi Corsetti (l.corsetti@comune.poggio@caiano.po.it)

Breve storia e finalità
Inaugurato il 16 maggio 2009 a Poggio a Caiano, al primo piano delle restaurate Scuderie Medicee, adiacenti alla Villa di Lorenzo Il Magnifico, il Museo Ardengo Soffici possiede una mostra permanente delle opere dell’artista e un Centro studi dedicato alla conoscenza di questo grande protagonista della cultura del Novecento.
Il Museo Soffici è un omaggio del Comune di Poggio a Caiano a quest’intellettuale che scelse di vivere in questi luoghi e immortalarne la campagna in tante sue opere; dal 2012, il museo ha assunto la dicitura di “Museo Ardengo Soffici e del ‘900 italiano”, con la volontà di  rappresentare, attraverso l’artista e i suoi numerosissimi contatti nel panorama culturale italiano, uno spaccato dell’arte del Novecento.

Ardengo Soffici (1879-1964), pittore, scrittore e critico d’arte, è stato uno dei personaggi più importanti del secolo scorso. Nacque a Rignano sull’Arno nel 1879, ma trascorse tutta la vita a Poggio a Caiano, cittadina scelta al suo ritorno da Parigi, nel 1907, dopo un soggiorno settennale in cui aveva conosciuto i maggiori protagonisti dell’avanguardia francese, da Picasso, ad Apollinaire, Max Jacobs, Braque. Rientrato in Italia con un bagaglio culturale aggiornato sulle correnti d’Oltralpe, fu il primo a scrivere di Cezanne, Rimbaud, Medardo Rosso, dei cubisti Picasso e Braque, oltre ad organizzare a Firenze, nel 1910, la prima mostra degli impressionisti in Italia. Successivamente fondò la rivista Lacerba con Papini, abbracciò il Futurismo, poi tornò ad un naturalismo più oggettivo, che lui definiva “realismo sintetico”.

Escluse le interruzioni per la guerra 1915-1918, per il lavoro giornalistico a Roma, 1923-1924, e per le vicissitudini politiche del 1944-1946, Poggio a Caiano è stato per Soffici il suo quartier generale, da cui l’artista è riuscito a tenersi in contatto con la cultura del suo tempo. Aprirsi al mondo da un paese di Toscana non era certo agevole in un tempo preinformatico: le sue risorse stavano nella fecondità del lavoro, nel prestigio che si era meritato.

Per l’opera di Ardengo Soffici scrittore e pittore possiamo dire che Poggio a Caiano sia il suo museo a cielo aperto: gli ha prestato le forme del panorama naturale e umano, e ne ha ricevuto la forma lirica e plastica, fino all’identificazione del paese con l’interprete.

Patrimonio
I 50 dipinti di Soffici, custoditi in diverse raccolte pubbliche e private, sono presentati in questo Museo in rassegna estesa, dal 1904 agli anni Sessanta: è così possibile ricostruire l’iter pittorico e seguire il contributo stilistico, ormai storicizzato, di questo artista dal carattere europeo, ancor più significativo per aver mantenuto un profilo ben radicato in una terra.

Il percorso espositivo, suddiviso in piccole sezioni dedicate alle principali tappe della sua carriera artistica (artista europeo, cubismo e futurismo, la famiglia, il dopoguerra, il paesaggio, la pittura murale), termina nella saletta video, in cui è possibile vedere, per concessione Rai, un’intervista a Soffici, realizzata a Poggio a Caiano nel 1957.

Dal Museo si può accedere ad una Biblioteca specializzata con le prime edizioni delle opere a stampa dell’artista toscano, una raccolta della bibliografia critica, la collana completa delle riviste da lui dirette o alle quali collaborò (in particolare Leonardo, La Voce, Lacerba, Rete Mediterranea, Galleria) e un archivio d’immagini e documenti a lui riconducibili.




I Faggi di Javello (Vaiano)

