Nella vicenda dei “seicento giorni di Salò” compaiono storie di reparti che hanno fatto dell’uso della violenza la loro essenza. Spesso la loro parabola è liquidata come fosse romanzesca, tra omissioni e ricerca del gusto dell’orrido, mischiando al sangue il sesso oppure l’uso di stupefacenti. Occorre tralasciare questi aspetti esteriori e tendere invece a uno studio puntale e scientifico di queste formazioni, per comprendere appieno le vicende e le dinamiche spesso ancora nascoste dell’ultimo Fascismo.
La “Banda Carità” è uno dei reparti che operano durante il periodo della Repubblica Sociale. La sua denominazione ufficiale è Reparto servizi speciali, ma il nome di comune utilizzo rimane il primo, poiché è quello conosciuto dalla memoria collettiva, da chi subisce le imprese del reparto: i cittadini della Firenze occupata. Lo stesso nome, peraltro, è utilizzato anche dai giudici della Corte Straordinaria d’Assise di Padova che celebrano il primo processo nell’ottobre 1945. Uscendo dall’aspetto nominale, sappiamo che questo reparto è in realtà efficiente e disciplinato, capace di mettere a segno svariate operazioni antipartigiane con notevole successo.
Il reparto nasce subito dopo l’Otto settembre, come tanti altri reparti fascisti che si riorganizzano dopo l’armistizio. Chi lo crea e lo comanda è il centurione Mario Carità, un milanese trasferitosi per motivi non chiari – forse un allontanamento “politico” – da Milano a Firenze nel 1936. Durante la guerra partecipa come volontario alla campagna in Albania, dove, però, rimane poco. L’Otto settembre si trova a Bologna e qui, da subito, cerca di ricostituire le file fasciste. Tornato poco dopo a Firenze, all’interno della ricostituita Novantaduesima legione della Milizia, organizza un reparto particolare, il Reparto servizi speciali che, nelle intenzioni di Carità, dovrà lottare contro i nemici del Fascismo, sia dentro, sia fuori: i partigiani da una parte, i traditori della Repubblica Sociale dall’altra. I componenti del reparto sono in forza alla Compagnia comando della Novantaduesima legione di sede alla Caserma Caveri, in via della Scala.
Nel corso della sua storia, il reparto cambia poi più volte sede: prima in via Benedetto Varchi, poi in via Foscolo per approdare infine, nell’ultimo periodo fiorentino, nella sede più conosciuta, quella in via Bolognese 67, denominata “villa Triste”. Il reparto coglie diversi importanti successi contro la Resistenza a Firenze, come l’arresto di molti dirigenti partigiani fiorentini, tra cui Max Boris, in via Guicciardini nel febbraio 1944. Riesce a intercettare buona parte del materiale aviolanciato, nascosto in via dei Mille, oltre alla linotype con cui si stampa il giornale della resistenza fiorentina “La Libertà”. Agli inizi del giugno 1944, infine, cattura tutti gli operatori della missione alleata di Radio CO.RA: quest’operazione culmina con la strage al torrente Terzolle in località, dove sono fucilati assieme alla partigiana Anna Maria Enriques Agnoletti e ad un partigiano cecoslovacco, Italo Piccagli e l’avvocato Enrico Bocci, il cui corpo non è più ritrovato.
Nel luglio del 1944 il reparto si sposta a Bergantino, in provincia di Rovigo, città natale di Giovanni Castaldelli, vicecomandante. Agli inizi di novembre si sposta a Padova, probabilmente su richiesta del capo provincia Federigo Menna, che ha impostato una politica esclusivamente repressiva nei confronti della Resistenza. La collaborazione tra gli elementi periferici della Repubblica Sociale e il reparto non viene mai meno, tanto che al reparto è concessa un’autonomia esclusivamente operativa ma non strategica. Nella città veneta la “banda Carità” coglie i più brillanti successi operativi che si possano attribuire a un reparto di polizia di Salò: la distruzione della rete GAP a Padova e provincia, alla fine del novembre ’44 e la cattura quasi per intero del CLN veneto. A Padova il reparto collabora, in modo più stretto che in passato, con il comando SS di piazza.
Alla Liberazione buona parte dei componenti fuggono verso nord, seguendo le truppe tedesche in ritirata. Diversi sono catturati nel mese di maggio, mentre Mario Carità è ucciso a Siusi il 19 maggio in uno scontro a fuoco con soldati alleati.
Seguono due processi, celebrati uno a Padova nell’ottobre 1945, in seguito al quale è eseguita una condanna a morte e uno a Lucca, nel 1951. Molti membri del Reparto sono condannati a pene detentive, ma beneficiano successivamente di amnistie e sconti di pena. Gli ultimi militi condannati sono liberati a metà degli anni Cinquanta.
*Riccardo Caporale, è ricercatore libero professionista presso istituti storici, enti locali e fondazioni. I suoi interessi di studio ruotano attorno ai temi della Repubblica sociale italiana, dei suoi corpi interni e dei mancati processi ai fascisti nel dopoguerra.
Fra le sue pubblicazioni: La “Banda Carità”. Storia del Reparto Servizi Speciali (1943-45), Edizioni S. Marco Litotipo, 2005; Le SS italiane: un corpo ed una memoria, in Le armi della RSI (1943-1945), «Studi bresciani» Quaderni della Fondazione Micheletti, 20, 2010; voci Brigate nere, SS italiane, Legione Muti in G. Albanese – M. Isnenghi (a cura di), Il Ventennio Fascista, vol. IV de Gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni con la direzione scientifica di M. Isnenghi, Utet, 2008-2009.