Le “marce” prima della Marcia.

Giovanni Brunetti - Istoreco Livorno

L’attività squadrista in Toscana (1921-1922)

L’immagine “A Santa Marinella con la colonna «Lamarmora»” è tratta da: https://www.terzobinario.it/civitavecchia-santa-marinella-tappe-della-marcia-roma-del-1922/
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Il convegno organizzato dall’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea per riflettere sul centenario dell’ascesa al governo nazionale del fascismo ha come titolo 1922. La provincia in marcia: attori, percorsi, narrazioni. Come sappiamo, la Marcia su Roma fu l’evento culminante di un processo per l’acquisizione del potere da parte di Benito Mussolini che non fu solo formale, emulando quanto era successo nei mesi e nelle settimane precedenti in tante realtà provinciali. La Toscana in questo, con le numerose “marce” che subirono i capoluoghi di provincia e i comuni più riottosi all’affermazione del fascismo, fu uno dei principali laboratori della violenza squadrista che rese possibile la conquista armata della Capitale [1] .

Secondo le notizie sulla consistenza del Partito nazionale fascista (Pnf) elaborate dal Ministero dell’Interno, esso contava in Toscana, nel maggio 1922, ben 411 dei 2.129 fasci presenti in tutto il Paese, con 51.372 aderenti su 322.310, e cioè rispettivamente 1/5 e 1/6 del totale. Con questa forza d’urto “squadrista” (tutti i fascisti, in teoria, dovevano esserlo dopo l’iscrizione al partito) era consequenziale un impegno massiccio nel conflitto civile attivo nella regione. La guerra di movimento dei fascisti foraggiata da numerosi gruppi economici solidali fu letale per i nemici, sia per la connivenza di una buona parte dello Stato, sia per il grado di organizzazione che affinarono con le “spedizioni punitive”. Tutto questo favorì l’occupazione di cittadine e capoluoghi fin dall’estate 1921, annullando qualsiasi regola del gioco democratico [2] .

Il primo passo per le “marce” fu compiuto all’indomani delle elezioni amministrative del novembre 1920, in corrispondenza all’ascesa socialista al vertice di molti comuni toscani. Non a caso si iniziò dalla provincia il cui capoluogo aveva resistito alla “marea rossa”, quella di Firenze. A Montespertoli, tra l’11 e il 12 ottobre 1920, un nucleo di fascisti andò all’assalto del comune. L’obbiettivo era far cadere la neoeletta giunta, ma l’impreparazione degli squadristi e la loro esiguità – 4 uomini capeggiati da Amerigo Dumini – contro la quale, è importante ricordarlo, fu decisiva la reazione popolare, fecero naufragare il tentativo [3].

Questo genere di resistenza fu breve. Già al termine della cosiddetta “battaglia di Firenze” combattuta tra il 27 febbraio e il 1° marzo 1921 i fascisti ebbero la meglio sui loro avversari, coadiuvati dalle forze dell’ordine e maggiormente compatti, almeno all’apparenza, all’interno [4] . Da qui, gradualmente e rispettando una gerarchia fatta di ordini e comandi militari, uomini e mezzi del cuore politico e geografico della regione si mossero per colpire tutti i principali centri “eversivi” delle province toscane [5].

Banco di prova fu la cittadina di Empoli, dove il 1° marzo 1921 un gruppo di macchinisti e fuochisti della Regia marina in borghese e scortati da carabinieri, in viaggio verso Firenze per sostituirsi ai tramvieri in sciopero, fu colpito da una pioggia di proiettili. I morti furono 9, i feriti 11. La reazione fascista fu immediata: nella notte tra il 2 e il 3 marzo la città fu occupata dai militari del Regio esercito e la Camera del lavoro distrutta. Lo stesso accadde poche ore dopo a Fucecchio, in risposta all’uccisione di uno squadrista di ritorno dalla spedizione empolese, con l’occupazione del municipio e l’assalto alla Casa del popolo. Nel giro di poche ore vennero sciolte tutte le giunte “rosse” della zona tranne quelle di San Miniato e Castelfranco, giudicate meno sovversive, e sostituite da funzionari di prefettura, di polizia o militari [6] .