Sul versante destro del fiume Bisenzio, giusto di fronte ai monti della Calvana, si trovano i Faggi di Javello, una vasta area boschiva protagonista dal febbraio 1944 delle azioni dei partigiani della brigata Orlando Storai e in seguito base per la brigata Bogardo Buricchi. Schignano è il centro di questa vasta area, luogo di raccolta per tutti quei ragazzi che dopo l’8 settembre 1944 rifiutano di arruolarsi nel ricostituito esercito della RSI e scelgono, invece, “la via dei Faggi”. Da Schignano partono i rifornimenti alimentari per i partigiani e le staffette arrivano con messaggi e ordini; nei boschi sopra Vallupaia, in località Ebani, è nascosto, e controllato dai partigiani, il bestiame di vari contadini che tentano così di salvarlo dalle requisizioni tedesche.
Dalla primavera 1944 tutta quest’area, da Albiano, passando per Schignano fino a Migliana, ospita migliaia di sfollati dal fondovalle e tutti, salendo dalla Costa, vengono fermati e controllati da Menghino alla Casa Rossa, avamposto partigiano e centro di osservazione dei movimenti fascisti. Nonostante questo brulicare di vita, Schignano non viene risparmiata dalle azioni belliche, anzi, uno dei primi bombardamenti della Val di Bisenzio, il 21 gennaio 1944, cade proprio sul paese, in località il Poggio, dove alcuni ragazzi stanno giocando con delle capre: i 30 spezzoni caduti causano la morte di 6 persone.
partigiani javelloDal gelido inverno ’44, sotto la guida di Armando Bardazzi detto “Gianni”, è attiva sui Faggi la squadra partigiana Orlando Storai, di cui fanno parte anche molti ragazzi di Vaiano e Schignano. La prima vera azione armata avviene il 22 marzo, dopo una soffiata che annuncia un rastrellamento tedesco. I partigiani decidono di agire per primi e cogliere di sorpresa i nemici: dal Pian dei Massi percorrono il crinale e lungo lo stradello dei Tabernacoli raggiungono Poggio alla Vecchia, proprio sopra la chiesa di Migliana, nel cui piazzale bivaccano i nazi-fascisti. Colti di sorpresa i repubblichini si sparpagliano, incendiando il bosco, ma rinunciando al rastrellamento. Si tratta più che altro una dimostrazione di forza, ma i partigiani mostrano di non avere paura. Dopo questa azione, la Orlando Storai muove verso il Falterona e piano piano si disgrega.
Verso la fine del maggio 1944 il C.N.L. (Comitato di Liberazione Nazionale) approva la formazione di una nuova brigata guidata sempre da Armando Bardazzi e Carlo Ferri e l’invio di armamenti e rifornimenti ai partigiani. In pochi giorni si superano i 100 uomini, provenienti per lo più dalla Val di Bisenzio. La formazione prende il nome di Brigata Buricchi, in onore dei fratelli Buricchi che l’11 giugno avevano fatto saltare, a Comeana, vagoni carichi di tritolo destinati ai nazi-fascisti per la completa distruzione dell’industria pratese. L’accampamento partigiano viene costruito al Pian delle Vergini, sul crinale del Monte Javello.
Tra il luglio e l’agosto 1944 si hanno molti scontri tra partigiani e fascisti alle Cavallaie, alle Banditelle, presso Porciglia; spesso a pagarne le conseguenze sono i civili, i contadini come Leone Mengoni e Demizio Fuligni, che vengono uccisi dai tedeschi per rappresaglia nei confronti di azioni partigiane avventate o non andate a buon fine. La brigata Buricchi è protagonista anche della terribile battaglia di Pacciana, che porterà al tristemente famoso eccidio dei 29 Martiri di Figline.
Fatti ancora più cruenti avvengono in seguito al 6 settembre 1944: l’8 settembre, dopo l’impiccagione dei 29 partigiani, i tedeschi salgono a Schignano e compiono diverse rappresaglie. Presso Monte Casioli trovano i tre fratelli Favini della Tignamica e li freddano brutalmente; nel bosco sopra le Case Vecchie vengono fermati 6 uomini accusati di essere partigiani (solo 2 in realtà lo sono): 4 sono impiccati a Spirito e 2 uccisi mentre tentano la fuga. Solo due giorni dopo, il 10 settembre, gli abitanti di Schignano salutano l’arrivo della colonna alleata e possono dare degna sepoltura ai loro caduti.

Testimonianza di Renato Pozzi, partigiano della brigata Buricchi, conservata presso l’archivio CDSE:
Ai primi di giugno la formazione si riorganizzò e si ricostituì il campo base ai Faggi di Javello. Le baracche furono costruite in fila lungo il crinale, tutte verso le Banditelle, perché su quel lato c’era la macchia di faggio alta; salendo dalle Prata, appena il crinale spianeggia, c’era la cucina, poi l’infermeria, l’armeria e le baracche del dormitorio, che alla fine arrivarono a cinque per contenerci tutti e l’ultima addirittura a due piani, proprio di faccia al Faggio della Madonna.”

Scheda compilata a cura della Fondazione CDSE e della classe III A dell’istituto comprensivo L. Bartolini di Vaiano, nell’ambito del progetto Mappe della Memoria, finanziato dalla Regione Toscana per il 70° della Resistenza.