Nell’arco di alcune settimane le spedizione punitive, chiamate dalla memorialistica del regime “gite di propaganda”, si fecero sempre più diffuse e in grande stile. Il fascio di Siena, particolarmente attivo per via dell’estrazione universitaria di buona parte dei suoi componenti e la fornitura di mezzi da parte del locale distretto militare, aiutò quello di Firenze nelle azioni in provincia di Arezzo e verso il confine umbro. Alla fine di aprile le amministrazioni comunali di Castiglion Fiorentino, Marciano della Chiana, Monte S. Savino e Foiano della Chiana, sottoposte a continue violenze e devastazioni nel loro territorio, furono costrette alle dimissioni [7] .

I fascisti fiorentini, guidati dal ras toscano Dino Perrone Compagni, dopo aver preso parte alla spedizione contro Sarzana [8], si occuparono anche della provincia di Grosseto. La violenza fascista, dopo un mese di pressioni su alcuni comuni periferici, si scatenò sul capoluogo fra il 27 e il 30 giugno 1921, su Orbetello il 10 luglio e su Roccastrada il 24 successivo. La città di Grosseto fu letteralmente invasa da squadristi provenienti da ogni provincia limitrofa, raggiungendo il culmine quando, per far cessare le violenze, fu ordinata l’esposizione del tricolore dalle finestre e la partecipazione di tutta la popolazione ad una sorta di cerimonia laica nel pieno centro storico. A quei fatti seguì qualche giorno dopo l’analoga “conquista” di Orbetello, sebbene l’episodio centrale fu quello che interessò il comune di Roccastrada. Il bersaglio diretto era l’amministrazione socialista, la quale aveva resistito ad una serie di intimidazione rivoltegli proprio da Perrone Compagni nei mesi precedenti. Il 24 luglio, all’alba, circa 60 squadristi arrivarono in camion in paese e devastarono sistematicamente le case del sindaco, degli assessori e del presidente della Cooperativa di consumo. Si scagliarono poi contro una serie di attività private i cui proprietari erano stati bollati come “sovversivi”, quindi contro di loro e le relative famiglie. Quattro ore e mezzo dopo, ubriachi, i fascisti ripartirono alla volta delle frazioni di Sassofortino, Roccatederighi e Montemassi per continuare la cosiddetta “gita di propaganda”. All’uscita del paese una fucilata uccise uno dei fascisti, che per rappresaglia misero a ferro e fuoco Roccastrada [9].

L’apice delle marce “fasciste” in Toscana fu raggiunto un anno dopo, in occasione di quello che venne definito lo “sciopero legalitario” dell’agosto 1922, indetto dalle principali sigle sindacali contro le violenze fasciste. Perrone Compagni, in veste di ispettore regionale dei fasci, ordinò la concentrazione di centinaia di squadristi nella città di Livorno, la “piccola Russia” in terra toscana. La mattina del 2 agosto due squadre di fascisti erano state inviate nei vari stabilimenti e alla stazione dei tramvai, mentre i loro camerati pattugliavano la città. L’ordine era di far appendere le bandiere nazionali alle finestre delle case, per dimostrare il proprio patriottismo, e il tricolore venne issato anche sul Duomo. In quelle stesse ore il ferimento di due militi fu usato per motivare le violenze che seguirono. Il fatto più sanguinoso della giornata fu l’uccisione dei fratelli Gigli, Pilade e Pietro, quest’ultimo consigliere comunale comunista, e della loro madre. Messo alle corde dalle notizie di spargimenti di sangue e dalla scarsa collaborazione delle altre autorità pubbliche il sindaco Uberto Mondolfi, nella prima parte della giornata del 3 si dimise con tutta la giunta. La vittoria però non placò i fascisti a causa del ferimento, probabilmente accidentale, del segretario politico del fascio labronico. Gli squadristi attaccarono e devastarono la Camera del lavoro e le abitazioni di vari esponenti socialisti, portando il bilancio degli scontri a 18 feriti e 7 morti. Le spedizioni terminano in città solo il 4 agosto, con un’imponente manifestazione patriottica che suggellò, anche simbolicamente, l’unione tra le forze industriali, patriottiche, ex combattenti e fasciste che avevano concorso all’abbattimento giunta socialista, mentre il generale Ibba Piras, comandante della Divisione militare, assunse la gestione dell’amministrazione cittadina come commissario straordinario fino all’11 agosto [10].

Alla “Marcia su Roma”, quindi, gli squadristi toscani giunsero preparati da un anno di azioni illegali e organizzate. Per questo non deve stupire la presenza numerosa di corregionali che raggiunsero la capitale, né la presenza tra i comandanti delle colonne armate di Dino Perrone Compagni [11]. Allo stesso tempo il sostanziale clima di “calma” e “ordine” che si visse nelle provincie toscane tra il 27 ottobre e il 1° novembre 1922 perché, come sostiene Emilio Gentile, la «marcia su Roma doveva avere successo [prima] in altre parti d’Italia, per poter aprire al fascismo le porte della capitale» [12].

Nota:

1. Ricordo alcuni dei numerosi studi sul tema:G. Santomassimo, La marcia su Roma, Giunti, Firenze, 2000; G. Albanese, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari, 2006; E. Gentile, E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari, 2014. Tra le più recenti pubblicazioni con intento divulgativo ci sono: M. Franzinelli, L’insurrezione fascista. Storia e mito della marcia su Roma, Mondadori, Milano, 2022; M. Canali e C. Volpini, Gli uomini della marcia su Roma. Mussolini ed i quadrumviri, Mondadori, Milano, 2022.
2. I dati sono quelli citati in E. Ragionieri, Il partito fascista (appunti per una ricerca), in La Toscana nel regime fascista (1922-1939), Olschki, Firenze, 1971, p. 59.
3. Cfr. F. Catastini, P. Gennai, A. Pestelli, Liberali, sovversivi e partito dell’ordine a Montespertoli. Concentrazione di potere, gruppi familiari e politica (1919-1921), Pisa, Pacini, 2021.
4. Cfr. R. Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino 1919-1925, Firenze, Vallecchi Editore, 1972; Andrea Mazzoni, Spartaco il ferroviere. Vita morte e memoria del ragionier Lavagnini antifascista, Pentalinea, Prato, 2021.
5. Marco Palla, I fascisti toscani, in Storia d’Italia. La Toscana, Einaudi, Torino, 1986, pp. 469-470.
6. Cfr. P. Pezzino (a cura di) Empoli antifascista. I fatti del 1º marzo 1921, la clandestinità e la Resistenza, Pacini, Pisa, 2007; R. Bianchi Due eccidi politici: Sarzana ed Empoli in Gli Italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, vol. IV, Il Ventennio fascista, Utet, Torino, 2009, pp. 325-331.
7. Fu dato ampio risalto nella stampa nazionale coeva, soprattutto per i tratti macabri dell’episodio, a quanto successo nella frazione “Renzino” di Foiano. Cfr. G. Sacchetti, L’imboscata. Foiano della Chiana, 1921: un episodio di guerriglia sociale, Arti tipografiche toscane, Cortona, 2000.
8. L’episodio dell’assalto fascista alle carceri di Sarzana e della reazione inconsueta delle forze dell’ordine è stato attentamente ricostruito in A. Ventura, I primi antifascisti. Sarzana, 1921. Politica e violenza tra storia e storiografia, Gammarò, Sestri Levante, 2010.
9. Cfr. I. Cansella, Roccastrada 1921. Un paese a ferro e fuoco in ToscanaNovecento. Portale di Storia Contemporanea https://www.toscananovecento.it/custom_type/roccastrada-1921-un-paese-a-ferro-e-fuoco/ (visualizzato il 23 agosto 2022). Il documentario sulla strage realizzato in occasione del centesimo anniversario è visibile sul sito dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea https://www.isgrec.it/on-line-in-hd-il-documentario-roccastrada-1921-un-paese-a-ferro-e-fuoco/ (visualizzato il 23 agosto 2022).
10. M. Mazzoni, Livorno all’ombra del fascio, Olschki, Firenze, 2009, pp. 3-24. Cfr. T. Abse, ‘Sovversivi’ e fascisti a Livorno (1918-1922). La lotta politica e sociale in una città industriale della Toscana, Quaderni della Labronica, Livorno, 1990
11. A. Giaconi, La fascistissima. Il fascismo in Toscana dalla marcia alla notte di San Bartolomeo, il formichiere, Foligno, 2019, pp. 22-46.
12) E. Gentile, E fu subito regime, cit., p. 159.

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