Torricella (Vernio)

La Val Bisenzio fu investita in pieno dal passaggio del fronte: i continui bombardamenti alleati che colpirono Vernio dalla primavera-estate del 1944 devastarono la linea ferroviaria Direttissima, la stazione e l’imbocco della Grande Galleria dell’Appennino tra Toscana e Emilia Romagna. Momenti altrettanto drammatici furono vissuti dagli abitanti di San Quirico, fatti evacuare dalle loro case dai soldati tedeschi in ritirata. Nella confusione del momento molti si rifugiarono nella valle del Rio Meo, sistemandosi alla meglio sotto la Crocetta: così facendo si ritrovarono sotto il tiro incrociato delle artiglierie proprio nei giorni più prossimi alla Liberazione.

Quando ormai Prato era liberata da giorni, il territorio di Vernio visse infatti il suo momento di maggiore emergenza, ritrovandosi tra l’avanzata degli Alleati e le postazioni fortificate della Linea Gotica. La Linea Gotica fu l’ultima linea difensiva e fortificata della campagna d’Italia: menzionata nei documenti tedeschi come ‘Linea Verde’ (e passata alla storia come ‘Linea Gotica’ perché ricalcava, seppur in parte, la linea difensiva bizantina durante la guerra contro i Goti nel VI secolo), collegava la pianura costiera di Massa ad Ovest con quella di Rimini ad Est, seguendo all’incirca il 44° parallelo. La realizzazione dei lavori della Linea Gotica fu affidata alla Todt, organizzazione militarizzata alle dipendenze della Wermacht, che in Italia appaltava i cantieri a ditte italiane utilizzando spesso manodopera locale. Il territorio di Vernio per tutto il 1944 fu interessato da un’intensa attività di costruzione di postazioni, avamposti, trincee: i boschi ancora conservano le ferite della guerra come piazzole, bunker, nidi di mitragliatrici.

red bull divisionIntorno al 10 settembre 1944, con l’avanzata sul crinale della Calvana, iniziò l’attacco alleato al crinale tra il Mugello e la Val Bisenzio; parallelamente i tedeschi si trincerarono tra la fattoria delle Soda fino al passo della Crocetta, dove sostavano alcuni carri armati tedeschi che sistematicamente apparivano allo scoperto, sparando una serie di colpi e ritornando subito dopo al riparo. Dal 14 al 22 settembre si intensificarono gli scontri e il Poggio della Torricella divenne il feroce campo di battaglia tra i fanti della 334ª Infanterie Division tedesca e quelli della 34ª ‘Red Bull’ Division americana. Finalmente, il 23 settembre, dopo aver espugnato il caposaldo di quota 810 alla Torricella ed essere entrati a Montepiano dal valico della Crocetta, gli Alleati raggiunsero San Quirico passando dal Gallo: trovarono il paese completamente vuoto.

Dal 2003 sul luogo della cruenta battaglia è stato istituito dal Comune di Vernio, dalla Provincia di Prato, dall’Unione dei Comuni della Val di Bisenzio e dall’UNUCI, il Parco Memoriale della Torricella, un museo all’aperto raggiungibile anche a piedi tramite un sentiero della memoria che permette di raggiungere i luoghi degli scontri del settembre 1944, con fortificazioni, postazioni belliche e trincee ancora visibili.

Testimonianza orale di Remo Fiesoli, conservata presso l’archivio CDSE: “Ci avevano ordinato di radunarci tutti nella piazza di San Quirico per andare a Montepiano, ma ci fu confusione e noi si risalì il rio Meo e il fosso del Casigno. C’era tanta gente, anziani, bambini, proprio sotto la casa di Castagnolo. La notte si scatenò l’inferno. Dai poggi di Mezzana ci sparavano i tedeschi, perché pensavano che fossimo americani, da Le Soda ci sparavano gli americani perché pensavano che fossimo tedeschi e tutti picchiavano. Morirono sotto le cannonate un uomo e due donne, che si videro morire. La mattina si prese la strada della Bandiera e nel punto più scoperto si fece una corsa e ci si buttò nel rifugio di Celle.”

Visite: Parco Memoriale della Torricella
Per info e prenotazioni: comune@comune.vernio.po.it e info@lineagoticavernio.it

Scheda compilata a cura della Fondazione CDSE e delle classi III A e III B dell’istituto comprensivo Pertini di Vernio, nell’ambito del progetto Mappe della Memoria, finanziato dalla Regione Toscana per il 70° della Resistenza.